L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

martedì 16 ottobre 2012

Il SISTEMA PENITENZIARIO- Ipotesi di riforma e proposte di medio periodo per il potenziamento delle misure alternative


Per affrontare il tema occorre fare riferimento :

a) alla situazione attuale del sistema dell’esecuzione penale nella sua interezza, ovvero esaminare in uno i dati relativi alla situazione degli istituti penitenziari e i dati relativi alle misure alternative, oggi in costante aumento e suscettibili di ampliamento in considerazione delle proposte di legge presentate

b) alle ipotesi di riforma sul breve e medio periodo, ai possibili interventi realizzabili attraverso la formalizzazione di buone prassi e protocolli.

c) agli assetti organizzativi che – soprattutto in relazione agli intendimenti dell’amministrazione – saranno assunti per dare corso alle misure di contenimento della spesa, e che in caso di applicazione delle previsioni contenute al c.1 dell’art. 2 della legge n. 95/2012 – determineranno un’ulteriore decurtazione del personale, che si sommerà a quella già prevista con d.p.c.m. 31.1.2012 e non ancora suddivisa.



Gli aspetti citati sono evidentemente interconnessi e richiamano ulteriori elementi di contesto, ovvero rinviano alla necessità di tener conto :

 delle scelte di politica penale che in questi anni hanno segnato il sistema,

 del complesso delle scelte in materia di politiche sociali (e anche delle tante buone prassi )

 dei fenomeni connessi all’esecuzione penale (si pensi per tutti all’incidenza dei soggetti stranieri in esecuzione di pena in detenzione e misura alternativa)

 delle prospettive future, con particolare riguardo alle misure contenute nel disegno di legge “Delega al Governo in materia di depenalizzazione e di pene detentive non carcerarie e disposizioni in materia di sospensione del procedimento per messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”

E ancora occorre tener conto della necessità di attuare le riforme avendo riguardo per gli impegni assunti in sede europea.



Il sistema dell’esecuzione penale è tema di attualità, ma è un sistema da anni gravato da un livello esponenziale di complessità endogene ed esogene: non è possibile parlare di sovraffollamento delle carceri senza porre l’accento sul sistema nel suo complesso e non solo sul suo epifenomeno.

La recente legge 9/2012 ha il merito di aver messo in discussione l’ineluttabile uso del carcere (il fenomeno delle cosiddette porte girevoli); è un passo importante e simbolicamente significativo se finalizzato a consolidare l’idea del carcere come extrema ratio, richiamo invocato da più parti, ma che conseguentemente deve indurre politici e amministratori a consolidare il sistema dell’esecuzione penale esterna.

Il titolo della legge (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento) attesta che l’attenzione è – anche per ovvi motivi - ancora concentrata sugli effetti prodotti dal sistema penale, nonostante il dibattito parlamentare, gli impegni assunti, le diverse proposte di riforma attestino la consapevolezza di avere ormai un corpus normativo non organico e fonte di pronunciamenti giurisprudenziali anche contrastanti. .

Per la verità nelle scelte sottese alla legge 199 e più di recente, alla legge 9/2012 pesano gli interventi della Corte Europea, e sono ancora numerosissimi i ricorsi presentati per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo.

Se si considera la prospettiva europea occorre fare riferimento alle diverse raccomandazioni e risoluzioni e fra tutte:

a) alla Raccomandazione R(2010) -1- del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle Regole del consiglio d’Europa in materia di Probation che qualifica i servizi incaricati della probation sono tra i servizi fondamentali della giustizia e che il loro lavoro influisce sulla riduzione della popolazione carceraria;

b) alla Risoluzione 15 dicembre 2011, n. 2897 del Parlamento Europeo che significativamente al punto11 “ ribadisce l'esigenza che gli Stati membri onorino gli impegni, assunti nelle sedi internazionali ed europee, a far maggior ricorso a misure probatorie e sanzioni che offrano un'alternativa all'incarcerazione, comprese le decisioni adottate all'interno del Consiglio d'Europa” e al punto 16 “ invita la Commissione ad esaminare l'impatto delle disparità in materia di diritto penale e diritto procedurale sulle condizioni detentive negli Stati membri UE e ad avanzare raccomandazioni al riguardo, soprattutto in materia di ricorso a misure alternative, politiche di criminalizzazione e decriminalizzazione, detenzione preventiva, amnistia e indulto, segnatamente nei settori della migrazione, del consumo di droga e dei reati compiuti da minori”.



