SIDIPE
Per rilanciare insieme la Questione Penitenziaria
Una collega, qualche giorno fa, si sfogava e mi scriveva: "Caro Enrico, so benissimo che quello che dirò non è niente di nuovo e che con te sfondo un porta aperta. Sono molto preoccupata; continuano a pervenire dall’amministrazione disposizioni che tendono ad escluderci. È sempre più evidente la volontà dell’Amministrazione di escluderci, sbilanciando eccessivamente gli equilibri degli istituti verso la diretta ed autonoma gestione del settore sicurezza. È un’ottica pericolosissima. È molto preoccupante; si tratta di indirizzi e scelte che farebbero impallidire le più severe dittature… (è il colmo!!!). Neanche la più "radicale" dittatura di destra avrebbe partorito queste mostruosità. Un abbraccio, S…".
Ho ringraziato la collega, ricordando che le dittature non sono solo di destra, le dittature sono semplicemente delle dittature… ma fatta questa precisione, non possiamo non constatare come l’amm.ne appaia incapace di riprendere la china, anzi continui a precipitare avvolgendosi in se stessa, sottolineare come si respiri un’atmosfera preoccupante, d’imbarbarimento e di rinuncia insieme: valori condivisi che proiettavano e rendevano diversa la funzione penitenziaria rispetto a quelle che tradizionalmente trattano le questioni della sicurezza, attribuendo alla stessa anche aspirazioni di carattere sociale, annichiliscono e retrocedono di fronte ad istanze nervose e confuse di una "sicurezza" della quale non si scorgono i contenuti ed i confini.
Di colpo sembra che lavorare in carcere sia percepito per tanti come cosa degradante, un mondo dal quale fuggire, che differenzia, ed in negativo, quanti, operatori penitenziari, sia appartenenti al Corpo che ai ruoli amministrativi, ostinatamente continuino a credere nella funzione sociale penitenziaria.
Se, da una parte, talune categorie asseriscono il principio contrattuale di un "tutto e subito", di non si sa ancora cos’altro, le rimanenti sembrano guardare senza apparente interesse ciò che sta accadendo, oramai rinunciatarie e demotivate (d’altronde la busta paga non entusiasma gli animi…).
Termini come rieducazione, trattamento, finalità educativa della pena, sembrano rimpicciolirsi per dare spazio a compiti "altri", compiti che seppure possono in linea di principio interessare pure la nostra amministrazione, ma che a guardar bene "distraggono" il nostro personale dai compiti dominanti.
La polizia penitenziaria, già in affanno nelle carceri, viene ulteriormente polverizzata tra palazzi di giustizia, notifiche di atti, attività di tutela e scorta, nel mantenimento dell’ordine e della sicurezza finanche nei bar aziendali dell’amm.ne, distaccata in istituti già tronfi di personale, e poi toccherà agli Uepe, ai servizi di polizia stradale e così via…
Gli educatori (in realtà, sul campo, per davvero direttori di area pedagogica…) sono divenuti merce rara: essi si rinvengono copiosi solo nelle circolari "impossibili" o vengono concentrati in alcune realtà territoriali fortunate…
Nel mentre, il numero dei detenuti sale vertiginosamente, così la temperatura delle carceri, ed irrefrenabile risulta essere la conta dei suicidi che sembra contagiare non soltanto le persone detenute, interessando finanche gli stessi operatori penitenziari.
L’assenza di un progetto politico che guardi le carceri ed i temi della carcerazione risulta di tutta evidenza: solo inutili formule e frasi fatte e scontate ormai sentiamo palleggiare nei dibattiti che trattano il tema.
La macchina si è fermata, anzi arretra e pare che la cosa più importante siano le funzioni di polizia stradale del Corpo o l’ulteriore tentativo di trasformare il Dap in un contenitore ancora più burocratizzato, incapace di risolvere i problemi anche i più modesti, per non parlare di quelli più complessi, quali la pressoché totale scopertura di molti istituti nei confronti dell’effettiva attuazione del Dlgs. 626 e ss.
Gli ostacoli vengono aggirati piuttosto che affrontati e risolti: in questo contesto assistiamo a tentativi reiterati di movimentazione forzata di personale dirigente periferico senza che vi sia un sistema di regole condiviso, al levo irriguardoso di funzionari che aspiravano, giustamente, ad un ruolo speciale dirigenziale ad esaurimento, dopo avere con successo, e in taluni casi per anni, retto egregiamente degli uffici Uepe.
Nel frattempo, preoccupati, attendiamo l’annunciato passaggio al sistema sanitario nazionale di quelle funzioni che, finora, seppure con grandi assunzioni di responsabilità, siamo riusciti a garantire nella generalità degli istituti ed è ovvio che noi si chieda: dopo come sarà? Sapranno i Sert garantire gli stessi livelli di assistenza che noi assicuriamo ogni giorno, domeniche e festivi compresi, notte e giorno, natale o pasqua che sia, ai detenuti tossicodipendenti? Sapranno i Dipartimenti di Salute mentale assicurare l’assistenza costante, quantomeno quella farmacologia, ai numerosi soggetti problematici che oggi affollano molti istituti? Riusciranno a garantire le presenze corrispondenti di infermieri professionali così come oggi noi facciamo utilizzando il personale convenzionato?
