L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 7 maggio 2010

carcere non significa sicurezza, le pene alternative funzionano

di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 7 maggio 2010

Chissà mai che cosa i ministri si dicono nei Consigli dei ministri. Viene da chiederselo dopo che solo ieri, a margine di una missione in Egitto, il ministro dell'Interno ha definito "peggio dell'indulto" la detenzione domiciliare nell'ultimo anno di pena inserita nel Consiglio dei ministri del 13 gennaio dal Guardasigilli Alfano in un disegno di legge, e ventilata il 16 aprile addirittura per decreto legge dal premier Silvio Berlusconi.

Eppure se si parlassero e se l'unico orizzonte non fosse la spasmodica ricerca di valvole di sfogo per rinviare di qualche mese il collasso, in attesa dell'ormai mitologico piano-carceri pluri-annunciato da Alfano alle prese con 67.542 detenuti stipati in 44.218 posti, qualche differente numero su cui riflettere ci sarebbe. Alcuni di folklore, come il fallimento della sperimentazione del braccialetto elettronico al prezzo di 11 milioni di euro l'anno dal 2001 al 2011. E altri numeri più di sostanza.
Solo 4 detenuti su 1.000, fra coloro che espiano almeno una parte della loro pena in una delle misure alternative al carcere sotto l'egida dei servizi sociali, commettono un reato in questa delicata fase. Non solo: una volta esaurita la pena, mentre i detenuti che l'hanno scontata tutta in carcere tornano poi a delinquere nel 67% dei casi, quanti hanno invece espiato parte della pena fuori dal carcere ricommettono un reato in misura tre volte più bassa, attorno al 19% dei casi. E questo benché il bilancio della giustizia investa nell'esecuzione delle pene esterna al carcere solo un misero 2% delle risorse e appena un 3,5% del personale dell'amministrazione penitenziaria contro l'11,5% della Francia o il 28,8% della Gran Bretagna. Per quanto questi dati prendano in contropiede l'opinione pubblica spiazzata da chi sulla paura edifica consenso, non è dunque vero che "più carcere" voglia dire "più sicurezza". Anzi, appare vero l'esatto contrario. Se la politica non se la sente di prenderne atto rispetto all'insostenibile situazione delle persone "dentro", almeno potrebbe farlo nell'interesse della sicurezza di quelle "fuori".