Sotto il profilo normativo nazionale va ricordato che il PDL 3291 ( da cui è scaturita la legge 199 varata nel 2010) prevedeva interventi – compresa la messa alla prova oggi riproposta nel D.L. 5919; l’aspetto che qui interessa sottolineare è il significativo incipit della legge 199 che, introducendo nel ns. sistema l’esecuzione della pena presso il domicilio espressamente indica che la misura sarà in vigore “….fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione, e comunque non oltre il 31.12.2013” .

In sostanza viene introdotta una misura temporanea (non a caso non inserita sistematicamente nel Capo VI dell’Ordinamento Penitenziario), proprio perché si è in attesa di una riforma complessiva delle misure alternative.

Il passaggio è indicativo perché sposta l’attenzione sul corpus normativo che oggi abbiamo e che non corrisponde più al sistema organico dell’O.P del 75; ad esso si innestano, infatti, per interventi successivi (e non sempre coerenti) nuove leggi a valenza penitenziaria (ovvero norme di carattere procedurale, testi unici di settore ecc…) che come corollario hanno previsto modifiche tali da determinare l’impossibilità di una visione sinottica del sistema.

Chi oggi si trovi a declinare in maniera rigorosa i requisiti di accesso alle misure alternative deve necessariamente fare i conti con una varietà di requisiti relativi alle condizioni di ammissibilità (per la verità non univoche) e a preclusioni non riconducibili a criteri coerenti, né con riferimento ai reati, né con riferimento a criteri di pericolosità.

Si è in sostanza determinata una frattura fra la realtà penitenziaria e la realtà fattuale e conseguentemente ciò determina l’impossibilità di una visione globale del sistema, che sembra rispondere sempre a logiche contingenti, più che a strategie di intervento complessivo.

Nel giro di pochi anni si sono susseguite norme che si fondano su opzioni diverse, alternate da provvedimenti clemenziali, da profili di ineffettività delle norme (si pensi al lavoro di pubblica utilità, alla legge 62/2011) e questo determina una difficoltà collaterale: è pressoché impossibile valutare l’impatto delle norme (si pensi alla legge 49/2006 e alla possibilità di concessione della misura alternativa in relazione a pene sino a 6 anni, in concreto non applicata.

I meccanismi di accesso alle M.A. sono stati modificati numerose volte, tanto che oggi (chiarificatore è in proposito la complessa lettura dell’art. 4 bis) è realmente difficile definire chi può accedere alle misure e tutto è reso ancor più complicato dalla modifica dell’art 656 c.p.p., introdotta sempre con la legge 251 che in concreto ha snaturato la legge 165/98, determinando un aumento degli ingressi di detenuti definitivi anche se di non elevata pericolosità e questo perché la nozione di recidiva reiterata è generica e non introduce parametri connessi alla gravità del reato, e da ultimo la legge 199 richiamando quale condizione ostativa concetti quali l’abitualità e la professionalità ( e per inciso tali elementi non previsti per le misure alternative diventano un ulteriore elemento di schizofrenia del sistema).

Alle preclusioni di legge (si pensi anche alla legge 38/2009 e 94/2009) si aggiungono le difficoltà di ordine personale che caratterizzano molti potenziali fruitori di misure alternative: l’assenza di una casa, di un lavoro, le differenti tempistiche della pena e dei programmi terapeutici, le comunità terapeutiche che non riescono a far fronte alle domande di inserimento, la mancata determinazione dei posti presso le C.T., prevista dall’art. 1 c. 7 della legge 199 e non ancora formalizzata con decreto.

Sul piano concreto in molte regioni sono state realizzate buone pratiche, per inciso anche in questo caso occorre essere attenti e sottolineare il tema dell’esigibilità degli interventi ( la Commissione Nazionale Consultiva Stato Regioni ha nel 2008 licenziato delle ottime Linee guida, ma non tutte le Regioni le hanno recepite e ancora credo ci si debba anche interrogare sui frequenti richiami ai diritti di cittadinanza che finiscono con l’escludere chi non è cittadino italiano, persone per le quali la giustizia è sempre meno uguale)

Qualsiasi progetto di legge non può essere sintomatico, non può partire dal sovraffollamento del carcere che non è la causa, ma l’effetto e soprattutto il carcere non è il luogo in cui si possono determinare le politiche della giustizia (cfr. Risoluzione 15 dicembre 2011, n. 2897 del Parlamento Europeo)

