Come Entrare Più Facilmente in Cella
da www.innocentievasioni.net
TUTTE LE MISURE DEL GOVERNO BERLUSCONI PER INCREMENTARE IL SOVRAFFOLLAMENTO
di Federica Resta
Come se prima non lo fosse abbastanza, oggi sarà ancora più facile finire in carcere. Almeno per determinate persone. Non certo per i colletti bianchi che pur si macchiano di reati gravissimi per la trasparenza del mercato, la tutela del risparmio, la corretta amministrazione della cosa pubblica. Le persone che hanno maggiore probabilità di andare in carcere oggi (più di ieri) sono gli stranieri, i soggetti deboli, i c.d. outsiders sociali, quelli cioè che appartengono alle fasce marginali della società e che spesso sono strumentalizzati dalle organizzazioni criminali, i cui capi non sono certo adusi a ‘sporcarsi le mani’, preferendo invece dare ordini; ovviamente criminosi. Dall’insediamento del Governo Berlusconi- quater infatti, la politica criminale ha perseguito strenuamente l’obiettivo di un diritto penale diseguale, asimmetrico, forte con i deboli e debole – se non addirittura inerte – verso i forti. Con il pacchetto sicurezza varato nel primo Consiglio dei ministri e in particolare con il decreto-legge n. 92/2008, convertito in legge a luglio scorso, questo disegno era già chiarissimo. Basti pensare che la norma sostitutiva dell’emendamento salva-Premier (quello cioè che avrebbe dovuto bloccare i processi il cui imputato era il Premier), dettando agli uffici giudiziari la scala di priorità nella trattazione dei procedimenti, rallenta (fino alla probabile maturazione della prescrizione) quelli tipici dei ‘colletti bianchi’ e della criminalità economica, per agire con inusuale sollecitudine nei confronti di tutti gli altri.Ma non è solo un problema di tempi. È invece anche e soprattutto un problema di soggetti, di persone e di categorie. Lo stesso decreto-legge, infatti, ha introdotto misure di inedito rigore nei confronti dei reati commessi dagli stranieri, per il solo fatto di essere tali. Si pensi all’aggravante c.d. di clandestinità, che inasprisce le pene per qualsiasi reato, se commesso da chi si trova illegalmente sul territorio nazionale, senza esigere neppure un minimo collegamento con il fatto, le sue caratteristiche o il bene giuridico protetto. Per le persone cui sia stata applicata la c.d. aggravante di clandestinità è poi preclusa la possibilità di sospendere, come ordinariamente avviene, l’esecuzione la pena, che nei confronti di queste persone deve avvenire rigorosamente in carcere, per poi passare in un altro luogo di detenzione: il CPT (ora CIE: centro di identificazione ed espulsione), in attesa dell’espulsione. Si pensi anche all’inasprimento delle norme che prevedono l’espulsione e la misura di sicurezza come sanzioni accessorie alla pena ordinaria prevista per pressoché tutti i reati, se commessi da stranieri, ancorché comunitari. La stessa alterazione di parti del corpo (ad esempio, l’abrasione delle creste papillari) volta ad impedire l’identificazione è stata qualificata come delitto, come se non bastasse la pena che il soggetto si autoinfligge con l’autolesionismo, e come se, di fronte alla disperazione di chi è disposto a farsi del male pur di non essere espulso, fosse sufficiente la minaccia della reclusione ad impedire tali comportamenti. E per fare terra bruciata attorno allo straniero, si è addirittura prevista la pena della reclusione fino a tre anni per chi ceda, dia alloggio o affitti un immobile a uno straniero irregolarmente soggiornante nel territorio nazionale. Ma la rivendicazione punitivista del decreto-legge sicurezza ha un raggio più ampio e colpisce quasi indiscriminatamente tutti coloro che non appartengano alla categoria dei colletti bianchi. Si pensi in tal senso all’aggravante speciale (che determina l’applicabilità dell’ergastolo) dell’omicidio, per il solo fatto che la vittima sia un funzionario di polizia giudiziaria o un agente di pubblica sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni (il riferimento inevitabile è all’omicidio dell’agente di polizia Raciti, nel