L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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martedì 24 gennaio 2012

Arrivano le Carceri SpA

Valerio Valentini - Byoblu.com

Davvero curiosa quest’idea di superare le crisi economiche con le privatizzazioni. Continuiamo a vendere, pezzo a pezzo, tutta la nostra struttura statale, fatta di servizi e di istituzioni, ai privati, illudendoci che costoro perseguano il benessere del popolo e non l’impinguamento delle loro tasche. L’idea di fondo sembra essere questa: siccome garantire ai cittadini certi servizi comporta allo Stato costi elevati, allora cediamo la gestione e l’esercizio di quei servizi all’imprenditore di turno, cosicché quei costi se li sobbarchi lui. Ci illudiamo così di aver tagliato le spese e non ci accorgiamo che quello che tagliamo davvero è la nostra libertà, dal momento che, demandando ai privati le gestione di servizi che sono pubblici, veniamo esautorati del diritto di decidere sul modo di far funzionare quei determinati servizi.

Ora, non bastavano le autostrade e le banche: pare che il governo voglia cedere ai privati anche la gestione delle carceri. Questo si evince dall’articolo 44 del Decreto Liberalizzazioni, nel quale si prevede di ricorrere ad un “project financing per la realizzazione di infrastrutture carcerarie”. Si intende, cioè, demandare a concessionari l’onere di finanziare e gestire le carceri ed i servizi connessi, “a esclusione della custodia”, in cambio di una tariffa prestabilita e non modificabile, determinata “al momento dell'affidamento della concessione, e da corrispondersi successivamente alla messa in esercizio dell'infrastruttura realizzata”. Questa concessione “ha durata non superiore a venti anni” ed i rischi economici legati alla costruzione e alla gestione dell’opera sono tutti a carico del concessionario. Se la società fallisce, cioè, lo Stato non interviene a finanziarla. Inoltre, “il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture […] con il finanziamento di almeno il venti per cento del costo di investimento”. Si fa esplicito obbligo, cioè, di coinvolgere le fondazioni bancarie nel finanziamento dell’opera di costruzione e di gestione delle carceri. Tutto ciò, stando a quanto si apprende dall’articolo, servirebbe “a fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento delle carceri”.

Innanzitutto, la domanda che sorge spontanea è questa: se davvero tutto questo progetto serve ad ovviare al sovraffollamento delle carceri, perché non si cerca di recuperare le almeno cento carceri inutilizzate, lasciate marcire, in attesa soltanto del collaudo o complete in tutto e per tutto, oppure abbandonate e riconvertite in deposito di rifiuti, in palestre, in pastifici o più miseramente in dormitori per indigenti e sfrattati? Ce ne sono a Foggia, Monopoli, Catanzaro, Vibo Valentia, Crotone, in Irpinia, a Udine, Gorizia, Pinerolo, Mantova, Ferrara, Pistoia, Massa-Carrara, Ancona, Pescara, Napoli, Bari, Altamura, Gela, Caltanissetta, Agrigento. E poi ovviamente ci sono i super-carceri di Pianosa e dell’Asinara, dove si potrebbero trasferire i boss dei boss, a cui va impedito di comunicare con l’esterno e di continuare ad essere padrini anche da dietro le sbarre. Sarebbe un’operazione molto più rapida ed estremamente più economica, oltreché intelligente dal punto di vista ecologico, dal momento che farebbe risparmiare tonnellate e tonnellate di cemento. Invece, quando si parla di carceri, in Italia la parola d’ordine è costruire: il che significa nuovi soldi, nuovi appalti e nuovi accordi tra politici e imprenditori.

Bisogna specificare che non è una novità di Monti e dei suoi ministri: l’idea di privatizzare le carceri nasce in America negli anni ’80, sotto il governo Reagan, e prende piede, oltre che negli Usa, anche in Australia ed Inghilterra. Eppure l’esperienza non si è rivelata così positiva come tutti si aspettavano: innanzitutto il risparmio effettivo derivato dalle privatizzazioni è stato ben inferiore a quello previsto. Le società concessionarie da un lato si vantano di garantire maggiore efficienza e costi molti ridotti, ma dall’altro non sono mai in grado di dimostrare quanto affermano nelle loro campagne propagandistiche. C’è addirittura chi, come il “Department of Research for the American Federation of State, County and Municipal Employees” - uno dei più grandi sindacati americani -, ribatte che “dalla privatizzazione delle carceri non é derivato né un risparmio economico né un miglioramento nella qualità del servizio fornito”.

Ma non è soltanto una questione di costi. La “Commissione per la lotta contro la discriminazione e per la protezione delle minoranze” dell’Onu bacchetta da più di vent’anni quei paesi, in special modo gli States, che perseguono una politica di privatizzazioni delle infrastrutture carcerarie. La responsabilità del rispetto dei diritti umani, secondo le Nazioni Unite, deve ricadere sullo Stato e non può essere demandata a privati. E molte organizzazioni umanitarie denunciano le forti pressioni delle lobby impegnate nella costruzione di nuove carceri affinché i governi statunitensi ed australiani adottino leggi più severe che tendano ad aumentare la popolazione carceraria e riducano le pene alternative come la libertà vigilata e gli arresti domiciliari. Non solo: le condizioni di vita e di sicurezza, nelle carceri private, sono ben peggiori di quelle pubbliche, tanto che spesso vengono segnalati e denunciati casi di lavoro forzato e di sfruttamento dei detenuti. Tanto nessuno controlla.

Qualcuno potrà obiettare che anche all’Ucciardone o a Poggio Reale le condizioni non sono certo quelle di un Grand Hotel. Ma il punto è proprio questo: essendo le nostre carceri pubbliche abbiamo tutto il diritto, in quanto cittadini dello Stato italiano, di pretendere che si adottino provvedimenti volti a migliorare la sicurezza ed il rispetto dei diritti dei detenuti. Se invece cederemo le carceri ai privati, loro rivendicheranno una piena autonomia di gestione, in virtù del fatto che sono loro a finanziare quelle strutture. Eppure il sistema carcerario è un aspetto fondamentale di uno Stato. Esso garantisce il recupero alla società civile di individui che hanno sbagliato. Deve essere un’officina in cui le persone “colpevoli” dei reati puniti con la reclusione ritrovino le motivazioni e la voglia di reinventarsi. Ed è per questo che le carceri sono la cartina al tornasole di una società: se funzionano, ne mostrano l’alto tasso di civiltà; viceversa denunciano l’esistenza di seri problemi e di un malessere sociale pericoloso.

E' chiaro a tutti che le carceri italiane, così come sono oggi, rappresentano un mostruoso abominio, come documentato da Samanta Di Persio. Ma venderle alle banche significherebbe una ammissione di impotenza dello Stato nel risolvere problemi importanti. E darebbe, magari, avvio ad un processo molto rischioso di privatizzazione generale di tutti quei servizi che non funzionano, o che dovrebbero funzionare.Oggi si prendono le carceri e l’acqua pubblica, ignorando persino un referendum dell'anno scorso. Poi verranno a prendersi le scuole, la Rai, i trasporti. Alla fine, un bel giorno, ci alzeremo e scopriremo che l’Italia è stata rilevata a prezzi stracciati da quattro banchieri, che hanno speculato sulla crisi per fagocitare servizi e strutture pubbliche. E allora, forse, capiremo il significato di una privatizazione selvaggia e indiscriminata.