Il carcere non è residuale al sistema delle pene, è la pena e se continuiamo a discutere delle numerose e – ovviamente – indispensabili misure organizzative (lavoro, istruzione, formazione, attività trattamentali ecc..) non saremo in grado di apportare alcun cambiamento. Tutti - politici e addetti ai lavori dissertano sulle contraddizioni semantiche e sulle contraddizioni del sistema, ma si collocano sempre più frequentemente nell’ambito di logiche emergenziali. La definizione di un circuito regionale penitenziario è indispensabile, ma il circuito non deve può essere orientato alla sola tipizzazione delle strutture, deve necessariamente comprendere il sistema delle misure alternative, deve prevedere la predisposizione di sezioni per dimittendi, deve essere in grado di intercettare precocemente le situazioni che possono consentire l’ammissione alle misure alternative. .

Cambiare approccio e interrogarci sul perché oggi il carcere sia senza prospettive per buona parte dei detenuti significa anche interrogarci su altri concetti : pericolosità e sicurezza, reinserimento, rottura del binomio /equazione pena=carcere.

I dati sui reati commessi dalle persone detenute ci dicono che sono prevalenti i reati non gravi e allora siamo sicuri che il carcere sia la pena più idonea? E soprattutto che effetti produce la detenzione e quali sono i costi della detenzione a fronte di risorse umane economiche e umane sempre più esigue.

La scelta coerente sarebbe stata quella del diritto penale minimo, ma come è noto non c’è convergenza sulle ipotesi di depenalizzazione e rispetto all’ampliamento di posti detentivi, esiste il rischio di ricondurre il sovraffollamento carcerario (effetto) al solo problema strutturale; è un errore strategico. Va detto che il pacchetto giustizia del Ministro Severino sembra attento ad una visione di sistema, va detto, infatti che significativamente interviene su quattro materie: depenalizzazione; sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili; sospensione del procedimento con messa alla prova; pene detentive non carcerarie.

Un’annotazione a margine, ma che sembra importante attiene alla lettura degli atti parlamentari; credo sia un esercizio interessante significativo è il richiamo a diversi progetti di riforma, tutti concordano circa la necessità di sperimentare forme nuove e diversificate di sanzioni penali è, quindi, più volte stata proposta, con differenti modulazioni la messa alla prova che potrebbe oggi diventare realtà.

Una precisazione va però fatta : qualsiasi modifica non può essere introdotta con invarianza della spesa (formula significativamente reiterata in più occasioni che sta a significare che la riforma non deve avere costi aggiuntivi). E’ evidente che non è possibile prevedere modifiche senza un contestuale ed indispensabile consolidamento del sistema che deve presidiarlo e, conseguentemente se l’obiettivo è riformare il sistema dell’esecuzione penale, introducendo la messa alla prova e pene non detentive occorre potenziare le articolazioni e le professionalità che dovranno occuparsene, in primis gli Uffici esecuzione penale esterna che registrano attualmente una carenza di personale se si assume come parametro l’organico attuale, cui si aggiunge la non equità nella distribuzione del personale.

Ed è di tutta evidenza che le più recenti norme in materia di contenimento della spesa hanno indicato il quantum di riduzione percentuale degli organici e non le professionalità da decurtare; ma le scelte che saranno adottate daranno corpo a scelte di politica penitenziaria irreversibili.

Non va sottovalutato che in ogni caso l’introduzione di sanzioni alternative riduce i costi complessivi del sistema, ma non è, non può essere a costo zero.

Ribaltare il quadro di riferimento concettuale ponendo al centro un diverso sistema delle pene è condivisibile (anche se occorre esaminare analiticamente le misure) e non finalizzarle al solo deflazionamento del sovraffollamento carcerario, occorre lavorare soprattutto per invertire la tendenza radicatasi negli ultimi anni con la progressiva espansione della sfera di incidenza del diritto penale.

