L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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lunedì 14 luglio 2008

Carcere/Giustizia: Il volontariato verso lo sciopero

Per la prima volta il mondo del terzo settore penitenziario incrocerà le braccia se il governo non farà retromarcia sulla riforma ammazza-Gozzini

Cosa succederebbe se per 15 giorni gli 8mila volontari penitenziari italiani decidessero di incrociare le braccia? Probabilmente l’intero sistema andrebbe in tilt. Ma dopo la presentazione del disegno di legge Berselli (n. 623), attualmente assegnato ma non ancora calendarizzato alla commissione Giustizia del Senato, l’ipotesi di un clamoroso e inedito sciopero sta prendendo semprepiù piede. A lanciare il sasso nello stagno è Claudio Messina, presidente della Conferenza nazionale volontariato e giustizia e naturalmente primo firmatario dell’appello «Salviamo la legge Gozzini», proposto dalla redazione di Ristretti Orizzonti.
VITA: Una protesta di questo tipo non rischia di far pagare il prezzo più alto proprio ai detenuti?
CLAUDIO MESSINA: Questa è proprio la ragione per cui fino ad ora non siamo mai arrivati a questo punto. Ma la proposta di Berselli taglierebbe le gambe al volontariato, affidando a quello che il Dap (il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ndr) in tutte le manifestazioni ufficiali definisce come «un elemento indispensabile », a un compito di mero sostegno umano ai detenuti. Di fronte a una prospettiva di questo tipo occorre una reazione clamorosa. Da qui l’idea dello sciopero, che potrebbe tenersi a settembre una volta che il provvedimento verrà calendarizzato in Parlamento.
VITA: Non vede altre strade praticabili?
MESSINA: Abbiamo chiesto direttamente a Berselli, che la presiede, un’audizione alla commissione Giustizia diPalazzo Madama per esporre le nostre ragioni. Fino ad ora non abbiamo ricevuto risposta.
VITA: Quindi semaforo verde allo scipero?
MESSINA: Costerà fatica a noi e costerà qualche sofferenza ai detenuti, ma cancellare la Gozzini, come di fatto prevede il disegno di legge, è un suicidio di fronte al quale non possiamo rimanere inerti.
VITA: In che senso un «suicidio»?
MESSINA: Oggi, grazie al nostro lavoro, diamo piena efficacia, almeno sulla carta, al dettato costituzionale che prevede che la pena abbia anche una funzione rieducativa. Domani il nostro apporto sarà limitato a una pacca sulla spalla del detenuto aspettando che sconti la sua pena dentro una cella. Il problema poi è quando esce. Ma questo non fa comodo a nessuno dirlo.
VITA: A cosa allude?
MESSINA: Se i detenuti non usano il loro tempo per prepararsi al reingresso nella società, una volta ottenuta la libertà costituiranno sempre un pericolo sociale. Lo dicono tutte le statistiche sulla recidiva, anche quelle ufficiali. Al di là di tutti i proclami securitari, un provvedimento di questo tipo non farà altro che aumentare l’insicurezza dei cittadini. Come facciamo a non ribellarci?