Giustizia/Sicurezza: La paura? Da collettiva è diventata individuale
di Lisa Ginzburg- www.ilmessaggero.it
ROMA (27 settembre) - La paura era collettiva, adesso è individuale. Non più terrore condiviso di epidemie, catastrofi, guerre. Invece un tarlo insinuante e sottile vissuto in solitudine, ognuno acquattato nel grembo delle proprie nevrosi. È per esplorare le dimensioni dei nostri più profondi timori che in questi giorni a Roma si è tenuto il primo World Social Summit, organizzato dalla Fondazione Roma e dal Censis. Attraverso le voci di sociologi, filosofi, architetti, scrittori, rifugiati, magistrati, politici, psicoanalisti. Calarsi nel baratro delle “paure planetarie” e di lì immaginare strade per arginarle, dare loro un contenitore. «Governare la paura», è stato detto dal Presidente della Fondazione Roma nel discorso di apertura dei lavori, «è possibile solo se si è in grado di ascoltare l’anima». Già, ma l’anima del mondo è a tal punto opaca, indefinita, che della sua stessa illegibilità c’è di che aver paura. Tutto suona caotico, irrazionale, imprevedibile e perciò non risolvibile. Alla nostra paura e alla sua ancor più perniciosa alleata, la paura della paura, il solo vero rimedio – ha argomentato James Hillman – è l’immaginazione con le sue infinite possibilità.
La vita corre, il mondo ancora di più. Quel che ognuno di noi teme è di “perdere il treno”, il proprio posticino nella società. Come ha spiegato il sociologo Zygmunt Bauman, la sindrome più forte è quella di venire esclusi, proprio come nel “Grande Fratello”. Siamo tutti vulnerabili, esposti, prossimi all’umiliazione. La paura non è tanto quella di una catastrofe che può avventarsi sul mondo. La paura maggiore è di venire esclusi dal “gruppo”. Non si temono, come era prima, i lupi – bestie feroci sì, ma visibili e riconoscibili. Ora quel che si paventa sono i lupi travestiti da uomini, i kamikaze, portatori di morte camuffati, assassini padroni dell’imprevisto. La realtà è un mistero, gli esseri umani sono tutti potenziali nemici. Da questa condizione di insicurezza esistenziale (perché è ormai impossibile pensare la società come una rete che possa proteggerci, tutelarci), la paura diventa un business. Una gigantesca occasione di profitto, un capitale commerciale. Sulla paura si specula. La si manipola, a seconda delle opportunità che essa offre.
Le statistiche parlano chiaro. L’Italia spicca, prima vittima della manipolazione mediatica. Tra le grandi metropoli globali, Roma è quella dove il maggior numero di persone (48,4%) attribuisce all’informazione l’essere causa scatenante di panico. È anche, Roma, la città del mondo con la più alta percentuale di sistemi di autoprotezione (porte blindate, allarmi, etc.). Come dire: siamo strabici. Da un lato sappiamo bene di quali macro-meccanismi risultiamo i burattini, dall’altro i fili si tendono e scattiamo sull’attenti ad ogni allarme, falso o patinato che sia. Senza riuscire a vedere i pericoli veri, né essere lucidi abbastanza da contattare le nostre ansie interne. Un mondo talvolta estremo (come quello descritto da Roberto Saviano, anche lui ospite del Summit), dove «la dimensione di morte è necessaria a raggiungere gli obiettivi, dove parlare di paura genera paura». C’è una società “scura”, che agisce inconsapevolmente, pervasa di fragilità. Una comunità globalizzata dove tutto coesiste, generando osmosi di merci, di culture, ma anche di violenze e di criminalità organizzate. E le diverse reazioni a questo grande mescolarsi del mondo. Roma è la capitale mondiale più restìa a riconoscere le proporzioni del mutamento, con un 19,7% di spaventati dalla crescente immigrazione di contro al 4,6% di Parigi. (Proprio Roma che, lo ha sottolineato Massimiliano Fuksas, con i suoi 2 milioni di abitanti ai tempi di Augusto è stata la prima megalopoli della storia).