L’altra questione che non può essere bypassata è – come si è detto – l’organizzazione che deve presidiare la riforma del sistema dell’esecuzione penale, ovvero occorre pensare :

 alla riorganizzazione del DAP e ai processi di decentramento

 alle politiche del personale

 ad una mirata allocazione di risorse

 alla dislocazione degli Uepe, in modo da assicurare la necessaria prossimità degli interventi



Se si ha riguardo per gli assetti organizzativi, occorre in primo luogo dire che per molti versi la riforma degli anni 90 che interessò l’Amministrazione Penitenziaria è stata anticipatrice dei processi di riforma che hanno poi caratterizzato l’intera pubblica amministrazione. Un esempio per tutti nel 1992 fu emanato il D.lgs 444/92 “ Attribuzioni degli organi centrali dell’A.P. e decentramento di attribuzioni ai Provveditorati Regionali,agli Istituti e Servizi…” e vengono definite le competenze rimesse all’organo centrale e quelle – del tutto nuove – previste per i Provveditorati; fra tutte è opportuno ricordare il ruolo strategico della programmazione e del rapporto con il territorio, in diversi ambiti fra i quali

a) misure alternative

b) sanità

c) formazione professionale, avviamento al lavoro, attività scolastiche

d) tossicodipendenza e alcooldipendenza

E’ di tutta evidenza che oggi queste aree di intervento assumono un maggior rilievo (si pensi alle Linee guida per l’inclusione sociale delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, emanate nel marzo 2008 dalla “Commissione nazionale consultiva e di coordinamento per i rapporti con le regioni, gli enti locali ed il volontariato”), al passaggio della Sanità Penitenziaria al SSN, all’accordo sull’Inclusione socio – lavorativa ma anche a leggi più recenti (cfr. 62/2010), alla legge 9/2012 che prevede a breve la chiusura degli OPG, che possono essere applicate solo con interventi diretti – e non discrezionali – da parte del territorio



Rispetto alle politiche del personale, è vero che la rideterminazione degli organici è imposta dalle misure di contenimento della spesa, ma è anche vero che progressive decurtazioni sono state apportate sin dal 2006, e mai ripartite; occorre considerare che l’A.P. è complessa, caratterizzata da professionalità diverse (ma questa è una ricchezza) e – soprattutto afferenti a diversi comparti e a diversi sistemi di contrattazione



a) dirigenti Penitenziari d’Istituto e di Esecuzione Penale esterna

b) dirigenti di Area 1

c) il personale del C.M.

d) i Dirigenti e il personale di P.P,

Tutti i ruoli hanno carenze di organico : ci sono ruoli per i quali non sono indetti concorsi da oltre 10 anni (ovvero non hanno avuto nuove risorse e neanche possibilità di attingere ad assunzioni extracomparto). Se si investe in una professione è perché la si ritiene indispensabile, se la si decurta si fa una scelta politica significativa.



Le decurtazioni più recenti non hanno interessato molte professionalità (non tutte) E’ di tutta evidenza che le differenti percentuali sottendono scelte e valutazioni in ordine ai fini istituzionali e questo aspetto desta non poca preoccupazione in quanto sembra non tenere nella debita considerazione gli scenari futuri e fra tutti la necessità più volte ribadita di porre in essere reali cambiamenti normativi. Più nello specifico, rispetto alla pianta organica del 2006, gli assistenti sociali vengono falcidiati più di tutte le altre qualifiche (meno 35% - 567 su 1621). In seconda posizione gli educatori (meno 27% - 369 su 1367).

Complessivamente le due figure cardine dell'area trattamentale e sociale dovrebbero perdere 936 unità su 2988 (-31%).

E tutto ciò mentre le misure alternative registrano un notevole aumento, e le possibilità di accesso potrebbero anche aumentare con adeguate risorse (umane e non).

Si pone un problema di effettività del trattamento, di effettività delle funzioni, ma anche per il comparto ministeri si pone un problema di distribuzione delle decurtazioni, ovvero con quali criteri si procederà a ripianare la difforme odierna distribuzione (questo – ne sono consapevole - è un terreno di confronto problematico, ma va affrontato). E questo non può essere sottovalutato che anche con riguardo alla legislazione vigente, o alle modifiche recentemente introdotte (modifica del regolamento di esecuzione – Carta dei Diritti) o ancora se si ha riguardo per i frequenti richiami del Capo Dap al patto di responsabilità e alle parole del Ministro che – opportunamente – segnala le misure alternative quale imprescindibile necessità. Se questo è lo scenario non si può non pensare ad un’organizzazione solida ed idonea a perseguire gli obiettivi propri dell’Amministrazione Penitenziaria (che – lo si ribadisce - non coincidono con la sola detenzione), ma che devono tendere alla “rieducazione”, all’inclusione e favorire l’accesso alle misure alternative.