Carceri nuove non se ne vedono (altro che "Project financing" proposto dal Sidipe…), quelle esistenti richiedono costanti flussi economici per affrontare l’ordinarietà ed il personale tutto appare sempre più deluso… In questo contesto il Sidipe porta avanti le sue rivendicazioni, rivendicazioni ovvie, semplici: contratto e regole, contratto e trasparenza, contratto ed imparzialità!
Siamo sicuri che, se sapremo muoverci insieme, se continueremo ad essere gruppo, riusciremo - seppure con fatica e con l’amarezza che deriva dal dover assicurare cose che invece dovrebbero essere anzitutto interesse della Parte Pubblica - a conseguire, ancora una volta, tutti gli obiettivi che ci siamo dati: Nessuno ci distoglierà, così come fu per la Meduri.
Entro il primo semestre del 2008 il Sidipe co-organizzerà un importante convegno internazionale incentrato sulla costituzione di una Carta Deontologica Europea degli operatori penitenziari, il convegno sarà anche l’occasione per fare il punto al nostro interno, compresa la possibile rivisitazione dell’attuale segreteria nazionale, entro gennaio vi sarà il prossimo direttivo, esteso ai referenti regionali: insomma non ci fermiamo. Nel frattempo continueremo a spronare l’amm.ne e le autorità politiche affinché si avviino le procedure che riguardano il nostro primo contratto di categoria. Stopperemo qualunque iniziativa finalizzata a ridimensionare la natura di diritto pubblico che riconosciamo come irrinunciabile per la nostra categoria e che, per il vero, auspicheremmo vedere riconosciuta anche alle altre categorie di operatori penitenziari non in uniforme.
Tutto questo e di più nel 2008, insieme con Voi, insieme agli iscritti del Sidipe - Aff. Cisl/Fps, insieme alla Cisl: Auguri, quindi, per un sereno Natale e per un 2008 fatto di cose concrete ma anche di ideali, di un ritorno a pensare il carcere, ed il sistema penitenziario comprensivo di quello dell’esecuzione penale esterna, in modo moderno, come lo era fino a qualche tempo fa.
Una collega, qualche giorno fa, si sfogava e mi scriveva: "Caro Enrico, so benissimo che quello che dirò non è niente di nuovo e che con te sfondo un porta aperta. Sono molto preoccupata; continuano a pervenire dall’amministrazione disposizioni che tendono ad escluderci. È sempre più evidente la volontà dell’Amministrazione di escluderci, sbilanciando eccessivamente gli equilibri degli istituti verso la diretta ed autonoma gestione del settore sicurezza. È un’ottica pericolosissima. È molto preoccupante; si tratta di indirizzi e scelte che farebbero impallidire le più severe dittature… (è il colmo!!!). Neanche la più "radicale" dittatura di destra avrebbe partorito queste mostruosità. Un abbraccio, S…".
Ho ringraziato la collega, ricordando che le dittature non sono solo di destra, le dittature sono semplicemente delle dittature… ma fatta questa precisione, non possiamo non constatare come l’amm.ne appaia incapace di riprendere la china, anzi continui a precipitare avvolgendosi in se stessa, sottolineare come si respiri un’atmosfera preoccupante, d’imbarbarimento e di rinuncia insieme: valori condivisi che proiettavano e rendevano diversa la funzione penitenziaria rispetto a quelle che tradizionalmente trattano le questioni della sicurezza, attribuendo alla stessa anche aspirazioni di carattere sociale, annichiliscono e retrocedono di fronte ad istanze nervose e confuse di una "sicurezza" della quale non si scorgono i contenuti ed i confini.
Di colpo sembra che lavorare in carcere sia percepito per tanti come cosa degradante, un mondo dal quale fuggire, che differenzia, ed in negativo, quanti, operatori penitenziari, sia appartenenti al Corpo che ai ruoli amministrativi, ostinatamente continuino a credere nella funzione sociale penitenziaria.
Se, da una parte, talune categorie asseriscono il principio contrattuale di un "tutto e subito", di non si sa ancora cos’altro, le rimanenti sembrano guardare senza apparente interesse ciò che sta accadendo, oramai rinunciatarie e demotivate (d’altronde la busta paga non entusiasma gli animi…).
Termini come rieducazione, trattamento, finalità educativa della pena, sembrano rimpicciolirsi per dare spazio a compiti "altri", compiti che seppure possono in linea di principio interessare pure la nostra amministrazione, ma che a guardar bene "distraggono" il nostro personale dai compiti dominanti.
