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sabato 6 settembre 2008

Giustizia: come uscire dal tunnel? processi rapidi e pene certe

di Paola Severino (Vice Rettore Luiss)

Il Messaggero, 4 settembre 2008

L’imminente riapertura dei lavori parlamentari suggerisce ed anzi impone a chi abbia a cuore le sorti della giustizia in Italia di segnalare gli interventi su cui potrebbe basarsi un risanamento del malandato sistema giudiziario italiano ed un recupero di una dimensione della giustizia al servizio del cittadino.

In primo luogo, il ritorno ad una ragionevole durata dei processi: una giustizia ritardata di anni equivale ad una giustizia negata. Nel campo penale, essa lascia del tutto insoddisfatta la vittima del reato, non rende giustizia all’imputato innocente che deve "accontentarsi" della prescrizione anziché ottenere una assoluzione nel merito, non appaga le pretese punitive dello Stato, tradendo il principio di effettività della pena. Su queste devastanti conseguenze si è da tempo raggiunta una comune consapevolezza, accompagnata spesso da una condivisione sulle principali cause che le hanno determinate.

Per quanto riguarda, ad esempio, il processo penale, l’aver concentrato nel dibattimento l’intero procedimento di formazione della, prova attraverso il contraddittorio delle parti e davanti ad un giudice terzo è sì espressione di un sacrosanto principio di civiltà giuridica, ma genera nei fatti una elefantiasi di questa fase processuale che produce inefficienza. Una simile estensione del processo di acquisizione probatoria è ben conciliabile infatti con il sistema anglosassone in cui solo una parte minima dei casi giudiziari sfocia nel dibattimento, ma non lo è con un sistema come il nostro, in cui ogni giudice di ogni sezione penale deve fissare contemporaneamente in un giorno decine di udienze.

Ecco allora che, rispetto a questa fondamentale causa di inefficienza del sistema, potrebbe già formarsi un ampio consenso su una serie di rimedi possibili. Una pregnante opera di depenalizzazione, che lasci alla tutela del giudice penale solo valori costituzionalmente rilevanti. Un abbandono della inveterata tendenza, costantemente seguita negli anni, di sanzionare penalmente qualunque comportamento che susciti allarme sociale, sull’onda dell’emotività più che in base ad una ponderata meditazione sulla meritevolezza di sanzione penale.

L’ampliamento dei riti alternativi e la previsione di riti semplificati per alcune categorie di reati, in modo da evitare che tutti i processi sfocino e si disperdano nei meandri del dibattimento. L’applicazione della normativa che consente di non procedere per fatti di lieve entità, in tal modo ulteriormente selezionando i casi da sottoporre al vaglio del giudice.

In termini riassuntivi, una serie di accorgimenti procedurali e sostanziali, volti a limitare i casi in cui è richiesto il dispiegarsi di lutti i complessi ed articolati riti del dibattimento, in modo che a tali limitati casi il giudice e le parti possano dedicare tutta la dovuta attenzione e tutto il necessario approfondimento. Si tratterebbe di soluzioni ampiamente condivise, considerato che ciò di cui oggi in molti ci si lamenta è che le sanzioni penali siano tante, ma siano spesso solo minacciate e raramente applicate. Sarebbe allora auspicabile che si partisse da queste prospettive comuni per aprire un vero e costruttivo dialogo sulla giustizia.

Un dialogo di cui si avverte da più parti l’esigenza, come ha da ultimo dimostrate il successo della due giorni del seminario promosso dall’Udc e tenutosi a Roma sui più scottanti temi della giustizia, cui hanno preso parte parlamentari di varia appartenenza politica, rappresentanti della magistratura e dell’avvocatura, docenti universitari. Tutti hanno convenuto su due esigenze: ragionevole durata dei processi ed effettività della pena, per restituire efficienza al sistema giudiziario.

Se si partisse da questi punti di comunanza e si prendessero le mosse da quei meccanismi deflattivi su cui in molti hanno espresso consenso, diventerebbe anche possibile affrontare con minore tensione i grandi e più dibattuti temi, come ad esempio quello dell’obbligatorietà dell’azione penale. Se è vero che oggi si tratta di un principio spesso vanificato nei fatti dal sovraffollamento di processi, è altrettanto vero che un sistema di selezione a monte di ciò che deve essere sottoposto al vaglio del giudice penale può consentire di mantenerne inalterata la funzione di garanzia ed anzi di renderlo realmente effettivo. In conclusione, la strada del confronto dialettico su temi specifici e comunemente condivisi appare certamente la migliore per favorire l’intesa sui grandi problemi della giustizia.