Sicurezza/Giustizia: esercito in strada, ma quattro polizie non bastano?
di Romano Bracalini
www.opinione.it, 17 giugno 2008
D’accordo. L’emergenza richiede la messa in campo d’ogni strumento valido a reprimere l’illegalità diffusa (nostrana e straniera). Richiede una costante e agguerrita vigilanza sulle strade, sui treni, sugli autobus. Come al solito ci siamo svegliati tardi. Non ci siamo accorti di esserci allevata la belva in seno nel solito sport nazionale di dilaniarci a vicenda in un rimasuglio di vecchia politica e ideologia. Il buono e il cattivo diventano un’opinione. Non ha più fondamento il fatto, l’evento in se, ma la causa di forza maggiore, l’elucubrazione sociologica. Viziamo ogni discorso di dottrina. I rom diventano buoni o cattivi, virtuosi o ladri, a seconda dell’angolazione politica da cui si guardano. L’oggettiva verità non ha alcuna importanza se contrasta con l’ideologia di riferimento.
Di fatto le prigioni scoppiano: su tre detenuti uno è straniero. Siamo in forte ritardo nel fronteggiare l’insidia crescente, in misura che la criminalità scorge la nostra debolezza e ne approfitta, mentre già si avvista la prossima carretta del mare zeppa fino all’orlo salvata per un pelo dall’abisso. Tra le colpe del governo precedente c’è quella massima d’aver trascurato il capitolo dell’immigrazione legale e clandestina diventata cruciale per l’Europa intera. Un somalo sbarcato a Lampedusa te lo ritrovi in Lapponia in men che non si dica. Siamo ancora lontani dal varare una politica comune e concordata.
Sono forse insufficienti le forze impiegate, o sono forse solo male impiegate? È un quesito che non avrà mai risposta. Ma questa storia dell’esercito utilizzato per pattugliare le strade, sia pure con un contingente provvisorio di 2.500 soldati, non riusciamo a mandarla giù nemmeno riuscissero a convincerci che solo a queste condizioni l’emergenza rientrerà nei ranghi. C’è una considerazione che forse al ministro Ignazio La Russa sfugge ed è una considerazione di principio, e anche di forma, o se volete di semplice buon senso, che attiene al bagaglio e alla forma mentale di un paese "democratico" che deve agire anche nelle fasi di emergenza nel rispetto delle regole. Invece la tradizione autoritaria italiana, fin dai primi anni dell’unità, ha sempre trascurato questo principio di legalità ed impiegava l’esercito in funzioni di ordine pubblico, con gli stati d’assedio e le repressioni popolari. Il peggior ricordo è quello d’un Bava Beccaris che spara sulla folla durante il ‘98 milanese. Certo, s’è fatto un caso estremo e forse assolutamente esagerato. Ma quello che si vuol dire è che l’esercito non deve in nessun caso costituire un pretesto per il suo uso improprio a fini interni. In altri tempi, liberali e conservatori si affrontarono proprio sul carattere che avrebbe dovuto avere il nuovo esercito italiano: esercito di popolo come lo intendevano i repubblicani e i democratici (Garibaldi, Mazzini, Cattaneo) ; o esercito regio agli ordini del re come lo volevano i conservatori monarchici. L’esercito era per tradizione la pupilla del re. Con la riforma Ricotti del 1865 il nuovo esercito italiano sorto con gli spezzoni borbonico e toscano innestati sull’esercito piemontese mantenne l’aggettivo regio, formula che rimase in vigore fino al 1943. Da quel momento l’esercito, tranne casi eccezionali in Sicilia e nel Sud in genere, non doveva essere più impiegato in operazioni di ordine pubblico.
Il ministro La Russa insistendo nel suo progetto infrange un principio anche mostrando le migliori intenzioni. Non sempre l’approvazione popolare è garanzia di legalità democratica. L’uso dell’esercito richiama alla mente più foschi modelli sudamericani: il Nicaragua dei gorillas, l’Argentina dei generali. L’onorevole Di Pietro ha detto che l’Italia non è la Colombia: e a volte si stenterebbe a crederlo. L’onorevole Finocchiaro del Pd ha parlato di ricorso "vanitoso", in altri termini di protagonismo del ministro La Russa. Ma in questa esibizione di forza e di vanteria, non in contrasto col bagaglio culturale di La Russa, va vista anche una sorta di concorrenza con la Lega alla quale la destra sociale non vuol lasciare il primato della sicurezza, per rispondere anzitutto (e principalmente) all’esigenza del suo elettorato d’ordine che su questo tema non vuole essere secondo a nessuno. Non solo la sinistra, per obbligo di ruolo e vezzo, ma anche il sindacato di polizia ha criticato l’idea dei reparti militari per le strade, che nelle intenzioni del ministro della Difesa dovrebbero impedire il formarsi spontaneo delle ronde cittadine. Sarà solo per questo?
O non c’è una rivalità con Maroni? Comunque è piuttosto insolito questo ricorso all’esercito da parte di un paese che di polizie non ne ha una soltanto, come tutti i paesi normali, ma quattro. La Francia ha i flic che arrestano i ladri e dirigono il traffico. Idem gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. In Italia contiamo la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza e le Polizie locali (oltre alle guardie campestri e forestali in eccedenza): però a un quadro coordinato d’azione efficace di prevenzione e repressione nuoce la rivalità tra i diversi corpi e armi che agiscono spesso e volentieri in conflitto tra loro togliendo ogni efficacia e segretezza all’azione. Non vorremmo che alla concorrenza tra le diverse polizie si aggiungesse, per questione di bottega e di vanità personale, quella tra i ministri.
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