Giustizia/Carcere: Alfano; se le carceri si rivoltassero sarebbe colpa mia
di Liana Milella
La Repubblica, 3 settembre 2008
Le proiezioni sono sul suo tavolo da alcuni giorni. E turbano le notti del Guardasigilli Angelino Alfano. Le ha messe a punto il Dipartimento delle carceri. Contengono una previsione che fa stare sulle spine il ministro e tutti coloro che, nelle sue consultazioni sulla riforma della giustizia, le hanno apprese. Capo dello Stato, colleghi di governo a partire dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, Silvio Berlusconi, la Presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno.
Il rapporto dice che, giusto tra otto mesi, il numero dei detenuti in Italia supererà quota 63mila (oggi sono 55.369). È il tetto che, nel maggio 2006, portò il governo Prodi a imboccare la via dell’indulto. "Inutile", dunque, la misura di allora. "Improponibile" oggi.
Alfano l’ha detto una settimana fa al meeting di Cl, lo ha ripetuto ieri a Pier Ferdinando Casini durante il seminario a porte chiuse dell’Udc e del Ps di Riccardo Nencini sulla giustizia, dove c’era anche il consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio, quando ha rivelato che le carceri stanno di nuovo per scoppiare.
"Che pensi di fare?" gli ha chiesto il leader centrista. Lui, di rimando: "Certo non possiamo pensare a un nuovo indulto". Anche perché, Alfano ne ha avuto la conferma dopo gli incontri con Bongiorno e Maroni, né An né la Lega sarebbero d’accordo su una misura svuota carceri. Eppure la situazione si preannuncia disperata. Al punto da fargli dire ieri: "È chiaro che se dovesse scoppiare una rivolta ne sarei il responsabile. Non c’è tempo da perdere, sono urgenti misure drastiche ed efficaci sul carcere".
Nell’agenda di Alfano, prima delle riforme costituzionali (Csm, camere, obbligatorietà) e assieme agli interventi sul processo civile e penale, c’è il pacchetto carceri. Che non conterrà la via più semplice, costruire nuovi penitenziari, perché una verifica col ministro dell’Economia Tremonti ha confermato che la cassa della giustizia è vuota.
Il ministro pensa a un ddl illustrato, nelle linee essenziali, a Napolitano. Di cui ha iniziato a discutere con Maroni, in un paio d’ore di colloquio al Viminale, dopo il lasciapassare di massima dell’aennina Bongiorno sulla filosofia d’intervento. Se l’obiettivo è far calare il numero dei detenuti le mosse di Alfano sono tre: rimandare nei paesi d’origine quelli condannati per reati lievi; rispolverare il braccialetto elettronico (varato nel 2001 in via sperimentale, non è mai decollato, i 500 esemplari disponibili giacciono inutilizzati); sanzioni sostitutive per le condanne sotto una certa pena (da stabilire).
Un progetto che potrebbe ottenere il placet dell’Udc di Casini, partito pronto al dialogo sulla giustizia, ma a patto che le riforme puntino ad accelerarne i tempi e non siano "uno scambio tra cannibali" come nella stagione delle leggi ad personam.
Casini non considera urgente la separazione delle carriere, ma apre sul Csm nella formula del democratico Violante (tre fasce, scelte da capo dello Stato, Camere, toghe). Alfano offre il dialogo, ma nel Pd se Violante e Franceschini sono disponibili, la Finocchiaro accetta solo leggi sull’efficienza e boccia le modifiche costituzionali.
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