Giustizia/Carcere: Messina (Cnvg); così torniamo ai tempi delle rivolte
Redattore Sociale - Dire, 4 settembre 2008
Le ultime cifre del Dap confermano la tendenza più volte segnalata: nel giro di 8 mesi i detenuti presenti nelle carceri italiane torneranno a quota 63 mila, cifra che porto all’indulto del 2006. Parla il presidente della Cnvg.
Che le carceri stanno rapidamente tornando alla situazione che nel 2006 portò all’approvazione l’indulto è una cosa che la società civile va ripetendo da tempo attraverso analisi di cui questa agenzia ha già più volte dato conto. Lo confermano anche gli ultimi dati del Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) riportati questa mattina dal quotidiano "Repubblica", che parlano di 55.369 persone attualmente detenute nelle carceri italiani: un dato che letto in progressione vuol dire che nel giro di otto mesi si tornerà a superare il numero di 63mila detenuti, che nel 2006 portò a scegliere la via dell’indulto. Abbiamo chiesto a Claudio Messina, presidente dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, cosa si può fare se si torna all’affollamento pre-indulto. "Le risposte noi le avevamo già suggerite anni addietro - risponde Messina. - anche all’epoca dell’indulto che avevamo salutato con favore, anche se in linea di principio non siamo favorevoli a questo tipo di misure. Si tratta infatti di misure che sanano, ma se poi non si prendono provvedimenti torna tutto come prima".
E invece, per il presidente della Conferenza Volontariato Giustizia, occorrerebbe una riforma come quella che il volontariato e la Commissione di studio per la riforma del codice penale Pisapia suggerivano quando ministro della Giustizia era ancora Clemente Mastella. "Il carcere non rappresenta l’unica ratio, ma solo una misura estrema - chiarisce Messina - mentre esistono altri tipi di pena, come ad esempio quella prescrittiva e interdittiva. Per intenderci, se un amministratore ha fatto bancarotta fraudolenta non deve fare più l’amministratore per tutta la vita". Tra i suggerimenti del volontariato vi è poi la revisione di quelle leggi criminogene che hanno prodotto un aumento della carcerazione. "Basta pensare alla Bossi Fini, che viene di volta in volta aggravata, mentre noi sappiamo che la repressione non porta nulla e anzi ingigantisce i problemi senza risolverli. Oppure la legge Cirielli sulla recidiva: in carcere ci sono per la stragrande maggioranza delinquenti ‘incalliti’, per i quali la recidiva arriva a circa il 70%. Mentre per chi usufruisce delle misure alternative arriva a meno del 20%".
Nei due anni successivi all’indulto il carcere non è cambiato granché racconta Messina: "Io che faccio l’assistente volontario nel carcere di Porto Azzurro all’Isola d’Elba e conosco molte realtà posso dire che non è cambiato nulla, anzi la situazione si è addirittura inasprite. Siamo a una media di circa 1000-1200 ingressi ogni mese e se si riesce a tenere la situazione sotto controllo è solo grazie alla buona volontà degli operatori carcerari (istituzionali e volontari) e a questo nostro ordinamento giudiziario, che non è niente affatto da buttare". Preoccupazione, invece, per le due proposte di legge presentate dal presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli che mirano a ridimensionare drasticamente la legge Gozzini attraverso limitazioni e restrizioni. "Insomma - precisa il presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia - un giro di vite che, se risponde all’esigenza di soddisfare l’opinione pubblica, rischia di riportare la situazione indietro di trenta o quaranta anni quando nelle carceri scoppiavano continue rivolte. Mentre, l’obiettivo della riduzione della pena diminuisce le situazioni di tensione". E allora "se si mettono insieme tolleranza zero, certezza della pena e sovraffollamento delle carceri (per costruirne di nuove ci vorrebbero almeno dieci anni) è prevedibile una recrudescenza della violenza nelle carceri, che metterebbe a repentaglio il buon lavoro svolto fin qui dagli operatori".
In conclusione, spiega Messina, "il volontariato insiste sul fatto che se ci deve essere una revisione dell’ordinamento penitenziario deve essere migliorativa e non peggiorativa. Bisogna avere il coraggio di uscire dal vincolo del giustizialismo che l’opinione pubblica richiede: altrimenti si rischia di andare verso la situazione degli Usa, dove la percentuale dei detenuti sulla popolazione è dieci volte superiore a quella italiana: 1 a 100 contro il nostro 1 a 1.000".
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