Sempre sul piano organizzativo occorre tener presente che ci sono figure e competenze che sono da sempre supportate dal personale di polizia penitenziaria impiegato in compiti amministrativi e funzioni che non possono essere oggetto di supporto da parte di altri.

Nell’ultimo anno sono stati istituiti numerosi gruppi di studio :

a) Gruppo di studio istituto con OdS n. 1057 del 21.6.2011 con incarico di formulare una proposta di relazione al Parlamento come previsto dalla L.199/2010 - .

b) Gruppo di studio istituto con OdS n. 1054 del 21.6.2011 con l’incarico di definire programmi trattamentali per categorie omogenee in esecuzione penale interna ed esterna

c) Gruppo di studio istituito con OdS n. 1055 del 21.6.2011 con l’incarico di definire una proposta di riforma della disciplina delle Misure Alternative



L’esito di tali Gruppi non è stato diffuso in periferia, ma forse a tal proposito è opportuno richiamare ancora una volta le parole del Ministro che attestano la necessità di mettere mano ad una riforma complessiva : … non è certo con questi provvedimenti che si potrebbe fare fronte all'emergenza attuale, per la quale forse occorrerebbe varare un sistema di misure alternative alla detenzione: misure che assicurino la possibilità di scontare il residuo pena in località o in forme diverse dalla detenzione, che contemporaneamente salvaguardino l'ordine e l'assetto sociale e assicurino i cittadini sul fatto che non vi saranno ricadute nel reato nel momento in cui si è usciti dal carcere e si sta affrontando una vita da persone libere….. non solo per creare un'alternativa alla detenzione, ma anche per realizzare quel reinserimento sociale che è lo scopo che la nostra Costituzione attribuisce alla detenzione.



Le parole del Ministro confermano :

a) la necessità di sostenere il sistema delle misure alternative svincolandolo da logiche emergenziali

b) la necessità di superare la residualità che ha sempre caratterizzato il settore all’interno dell’Amministrazione Penitenziaria aderendo così anche alle previsioni contenute nella Raccomandazione n. (92) 16 “Regole Europee sulle sanzioni e misure alternative alla detenzione” e più di recente alla Raccomandazione R(2010)1 in materia di Probation.

c) La altrettanto importante necessità di consolidare e di mettere a sistema il rapporto con il territorio, tema che non è corollario, ma asse portante delle politiche di inclusione, tanto più se si consolideranno le proposte di riforma.

d) La governance delle politiche territoriali è ancorata alle sperimentazioni ( che occorre ribadirlo sono importanti, ma non bastano ) Faccio alcuni esempi sono sempre più frequenti le normative che per essere effettive prevedono fasi di concertazione e decreti attuativi della Conferenza Stato Regioni o Accordi, Protocolli ecc. (Sanità, Legge Detenute Madri, Legge 199 e in ultimo, ma non per importanza - la recente norma disposizioni per il definitivo superamento degli OPG – norma condivisibile e auspicata, ma di complessa attuazione senza una sostanziale modifica del norme che disciplinano le misure di sicurezza.

Se si condivide tutto ciò coerentemente occorrerebbe pensare ad un sistema delle misure alternative supportato da una solida organizzazione (anche multi professionale) ed è evidente che l’attuale assetto è carente, se poi si incide, si falcidia l’attuale assetto, attingendo ad esso per raggiungere la riduzioni imposte dalle più recenti normative, significa che dalla residualità si passa all’annullamento.

Per completezza va detto che la legge 154/2005 prevedeva per gli Uepe l’emanazione di un decreto di riorganizzazione (decreto firmato dal Ministro Alfano e mai pubblicato) che stabiliva gli Uepe sedi dirigenziali, quelli non dirigenziali e le sedi di servizio (con diverse modifiche rispetto agli attuali assetti e correttivi delle competenze territoriali ad oggi connesse – v. tab-. A art. 72 l. 354/75 – ai tribunali). Il decreto non è stato emanato ma la previsione contenuta nella legge 154 rimane in attesa di attuazione.

E’ sotto questo profilo necessario intervenire anche in relazione alle modifiche che stanno interessando l’organizzazione giudiziaria, ma chi è in grado di rappresentare queste necessità, in assenza di un Dirigente Generale per la DGEPE? E ancora l’Amministrazione deve valutare in considerazione dei cambiamenti che stanno interessando le province se tale riferimento territoriale è ancora valido.



