L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

mercoledì 17 ottobre 2012

Intervento SIDIPE Realizzazione circuito regionale ex art. 115 DPR 30 giugno 2000, n. 230


Incontro D.A.P.-OO.SS. del 15.10.2012 su convocazione GDAP-0353750-2012 del 04.10.2012

INTERVENTO DEL SEGRETARIO NAZIONALE SI.DI.PE.

Anzitutto desideriamo ringraziarLa per questo incontro.

Deve principalmente apprezzarsi, infatti, l’approccio metodologico che vede il preliminare passaggio, come oggi, del confronto con le organizzazioni sindacali, pur non vertendosi su materie oggetto di negoziazione, riguardo a questioni che afferiscono alla gestione penitenziaria e che, quindi, incidono sull’organizzazione del sistema penitenziario e, conseguentemente, sull’impiego e sul modus operandi impresso agli operatori penitenziari.

Quando nel maggio scorso fu emanata la circolare sui circuiti penitenziari regionali (gdap-0206745- 2012 del 30.05.2012) tirammo già un respiro di sollievo, non solo perché veniva superata la circolare del novembre 2011, che aveva ipotizzato un modello di classificazione delle persone detenute per “bollini”, tanto teorico quanto inutile e difficoltoso, ma anche perché ci è parso un modo più razionale, pragmatico e funzionale di guardare al carcere, secondo una visione regionale, quindi territoriale, ma di insieme.

Ci è parso un modello rispondente ad una visione più moderna del penitenziario, anche per quella

dimensione di valorizzazione del trattamento rieducativo dei detenuti rappresentata dalle sezioni e dagli istituti a “regime aperto”, in una dimensione che coinvolge tutti gli istituti di “media sicurezza”.

Ci è sembrato che questo modello per un verso si proponga, in un certo senso, come un’estensione dell’esperienza degli istituti sperimentali del recente passato ed a custodia attenuata, e che, per altro verso, vada oltre quelli, in una dimensione di ordinarietà custodiale che supera, per i detenuti di bassa pericolosità, la logica dell’eccessiva perimetrazione degli spazi di vita, rispondenti a logiche gestionali e modus operandi mai reingegnerizzati per i quali sicurezza e trattamento restavano concetti dicotomici, a favore di un’azione più integrata e sinergica tra gli operatori penitenziari tradizionalmente della sicurezza e quelli tradizionalmente del trattamento, chiamati insieme a verificare l’idoneità al regime aperto.

Sotto questo profilo riteniamo, tuttavia, debba essere centrale il ruolo della formazione del personale, purtroppo oggi troppo sacrificata a causa delle scarse risorse finanziarie e che, invece,

dovrebbe essere potenziata affinché il nuovo modello possa essere adeguatamente compreso e assimilato, condizione questa essenziale perché possa trovare attuazione efficace attraverso la condivisione di tutti gli operatori penitenziari.

Ci è parso che in questo nuovo modello la maggiore apertura del detenuto a bassa pericolosità sia

finalizzata non solo a rendere la pena più conforme all’ordinamento penitenziario, alla Costituzione ed alle norme internazionali ma anche ad un potenziamento delle attività di osservazione e trattamento, giacché una pena meno segregativa consente agli operatori penitenziari di osservare il detenuto meglio ed in modo meno artificiale di quanto avviene in un colloquio da scrivania, in un contesto meno rigido e più realistico nel quale il soggetto si pone a contatto con i compagni e gli operatori in modo più naturale.

In questo senso ci è sembrato che questo nuovo modello di sezioni o istituti “a regime aperto” sia concepito come funzionale e propedeutico all'accesso alle misure alternative alla detenzione, che il

tentativo di stimolare il senso di responsabilità della persona detenuta intenda passare non dalla sottoscrizione di un mero atto formale, il patto di responsabilità, ma principalmente attraverso un’attività importante di osservazione da parte degli operatori del trattamento (i funzionari giuridico-pedagogici per l’osservazione dentro il carcere ed i funzionari di servizio sociale per predisporre i contatti con la famiglia e il territorio ai fini del reinserimento sociale della persona detenuta) e da parte della stessa polizia penitenziaria, che la vigente normativa non relega a meri compiti di “vigilanza” ma anzi gli attribuisce anche funzioni di partecipazione all’osservazione e al trattamento rieducativo dei detenuti, sotto la supervisione ed il coordinamento del direttore dell’istituto che, per legge, è il responsabile del trattamento penitenziario oltre che della sicurezza.

Già in passato e di recente nel mese di aprile in pubblica conferenza noi avevamo dichiarato che occorreva un modello nuovo di esecuzione della pena in carcere, un modello che andasse nella direzione della responsabilizzazione del detenuto e non solo del suo contenimento, un modello nel quale il trattamento trovasse la principale risorsa nel lavoro penitenziario.

Signor Presidente, questo nuovo modello di carcere, che tanto trova la nostra approvazione ed il nostro apprezzamento, rischia tuttavia di essere inattuabile o, comunque, se attuato rischia di essere qualcos’altro e di non raggiungere gli obiettivi che sembra volersi prefiggere.

• La gravissima situazione di emergenza penitenziaria, pure dichiarata dal Governo;

• il dramma del sovraffollamento delle carceri, contenitori di quasi 67.000 detenuti a fronte di una capienza complessiva di 45.000 posti;

• l'assoluta insufficienza delle risorse finanziarie e umane;

• il depauperamento dei dirigenti penitenziari, tanto del ruolo di istituto penitenziario, chiamati a gestire l’emergenza delle carceri) quanto - e ancor piú – del ruolo di esecuzione penale esterna, chiamati a concorrere alla gestione di questa emergenza attraverso l’attuazione alle misure alternative alla

detenzione, volano essenziale per decongestionare le carceri;

• la grave carenza di personale penitenziario di tutti i profili professionali e, in particolare: l’irrisorietà di funzionari giuridico-pedagogici, la quasi sparizione dei funzionari di servizio sociale, la carenza di organico, pari a circa 7000 unitá, del personale di polizia penitenziaria.

