IL CASG SCRIVE AL MINISTRO
Egregio Ministro
In qualità di componenti del consiglio nazionale CASG riteniamo opportuno dare il nostro contributo al dibattito che si è aperto sulla sempre più drammatica situazione del sistema penitenziario italiano e sulle possibili soluzioni necessarie per evitare la sua inevitabile implosione. Giustamente Lei ha lanciato un allarme sulle condizioni attuali e sul rischio che si torni, come negli anni ’70, ad una stagione di rivolte e purtroppo i presupposti ci sono tutti!!!
La cronaca ci riporta quasi ogni giorno episodi di violenza contro il personale di polizia penitenziaria e non, episodi che stanno aumentando insieme a quelli di autolesionismo e suicidi. Questo sintomo di disagio non può essere ignorato e/o sottovalutato soprattutto da chi ne porta la responsabilità.
Purtroppo le modalità con cui è stata gestita la campagna mediatica sul tema della sicurezza, a nostro parere, non potevano che innescare meccanismi di intolleranza e chiusura, con ricadute negative sul sistema penitenziario, aumentando la sensazione di insicurezza vissuta dai cittadini, e non incidendo sulla diminuzione della recidiva.
Il provvedimento dell’indulto approvato solo due anni fa perché ritenuto da tutti assolutamente necessario per evitare l’implosione dell’intero sistema penitenziario, oggi è da quasi tutti rinnegato perché estremamente impopolare ed è del tutto impensabile farvi ancora ricorso.
In tempi non sospetti la nostra associazione aveva segnalato che se pur necessario, l’indulto non sarebbe bastato a risolvere i problemi. Per rendere tale provvedimento adeguato alla domanda di giustizia e di legalità che i cittadini rivendicavano, era necessario avviare un processo di riforma del sistema penale nel suo complesso, oltre che del sistema giudiziario italiano. Era necessario lavorare in sinergie con le politiche sociali e del lavoro per attivare immediati percorsi di inclusione sociale.
Tale processo di riforma non solo non è stato perseguito, ma si è proceduto a modificare in senso ancora più restrittivo tutte quelle leggi che negli ultimi anni sono servite ad aumentare la penalità, influendo pesantemente in termini di inefficienza sul sistema giudiziario e penitenziario del nostro paese. Ancora oggi non vediamo emergere proposte che possano, a nostro parere, andare nella direzione giusta per cominciare ad affrontare i veri problemi.
Le uniche proposte che sono emerse sono:
1. le espulsioni di massa dei detenuti stranieri
2. il ricorso al braccialetto elettronico
3. la costruzione di nuove carceri
E' proprio convinto, signor Ministro, che questi provvedimenti serviranno ad alleggerire la pressione sui penitenziari?
Come mai ad oggi le tanto agognate espulsioni, che diversi provvedimenti legislativi hanno previsto, non sono state mai messe in pratica se non per poche centinaia di soggetti?
Perché la sperimentazione del braccialetto elettronico avviata nel 2001 non è mai seriamente decollata?
Perchè i piani di edilizia penitenziaria sono stati sempre annunciati e mai realizzati?
Con preoccupazione evidenziamo che tutte e tre le soluzioni prospettate si pongono l’esclusivo obiettivo di incapacitare temporaneamente il reo senza porsi alcun obiettivo di ridurre la recidiva.
Forse hanno ragione coloro che sostengono che:
- le espulsioni di massa sono troppo onerose per il nostro sistema e difficili da effettuare, mentre è più realistico pensare ad una politica dell’immigrazione che governi e controlli gli ingressi più che puntare sulle espulsioni;
- il braccialetto elettronico è un sistema oneroso e inutile perché applicabile solo su pochi e selezionati casi e non è pensabile ad un controllo di massa;
- costruire nuove carceri richiede troppo tempo e troppi soldi.
Perché le soluzioni a portata di mano, molto più economiche ed efficaci nessuno le vede?
Ci riferiamo ad esempio ai percorsi di sicurezza sociale in rete con i servizi territoriali e con il mondo del volontariato costruiti grazie alla professionalità degli operatori penitenziari che lavorano nell'area penale esterna (gli assistenti sociali).
Vogliamo quindi informaLa che, i dati relativi all’area penale esterna e all’utilizzo delle misure alternative negli ultimi trent’anni, sono stati estremamente significativi: si è passati da 3000 soggetti in misura alternativa nel 1976/77 agli oltre 30.000 del 2006.
Gli aspetti positivi si possono riassumere in tre punti:
l la spesa per le casse dello stato è stata sicuramente irrisoria rispetto ai costi del carcere;
l il “tasso di evasione”, così come rilevato dai dati statistici degli Uffici centrali del DAP, è marginale
l la recidiva (sempre confrontando i dati statistici) risulta inferiore a quella dei soggetti dimessi direttamente dal carcere (il 19% di recidività contro il 68% per i dimessi dal carcere).
L’area penale esterna ha contribuito sicuramente a restituire alla società tanti soggetti, che avevano commesso reati, più responsabili e rispettosi della legalità.
Perché allora ci si ostina a considerare la carcerazione l'unica pena possibile, quando ormai è accertato che non funziona, oltre ad essere estremamente costosa per la collettività?
Ora prevale l'idea che la soluzione di tutto passi attraverso il controllo a scapito del trattamento, dei processi di inclusione.... Per costruire sicurezza servono invece scelte coraggiose che migliorino le condizioni del paese, che garantiscano dignità agli individui. Scelte che con il necessario supporto ed investimento eliminino le inquietudini sociali. Individuare, invece, soluzioni semplificate per problemi complessi, rischia di alimentare grandi aspettative e conseguenti delusioni, contribuendo ad aumentare la percezione di insicurezza dei cittadini, piuttosto che a farla diminuire.
Certi della sua attenzione Le chiediamo di prendere in esame queste nostre argomentazioni e le porgiamo distinti saluti.
Per il Consiglio Nazionale
Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia (CASG)
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