L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 30 novembre 2007

REDATTORE SOCIALE

11.17 30/11/2007
Colombo: ''No alla sanzione come pena''
L'ex consigliere della Corte di Cassazione al convegno del Seac: ''La devianza, strumento per sopravvivere''. Al volontariato il ruolo di portare il carcere fuori dal carcere.
Ripartire dalle cause e dalle conseguenze della detenzione per comprendere i difetti del nostro sistema penale. Ha il sapore della provocazione l'intervanto che Gerardo Colombo, ex consigliere della Corte di Cassazione, ha svolto ieri al convegno nazionale del Seac, il Coordinamento degli enti e associazioni di volontariato penitenziario che celebra quest"anno il suo quarantesimo anniversario. "Fino a quando penseremo alla sanzione come 'pena', una sofferenza da infliggere all"individuo in misura proporzionale al male arrecato, saremo in contraddizione non solo con i principi fondamentali della Costituzione ma anche con quelli della nostra società”. E questo perché, ha spiegato il magistrato, il modello sanzionatorio correntemente applicato nelle carceri è tipico di un modello di comunità gerarchico e piramidale, che sopravvive oggi in società che aspirano ad essere egualitarie e rispettose dei diritti umani, come una contraddizione profonda. Che si esplica a partire dall’incapacità di agire preventivamente sulle ragioni della devianza: "Applichiamo un unico rimedio ad una gamma di situazioni che siamo incapaci di distinguere. Ci sono persone che detenute in carcere necessariamente recidiveranno, perché la devianza è lo strumento attraverso il quale possono sopravvivere o salire almeno un gradino della scala sociale”. In questi casi, è ovvio, la soluzione non può essere né il carcere, né la sanzione alternativa, spiega Colombo: “bisogna che queste persone abbiano la possibilità di vivere dignitosamente”.Premesso che molto deve essere risolto prima del carcere, “se pensiamo che la sanzione deve essere utile all’individuo e alla società nel suo complesso in un’ottica di riabilitazione, allora siamo ancora lontani dall’obbiettivo”. Consentire che la giornata tipo di un detenuto si svolga per 21 ore all’interno di una cella, racconta Gherardo Colombo basandosi su un’esperienza diretta all’interno delle strutture carcerarie, è il presupposto stesso per spingerlo a commettere altre violazioni. “L’articolo 4 della Costituzione italiana indica come dovere di tutti i cittadini - e non solo dei cittadini liberi - di svolgere attività, a loro consone, che concorrano al progresso materiale o spirituale della società”. Come si vede, la strada da percorrere per completare quello che è a tutti gli effetti un “processo di modifica della mentalità di base” è ancora lunga. Nel frattempo una delle soluzioni praticabili è quella di coinvolgere il mondo esterno su questi problemi, riportando il tema del carcere all’attenzione dell’opinione pubblica. “Come la morte, come la malattia, il carcere è uno di quelle realtà rimosse dalla nostra cultura. Ma un’esperienza come quella di “Mani pulite”, che portò più di una persona importante a visitare gli istituti di reclusione, ci insegna che tornare a parlare di carcere è utile: allora qualcosa si mosse, qualcosa fu aggiustata, almeno temporaneamente”. Tra le funzioni fondamentali che svolge oggi il volontariato penitenziario c’è proprio quella di portare il carcere fuori dal carcere, oltre quegli ambienti ristrettissimi di addetti ai lavori per riflettere e trovare soluzioni condivise. Infine la provocazione: “ Perché non partire proprio dall’esperienza dei detenuti per ripensare l’organizzazione del sistema carcerario?” chiede Gherardo Colombo. (Ilaria Costantini)