corso di una partita di calcio nello stadio di Catania). Ora, se è vero che l’omicidio del funzionario pubblico deputato per definizione alla tutela della sicurezza pubblica assume una particolare gravità, è altrettanto vero che la gravità di un fatto quale l’uccisione di un uomo non può dedursi sic et simpliciter dallo status soggettivo della vittima. Tanto più se esso determina l’applicazione di una pena incostituzionale per sua stessa natura, quale l’ergastolo, che il legislatore, lungi dall’estendere, dovrebbe invece abolire, una volta per tutte. Ancora, lo stesso decreto-legge ha escluso che l’incensuratezza dell’imputato possa bastare ai fini dell’applicazione delle attenuanti generiche, così determinando inevitabilmente un inasprimento delle pene irrogate nei confronti di chi non abbia mai commesso un reato. Ma l’area del ‘penale’ verrà estesa ancora di più in seguito all’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza attualmente all’esame del Senato. Ancora una volta, il cardine del provvedimento ruota attorno all’immigrazione, ridotta sempre di più a mera questione penale. In tal senso, particolarmente significativa è la proposta di qualificare come reato ciò che oggi rappresenta un mero illecito amministrativo, ovvero l’ingresso e la permanenza irregolare nel territorio dello Stato. E’ chiaro che il reato così introdotto interesserà una vasta platea di persone; tutte quelle che, anche per effetto dei farraginosi meccanismi della legge Fini-Bossi, si trovano costrette a permanere in Italia senza un permesso di soggiorno valido, magari anche solo scaduto. E se si pensa che – come ha riportato la stampa nell’autunno scorso – le amministrazioni competenti non riescono a emettere i titoli di rinnovo dei permessi di soggiorno scaduti in tempo utile a non rendere (apparentemente) irregolare la permanenza nello Stato dello straniero, è evidente che un simile reato finirà per colpire anche persone che non abbiano neppure violato la legge. Ma non è solo il carcere l’istituzione totale che segna e ancor di più in futuro segnerà gli orizzonti dell’esistenza di molti stranieri. Un altro luogo di privazione della libertà - destinato rigorosamente ai non cittadini – è il centro di identificazione ed espulsione, ove vengono detenuti gli stranieri da identificare e, nella maggior parte dei casi, da espellere, senza che abbiano commesso alcun reato; bastando a tal fine la sola esigenza di accertarne l’identità. Se questa forma di detenzione amministrativa è già illegittima (oltre che inopportuna) oggi, pur nei limiti dei 2 mesi previsti come termine massimo, a maggior ragione lo sarà quando, in seguito all’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, potrà essere protratta fino a un anno e mezzo, in caso di difficoltà nell'accertamento dell'identità e della nazionalità dello straniero, o nell’acquisizione dei documenti per il viaggio. La direttiva Ce 'migration policy', invocata dal Governo italiano a sostegno della misura, prevede che il termine massimo di 18 mesi valga per la sola resistenza all'identificazione, il che è diverso dalla mera difficoltà nell'accertamento. Inoltre, la direttiva sancisce il carattere di extrema ratio del trattenimento, prevedendo la liberazione dello straniero qualora non esistano verosimili possibilità di esecuzione dell’espulsione. Correttivi, questi, assenti dal disegno di legge, nonostante la Commissione de Mistura abbia dimostrato che i tempi per l'identificazione dello straniero non superano mai i 60 giorni. Perché allora legittimare una simile estensione della detenzione amministrativa, per un tempo pari a quello di pene previste per reati anche di una certa gravità, invece di promuovere gli accordi di riammissione che, essi soli, rendono effettive le espulsioni? E come giustificare tale privazione della libertà motivata solo da circostanze estranee alla condotta individuale, quali sono l'indisponibilità dei documenti di viaggio o l'impossibilità di identificare lo straniero?
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