Le Ipotesi

Se - come sembra - si sta pensando alla soppressione dei Dirigente degli Epe dei Provveditorati Regionali significa affermare che non è necessario alcuna azione di :

a) coordinamento

b) relazione con il territorio regionale

c) con la magistratura

d) pianificazione regionale

e) valutazione dei progetti

f) valutazione circa l’allocazione delle risorse.





Significa che gli Uepe avranno sempre meno dignità all’interno delle strutture decentrate Prap, significa che esiste solo la dirigenza dei direttori di istituto penitenziario e quella della polizia penitenziaria, significa quindi che questa sarà l’ Amministrazione Penitenziaria.

Una scelta coerente di riorganizzazione deve salvaguardare le funzioni e verificare quali posti di funzione sono riducibili.

Occorre ripensare il sistema, ma per renderlo conforme agli obiettivi istituzionali, va, quindi condotto un esame serio della situazione attuale con riguardo ad alcuni elementi :

- n° di misure alternative, non sottovalutando gli scenari futuri in relazione alle ipotesi di riforma del sistema dell’esecuzione penale esterna.

- n° di detenuti presenti negli Istituti di competenza dei diversi Uepe

- n° di detenuti definitivi con residuo pena inferiore ai tre anni o in esecuzione di pena per condanne entro i tre anni, che con buona approssimazione sono i potenziali destinatari delle m.a..,

- n° di detenuti tossicodipendenti definitivi

- il dettaglio dei detenuti che rientrano nei criteri previsti dalla legge 9/2012

- aumento della capacità ricettiva di alcuni Istituti in relazione al Piano Carceri

- corretta valutazione circa l’incidenza delle misure concesse dalla libertà e dell’esecuzione della pena presso il domicilio concessa dalla libertà.

Contestualmente occorre anche avere riguardo per altri elementi quali :

- l’ampliamento delle misure di sicurezza correlato al piano di dismissione degli OPG.

- l’investimento relativo al lavoro di pubblica utilità correlato alle modifiche al CDS, alla legge 49/2006, ma oggi ipotizzato anche in connessione alla messa alla prova o altre misure.

- la complessità del territorio, sia in termini logistici (collegamenti e trasporti, zone disagiate), che di caratteristiche dell’utenza.



Rispetto all’attuale organizzazione è di tutta evidenza che ci sono sedi dirigenziali che hanno numeri bassissimi e che possono essere “declassate”, così come ci sono sedi non dirigenziali che gestiscono numeri elevati e sedi di servizio che hanno numeri notevoli; ogni regione si i è mossa in modo autonomo, aprendo tutte le sedi previste (vedi Calabria, Toscana), ma la valutazione circa l’apertura di una sede nuova non può essere lasciata solo alle favorevoli condizioni territoriali (disponibilità della sede, disponibilità del personale), deve rispondere a chiari parametri definiti a livello nazionale. Sul lungo periodo, infatti, non sono risultate proficue le soluzioni adottate quali la rotazione del personale, l’invio in missione (conformemente a quanto previsto dall’Accordo nazionale in materia di mobilità con rotazione di sei mesi). Tale modalità di gestione ha generato conflittualità fra il personale, diviso fra la voglia di sperimentare soluzioni nuove e il personale che lamenta, in assenza di risorse aggiuntive, la difficoltà di mettere a sistema una diversa organizzazione.

Sarebbe opportuno valutare gli assetti organizzativi prestando attenzione al rapporto COSTI/BENEFICI/OBIETTIVI , tenendo conto degli elementi richiamati in premessa ed in particolar modo degli scenari futuri, tenendo presente che occorre esplicitare le strategie politiche che si ritiene di perseguire: se si privilegia la dimensione di prossimità, anche in vista dell’introduzione della messa alla prova (che implicherà un più diretto rapporto con i Tribunali) bisogna investire sulle sedi di servizio, se si privilegia l’accorpamento occorre individuare un criterio nazionale, non essendo utile una dimensione a macchia di leopardo.

L’accresciuta marginalizzazione è oggi resa ancor più evidente dal fatto che sempre più accade che direttive e circolari non vedano come destinatari gli Uepe e in molte occasioni al Prap, intercettata la nota, la circolare, la disposizione si deve provvedere a riparare, ma è sempre più evidente il messaggio che gli operatori ricevono.