La polizia penitenziaria, già in affanno nelle carceri, viene ulteriormente polverizzata tra palazzi di giustizia, notifiche di atti, attività di tutela e scorta, nel mantenimento dell’ordine e della sicurezza finanche nei bar aziendali dell’amm.ne, distaccata in istituti già tronfi di personale, e poi toccherà agli Uepe, ai servizi di polizia stradale e così via…
Gli educatori (in realtà, sul campo, per davvero direttori di area pedagogica…) sono divenuti merce rara: essi si rinvengono copiosi solo nelle circolari "impossibili" o vengono concentrati in alcune realtà territoriali fortunate…
Nel mentre, il numero dei detenuti sale vertiginosamente, così la temperatura delle carceri, ed irrefrenabile risulta essere la conta dei suicidi che sembra contagiare non soltanto le persone detenute, interessando finanche gli stessi operatori penitenziari.
L’assenza di un progetto politico che guardi le carceri ed i temi della carcerazione risulta di tutta evidenza: solo inutili formule e frasi fatte e scontate ormai sentiamo palleggiare nei dibattiti che trattano il tema.
La macchina si è fermata, anzi arretra e pare che la cosa più importante siano le funzioni di polizia stradale del Corpo o l’ulteriore tentativo di trasformare il Dap in un contenitore ancora più burocratizzato, incapace di risolvere i problemi anche i più modesti, per non parlare di quelli più complessi, quali la pressoché totale scopertura di molti istituti nei confronti dell’effettiva attuazione del Dlgs. 626 e ss.
Gli ostacoli vengono aggirati piuttosto che affrontati e risolti: in questo contesto assistiamo a tentativi reiterati di movimentazione forzata di personale dirigente periferico senza che vi sia un sistema di regole condiviso, al levo irriguardoso di funzionari che aspiravano, giustamente, ad un ruolo speciale dirigenziale ad esaurimento, dopo avere con successo, e in taluni casi per anni, retto egregiamente degli uffici Uepe.
Nel frattempo, preoccupati, attendiamo l’annunciato passaggio al sistema sanitario nazionale di quelle funzioni che, finora, seppure con grandi assunzioni di responsabilità, siamo riusciti a garantire nella generalità degli istituti ed è ovvio che noi si chieda: dopo come sarà? Sapranno i Sert garantire gli stessi livelli di assistenza che noi assicuriamo ogni giorno, domeniche e festivi compresi, notte e giorno, natale o pasqua che sia, ai detenuti tossicodipendenti? Sapranno i Dipartimenti di Salute mentale assicurare l’assistenza costante, quantomeno quella farmacologia, ai numerosi soggetti problematici che oggi affollano molti istituti? Riusciranno a garantire le presenze corrispondenti di infermieri professionali così come oggi noi facciamo utilizzando il personale convenzionato?
Carceri nuove non se ne vedono (altro che "Project financing" proposto dal Sidipe…), quelle esistenti richiedono costanti flussi economici per affrontare l’ordinarietà ed il personale tutto appare sempre più deluso… In questo contesto il Sidipe porta avanti le sue rivendicazioni, rivendicazioni ovvie, semplici: contratto e regole, contratto e trasparenza, contratto ed imparzialità!
Siamo sicuri che, se sapremo muoverci insieme, se continueremo ad essere gruppo, riusciremo - seppure con fatica e con l’amarezza che deriva dal dover assicurare cose che invece dovrebbero essere anzitutto interesse della Parte Pubblica - a conseguire, ancora una volta, tutti gli obiettivi che ci siamo dati: Nessuno ci distoglierà, così come fu per la Meduri.
Entro il primo semestre del 2008 il Sidipe co-organizzerà un importante convegno internazionale incentrato sulla costituzione di una Carta Deontologica Europea degli operatori penitenziari, il convegno sarà anche l’occasione per fare il punto al nostro interno, compresa la possibile rivisitazione dell’attuale segreteria nazionale, entro gennaio vi sarà il prossimo direttivo, esteso ai referenti regionali: insomma non ci fermiamo. Nel frattempo continueremo a spronare l’amm.ne e le autorità politiche affinché si avviino le procedure che riguardano il nostro primo contratto di categoria. Stopperemo qualunque iniziativa finalizzata a ridimensionare la natura di diritto pubblico che riconosciamo come irrinunciabile per la nostra categoria e che, per il vero, auspicheremmo vedere riconosciuta anche alle altre categorie di operatori penitenziari non in uniforme.
Tutto questo e di più nel 2008, insieme con Voi, insieme agli iscritti del Sidipe - Aff. Cisl/Fps, insieme alla Cisl: Auguri, quindi, per un sereno Natale e per un 2008 fatto di cose concrete ma anche di ideali, di un ritorno a pensare il carcere, ed il sistema penitenziario comprensivo di quello dell’esecuzione penale esterna, in modo moderno, come lo era fino a qualche tempo fa.
Enrico Sbriglia
(Segretario Nazionale Sidipe)
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