Giustizia/Carcere: "braccialetto elettronico", e ora il governo ci riprova
di Stefano Sofi
Il Messaggero, 3 settembre 2008
Una corsia preferenziale per l’uso del braccialetto elettronico ma anche l’espulsione dei detenuti stranieri con condanne lievi. Nel difficile percorso per dare soluzione all’ormai cronico problema del sovraffollamento delle carceri, sono intanto queste le due direttrici operative concordate ieri tra il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il Guardasigilli Angelo Alfano.
Il responsabile del Viminale ne hanno discusso con il ministro della Giu-stizia per circa due ore prima di passare - nell’ambito dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive - all’analisi delle strategie da adottare contro il tifo violento dopo gli incredibili episodi registrati tra Napoli e Roma nella prima giornata di campionato. La contemporaneità dei due ap-puntamenti ha inevitabilmente fatto. ipotizzare la possibilità di utilizzare l’electroning monitoring anche sugli ultras già diffidati. Ma l’argomento è rimasto fuori dall’analisi elaborata dall’Osservatorio. Maroni e Alfano sono intenzionati a lavorare insieme per decongestionare le carceri e hanno deciso di costituire un team paritetico di tecnici per valutare efficacia, modalità e tempi delle soluzioni possibili.
Attualmente i detenuti sono più di 55mila a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti. Inoltre sono circa 4.300 i detenuti stranieri condannati a pene inferiori a due anni, i quali - in base alla Bossi-Fini - potrebbero essere espulsi. Ma per fargli finire di scontare la pena nei loro Paesi servirebbero accordi bilaterali. Da fare.
Sia questo che l’uso (anzi la reintroduzione) del braccialetto elettronico, ai due ministri sembra comunque una strada praticabile, anche se c’è in entrambi la consapevolezza che i tempi non potranno essere rapidi. In molti altri Paesi l’electroning monitoring viene applicato regolarmente (nei paesi di Common Law la gestione e il controllo sono affidati a privati, mentre in Svezia ai servizi sociali). In Italia se ne parla sin dal 1996.
L’uso di questo strumento viene introdotto in via sperimentale durante il governo D’Alema con decreto legge del novembre 2000 come alternativa al carcere (ma solo con il consenso del condannato) e solo nei casi di reclusi per reati lievi che avrebbero comunque ottenuto gli arresti domiciliari. La sperimentazione, però, si arena quasi subito davanti ad una ragnatela di problematiche che a tutt’oggi non sembra essere stata del tutto risolta.
Già un anno e mezzo dopo il via, dei circa 500 braccialetti in dotazione al Viminale - gestiti attraverso un contratto con Telecom - ne rimanevano attivi solo 13. E ancora per poco. Problemi relativi all’affidabilità ma soprattutto alle competenze sulle verifiche in caso di allarme. Chi deve intervenire? Le diverse forze di polizia hanno sempre, chi più chi meno, lamentato scarsità di mezzi e di uomini tale da non potersi accollare ulteriori impegni.
Su questo punto, però, ieri tra Maroni e Alfano sembrerebbe essere stata fatta chiarezza. Dal Viminale smentiscono, ma secondo quanto riportato da alcune agenzie i controlli su eventuali violazioni spetteranno a polizia, carabinieri e guardia di finanza. Resterebbe fuori la polizia penitenziaria.
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