Questo é il quadro drammatico di un'emergenza penitenziaria mai vista prima e per la cui quotidiana gestione, perché siano contenuti i danni, sono chiamati i dirigenti penitenziari, con gli altri operatori, ed è su questa emergenziale situazione che si sta abbattendo lo tzunami della spending review che finirà con il privare ogni carcere del suo direttore, situazione gravissima perché il direttore è il primo garante dei principi di legalità nell’esecuzione penale, essendo ad egli demandato dall’ordinamento il compito di assicurare l’essenziale equilibrio tra le esigenze di sicurezza (penitenziaria e della collettività) e quelle del trattamento rieducativo delle persone detenute.

Per questa ragione il Si.Di.Pe. si é tempestivamente mosso per la presentazione dell'Ordine del giorno della Camera dei Deputati n. 9/5389/53 del 07.08.20121 che << impegna il Governo: a valutare l'opportunità, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, di interpretare l'articolo 2, comma 7, del D.L 95/2012 nel senso che sono esclusi dalla riduzione di cui al comma 1 del medesimo articolo anche i dirigenti penitenziari ed in tal senso interpretare la deroga prevista per le forze di polizia già dal precedente provvedimento normativo (articolo 1, comma 5, decreto-legge n. 138/2011) che non ha trovato attuazione>> e che riguarda anche il restante personale penitenziario2.

E’, quindi, indispensabile in via del tutto preliminare e propedeutica avere assicurazione formale da

parte del Governo che sarà data piena attuazione all’ordine del giorno e che, conseguentemente, dalla riduzione degli organici sia esclusa l’Amministrazione penitenziaria in quanto, come Lei stesso ha dichiarato, Signor Presidente, l’applicazione dei tagli di organico statuiti nel Decreto Legge 6 luglio 2012 n.95 produrrebbero gravi conseguenze sull’organizzazione dell’Amministrazione, poiché tale ulteriore riduzione rispetto alle precedenti comprometterebbe la tenuta del sistema penitenziario.

Sappiamo che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha segnalato agli Organi competenti la grave destabilizzazione del sistema che conseguirebbe all’applicazione dell’art. 2, comma 5, del D.L. n.95/2012 e che ha evidenziato che l’Amministrazione per essere amministrazione di sicurezza è inserita dalla dizione della norma tra quelle destinatarie dell’esclusione di cui all’art.2, comma 7 del medesimo Decreto Legge, perché l’esecuzione della pena e delle misure cautelari detentive contribuisce ad assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica e, in tal senso, il sistema penitenziario costituisce nel suo insieme articolazione appartenente alla complessiva struttura di sicurezza dello Stato3. Le preoccupazioni del Si.Di.Pe. sono reali e allo stato non lasciano spazio ad alcun ottimismo, atteso che sino ad ora nessuna rassicurazione è pervenuta a riguardo.

Anzi, continuano pure a susseguirsi voci allarmanti di liste di proscrizione per dirigenti penitenziari

da pensionare, di soppressione di posti di funzione dirigenziale, di accorpamenti di sedi penitenziarie, di declassamento a sedi non dirigenziali di molti uffici, addirittura di rischi di mobilità e persino di licenziamenti.

E tutto questo mentre i dirigenti penitenziari devono gestire un’emergenza penitenziaria mai vista

prima e senza che ad essi sino ad oggi sia stato riconosciuto alcuno dei diritti discendenti dalla legge 154/2005 istitutiva della carriera dirigenziale penitenziaria, infatti i dirigenti penitenziari.

Un carcere, sia pure il più piccolo, senza direttore, armonizzatore delle esigenze di sicurezza e di

quelle trattamentali, sposterebbe l’asse gestionale, per forza di cose, su altre figure e se dovessero venire meno le già ridotte figure professionali del trattamento (anzitutto funzionari giuridico-pedagogici e funzionari della professionalità di servizio sociale) questo asse non potrà che ruotare intorno al personale di polizia penitenziaria, cosicché la dimensione del penitenziario diverrà per forza di cose prevalentemente sicuritaria e, quindi, meramente custodiale; così, uffici di esecuzione penale esterna svuotati di dirigenti e di funzionari della professionalità di servizio sociale non sarebbero in grado di funzionare e le misure alternative alla detenzione non troverebbero alcuna possibilità di applicazione, cosicché l’asse dell’esecuzione penale si sposterebbe totalmente sul carcere, con conseguenze di sovraffollamento ben peggiori di quelle alle quali stiamo assistendo oggi con circa 67.000 detenuti stipati nelle celle.

Signor Presidente, La ringraziamo per aver rappresentato al Ministro della Giustizia la gravità della

situazione ma La preghiamo, sentitamente e sinceramente, di volersi fare portavoce nuovamente con il Guardasigilli di questo grido d’allarme dei Dirigenti penitenziari.



Ringrazio per l’attenzione.

Il Segretario Nazionale

Rosario Tortorella



1 Seduta di annuncio: 678 del 07/08/2012 - Primo firmatario: BERNARDINI RITA Gruppo: Partito Democratico Data firma: 07/08/2012 - co-firmatari dell'atto: BELTRANDI MARCO, FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA, MECACCI MATTEO, TURCO MAURIZIO, ZAMPARUTTI ELISABETTA, CAPANO CINZIA (Partito Democratico); FARINA RENATO (Popolo della Libertà).

2 l’Ordine del giorno n.9/5389/53 impegna il Governo anche <>.