Vaste plaghe di pessimismo, contrazioni psicologiche, chiusure. In una parola: sfiducia. Se l’antidoto a questo stato di cose è sembrato sinora essere il rifugiarsi in sé o nel mondo parallelo del virtuale (Second Life ha 12 milioni di utenti registrati nel mondo), le cose parrebbero mature per cambiare. In nome dei grandi corsi e ricorsi della storia, tornare alla solidarietà tra umani. Condividere i nostri timori, recuperare le risorse della solidarietà. Ricominciare a vedersi, parlarsi. Dare così le giuste proporzioni a tante delle nostre angosce. Perché – lo ha detto Edoardo Boncinelli parlando delle possibilità liberatorie offerte dalla scienza – «la paura non si può eliminare, ma si può rendere sempre più immotivata».
La vita corre, il mondo ancora di più. Quel che ognuno di noi teme è di “perdere il treno”, il proprio posticino nella società. Come ha spiegato il sociologo Zygmunt Bauman, la sindrome più forte è quella di venire esclusi, proprio come nel “Grande Fratello”. Siamo tutti vulnerabili, esposti, prossimi all’umiliazione. La paura non è tanto quella di una catastrofe che può avventarsi sul mondo. La paura maggiore è di venire esclusi dal “gruppo”. Non si temono, come era prima, i lupi – bestie feroci sì, ma visibili e riconoscibili. Ora quel che si paventa sono i lupi travestiti da uomini, i kamikaze, portatori di morte camuffati, assassini padroni dell’imprevisto. La realtà è un mistero, gli esseri umani sono tutti potenziali nemici. Da questa condizione di insicurezza esistenziale (perché è ormai impossibile pensare la società come una rete che possa proteggerci, tutelarci), la paura diventa un business. Una gigantesca occasione di profitto, un capitale commerciale. Sulla paura si specula. La si manipola, a seconda delle opportunità che essa offre.
Le statistiche parlano chiaro. L’Italia spicca, prima vittima della manipolazione mediatica. Tra le grandi metropoli globali, Roma è quella dove il maggior numero di persone (48,4%) attribuisce all’informazione l’essere causa scatenante di panico. È anche, Roma, la città del mondo con la più alta percentuale di sistemi di autoprotezione (porte blindate, allarmi, etc.). Come dire: siamo strabici. Da un lato sappiamo bene di quali macro-meccanismi risultiamo i burattini, dall’altro i fili si tendono e scattiamo sull’attenti ad ogni allarme, falso o patinato che sia. Senza riuscire a vedere i pericoli veri, né essere lucidi abbastanza da contattare le nostre ansie interne. Un mondo talvolta estremo (come quello descritto da Roberto Saviano, anche lui ospite del Summit), dove «la dimensione di morte è necessaria a raggiungere gli obiettivi, dove parlare di paura genera paura». C’è una società “scura”, che agisce inconsapevolmente, pervasa di fragilità. Una comunità globalizzata dove tutto coesiste, generando osmosi di merci, di culture, ma anche di violenze e di criminalità organizzate. E le diverse reazioni a questo grande mescolarsi del mondo. Roma è la capitale mondiale più restìa a riconoscere le proporzioni del mutamento, con un 19,7% di spaventati dalla crescente immigrazione di contro al 4,6% di Parigi. (Proprio Roma che, lo ha sottolineato Massimiliano Fuksas, con i suoi 2 milioni di abitanti ai tempi di Augusto è stata la prima megalopoli della storia).
Vaste plaghe di pessimismo, contrazioni psicologiche, chiusure. In una parola: sfiducia. Se l’antidoto a questo stato di cose è sembrato sinora essere il rifugiarsi in sé o nel mondo parallelo del virtuale (Second Life ha 12 milioni di utenti registrati nel mondo), le cose parrebbero mature per cambiare. In nome dei grandi corsi e ricorsi della storia, tornare alla solidarietà tra umani. Condividere i nostri timori, recuperare le risorse della solidarietà. Ricominciare a vedersi, parlarsi. Dare così le giuste proporzioni a tante delle nostre angosce. Perché – lo ha detto Edoardo Boncinelli parlando delle possibilità liberatorie offerte dalla scienza – «la paura non si può eliminare, ma si può rendere sempre più immotivata».
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