Il miglioramento della qualità del servizio è un obiettivo condiviso da tutti, ma la situazione attuale degli UEPE registra carenze sia dal punto di vista delle risorse umane che di quelle materiali. La riorganizzazione deve anche avere riguardo per chiari e sostenibili standard di intervento ( si pensi alla riforma della p.a. ).Nella relazione annuale della DGEPE significativamente si legge “ In una situazione quale quella attuale, dove la pena alternativa alla detenzione rappresenta l’evoluzione dell’intero sistema dell’esecuzione penale, non solo a fini deflattivi, ma soprattutto per realizzare al meglio il mandato dell’art. 27 della Carta Costituzionale, l’analisi qualitativa e quantitativa dei contenuti offerti dal monitoraggio delle azioni poste in essere nel corso del 2011 dall’intero sistema dell’esecuzione penale esterna costituisce la base documentale da cui partire per programmare interventi volti ad assicurare maggiori standard qualitativi di intervento.

Nella stessa relazione al cap “PIANO DI RIORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI DI ESECUZIONE PENALE ESTERNA si legge “ Per far fronte alla situazione sopradescritta di grave carenza di personale dirigenziale e civile, la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna – con Lettera Circolare n. 0420145 del 7 novembre 2011 sulla “Funzionalità degli Uffici di esecuzione penale esterna”- ha elaborato, sulla scorta delle proposte pervenute dai Provveditori Regionali per i territori di loro rispettiva competenza, un piano di riorganizzazione degli Uffici locali di esecuzione penale esterna, sottoposta al vaglio del Capo del Dipartimento.

Non si conosce il dettaglio di tale proposta, ma è significativa l’elencazione delle criticità , la situazione del personale descritta, e non solo di quello dirigenziale , l’ espresso riferimento alla rideterminazione delle piante organiche rapportate all’effettivo fabbisogno stata effettuata dal Gruppo di lavoro dipartimentale, istituito in attuazione dell’art. 5 della legge 199/10, con il compito di adeguare la dotazione del personale di Polizia Penitenziaria e del personale civile alla mutata entità numerica della popolazione detenuta ed in esecuzione penale esterna, anch’esse non conosciute e sulle quali nulla si può dire, resta il fatto che significativamente la relazione si conclude con queste parole “Si auspica, comunque, che alla luce dell’attuale situazione emergenziale del sistema penitenziario e di quanto disposto nella legge 199/10 si proceda ad un adeguamento dell’organico dirigenziale ed amministrativo correlato alle effettive esigenze determinate dall’incremento della popolazione in esecuzione penale”.



Più di recente è intervenuto un autorevole parere del CSM, e soprattutto è intervenuto il DDL 5019 che prevede l’introduzione della messa alla prova), sia uno degli strumenti fondamentali per intervenire sul sistema, ma occorre dare strumenti, risorse e sostanza al settore dell’esecuzione penale esterna, soprattutto se l’obiettivo è quello, anche di recente richiamato da numerose risoluzioni in sede politica.



12 ottobre 2012





Dott.ssa Milena Cassano Uepe Prap Milano


Dott. Eustachio V. Petrallla Uepe Prap Bari

Dott.ssa Daniela Calzelunghe Uepe Firenze

Dott.ssa Rossella Giazzi Uepe Pisa

Dott. Salvatore Nasca Uepe Livorno

Dott.ssa A. Maria De Gruttola Uepe Avellino

Dott.ssa Rita Andrenacci Uepe Prap Roma

Dott. Emilio Molinari Uepe Prap CZ

Uepe Cosenza

Uepe Catanzaro

Dr.ssa Chiara Ghetti Uepe Prap Padova

Dott.ssa Angela Magnino Uepe Prap Torino

Dott.ssa Paola Ruggeri Uepe Bari

Dott.ssa G. Levita Uepe Caserta

Dott.ssa Marina Altavilla Uepe Palermo

Uepe Catania

Dott. Pietro Guastamacchia Uepe Prap Potenza

Uepe Potenza

Dott.ssa Elena Paradiso Uepe Prap Ancona

Uepe Ancona

Dott.ssa Laura Borsani Uepe Prap Perugia

Dott.ssa Paola Schiaffelli Uepe Prap BO

Uepe Bologna

Dott.ssa Angela Buscaino Uepe Trapani

Dott.ssa Elisa Bertagnini Uepe Massa

Dott.ssa Patrizia Tarozzi Uepe Modena


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