REDATTORE SOCIALE
Suicidi, il disagio degli agenti penitenziari
2 gennaio 2008
Parla Francesco Quinti, sindacalista della Cgil, che evidenzia i costi della vita, la necessità di spostamenti e i conseguenti contraccolpi familiari, il mancato ricambio generazionale. E preoccupa il coinvolgimento negli Uepe.
Quattro casi di suicidio tra il personale della Polizia Penitenziaria. Sono avvenuti tutti durante il mese di dicembre a ridosso del Natale e di Capodanno. I sindacati lanciano l’allarme e ora si tenta di capire se esistono correlazioni con i problemi di organizzazione delle carceri e in generale con l’attività professionale.
"Nessuno dei casi di suicidio che sono avvenuti tra gli agenti penitenziari è stato finora ancora spiegato. Non sappiamo quindi se sono legati direttamente a qualche motivo di disagio, ma è potrebbero essere l’ennesimo segnale di un’emergenza nel Corpo della polizia penitenziaria. Secondo i sindacalisti del settore, questa emergenza potrebbe essere anche amplificata dal prossimo coinvolgimento della polizia penitenziaria nelle misure alternative al carcere".
Risponde così alle nostre domande sui casi di suicidi tra i poliziotti penitenziari Francesco Quinti, sindacalista Cgil della polizia penitenziaria. Uno dei casi di suicidio ha coinvolto un commissario comandante abbastanza giovane che era stato appena trasferito da Modena a Bologna. Non si conoscono quindi le motivazioni che potrebbero stare dietro il tragico gesto.
Un altro caso di suicidio ha riguardato invece un agente penitenziario in servizio in un carcere del nord Italia. Anche su questo episodio non si sa molto, anche se i colleghi dell’agente avevano parlato di una difficile situazione familiare legata a una separazione.
In ogni caso il disagio tra i poliziotti che lavorano in carcere è evidente e molti sono i problemi sociali che coinvolgono la categoria. Sempre secondo Francesco Quinti, uno dei problemi più grossi riguarda gli alti costi degli affitti e in generale della vita.
"I poliziotti penitenziari percepiscono stipendi che si aggirano (con gli straordinari) sui 1.400 euro mensili. Se sono in servizio nelle carceri del nord sono costretti a vivere in caserma o a pagare affitti che vanno dagli 800 euro a mille euro al mese. La maggior parte degli agenti provengono dal Sud e quindi non hanno la possibilità, se sono sposati di trasferire le loro famiglie vicine al carcere dove lavorano. La vita famigliare diventa spesso un inferno".
L’altra questione che bisognerebbe affrontare con urgenza riguarda il personale nel suo complesso e il mancato ricambio generazionale. "Sta infatti aumentando il numero dei poliziotti che per ragioni di salute (in base all’articolo 75 della legge 433 del 1992) chiede il trasferimento in uffici o comunque al ruolo civile. Senza nuovi ingressi, dunque, i trasferimenti ridurranno ulteriormente gli effettivi in carcere aumentando il disagio.
Con l’indulto la pressione sul Corpo della polizia penitenziaria si era parzialmente (e provvisoriamente) ridotta, visto che i detenuti sono non sono più i 62 mila della fase pre-indulto. Ora però si è di nuovo sfiorata quota 50 mila".
Per quanto riguarda il coinvolgimento della polizia penitenziaria nella gestione dei detenuti in misure alternative al carcere il Dap ha parlato di un migliaio di poliziotti che saranno impegnati nella nuova funzione in via sperimentale. Secondo i sindacati, però, alla fine si potrebbe arrivare anche a 2.000 poliziotti.
Parla Francesco Quinti, sindacalista della Cgil, che evidenzia i costi della vita, la necessità di spostamenti e i conseguenti contraccolpi familiari, il mancato ricambio generazionale. E preoccupa il coinvolgimento negli Uepe.
Quattro casi di suicidio tra il personale della Polizia Penitenziaria. Sono avvenuti tutti durante il mese di dicembre a ridosso del Natale e di Capodanno. I sindacati lanciano l’allarme e ora si tenta di capire se esistono correlazioni con i problemi di organizzazione delle carceri e in generale con l’attività professionale.
"Nessuno dei casi di suicidio che sono avvenuti tra gli agenti penitenziari è stato finora ancora spiegato. Non sappiamo quindi se sono legati direttamente a qualche motivo di disagio, ma è potrebbero essere l’ennesimo segnale di un’emergenza nel Corpo della polizia penitenziaria. Secondo i sindacalisti del settore, questa emergenza potrebbe essere anche amplificata dal prossimo coinvolgimento della polizia penitenziaria nelle misure alternative al carcere".
Risponde così alle nostre domande sui casi di suicidi tra i poliziotti penitenziari Francesco Quinti, sindacalista Cgil della polizia penitenziaria. Uno dei casi di suicidio ha coinvolto un commissario comandante abbastanza giovane che era stato appena trasferito da Modena a Bologna. Non si conoscono quindi le motivazioni che potrebbero stare dietro il tragico gesto.
Un altro caso di suicidio ha riguardato invece un agente penitenziario in servizio in un carcere del nord Italia. Anche su questo episodio non si sa molto, anche se i colleghi dell’agente avevano parlato di una difficile situazione familiare legata a una separazione.
In ogni caso il disagio tra i poliziotti che lavorano in carcere è evidente e molti sono i problemi sociali che coinvolgono la categoria. Sempre secondo Francesco Quinti, uno dei problemi più grossi riguarda gli alti costi degli affitti e in generale della vita.
"I poliziotti penitenziari percepiscono stipendi che si aggirano (con gli straordinari) sui 1.400 euro mensili. Se sono in servizio nelle carceri del nord sono costretti a vivere in caserma o a pagare affitti che vanno dagli 800 euro a mille euro al mese. La maggior parte degli agenti provengono dal Sud e quindi non hanno la possibilità, se sono sposati di trasferire le loro famiglie vicine al carcere dove lavorano. La vita famigliare diventa spesso un inferno".
L’altra questione che bisognerebbe affrontare con urgenza riguarda il personale nel suo complesso e il mancato ricambio generazionale. "Sta infatti aumentando il numero dei poliziotti che per ragioni di salute (in base all’articolo 75 della legge 433 del 1992) chiede il trasferimento in uffici o comunque al ruolo civile. Senza nuovi ingressi, dunque, i trasferimenti ridurranno ulteriormente gli effettivi in carcere aumentando il disagio.
Con l’indulto la pressione sul Corpo della polizia penitenziaria si era parzialmente (e provvisoriamente) ridotta, visto che i detenuti sono non sono più i 62 mila della fase pre-indulto. Ora però si è di nuovo sfiorata quota 50 mila".
Per quanto riguarda il coinvolgimento della polizia penitenziaria nella gestione dei detenuti in misure alternative al carcere il Dap ha parlato di un migliaio di poliziotti che saranno impegnati nella nuova funzione in via sperimentale. Secondo i sindacati, però, alla fine si potrebbe arrivare anche a 2.000 poliziotti.
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