Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia Scrive al Ministro sul taglio degli organici negli Uepe
Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
Organismi nazionali: Arci - Antigone - Comunità Papa Giovanni XXIII - Caritas Italiana - Libera - Società San Vincenzo De Paoli -SEAC - Jesuit Social Network-Italia Onlus
Rete territoriale: 18 Conferenze Regionali Volontariato Giustizia
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Rete territoriale: 18 Conferenze Regionali Volontariato Giustizia
Al Ministro della Giustizia
On. Paola Severino
On. Paola Severino
Egregio Ministro,
le scriviamo per esprimerle ne nostre perplessità in merito ai tagli previsti negli organici in dotazione agli UEPE.
Negli anni precedenti avevamo espresso una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che aveva modificato la denominazione dei “Centri di Servizio Sociale per Adulti” in “Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna”. Già allora il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma penitenziaria, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.
L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni. Vi sono ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del DAP che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali ( la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?
Riteniamo che i tagli previsti (meno 35% di assistenti sociali, meno 27% di educatori) siano decisioni che, di fatto, vadano in palese contrasto con proposte legislative sul potenziamento delle misure alternative avanzate dal Governo e con le affermazioni di tutti coloro che sono a vario titolo impegnati nell’esecuzione penale, introducendo anzi forti invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come “sociale” e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. Lei stessa, nella Sua relazione sull’Amministrazione delle Giustizia presentata al Parlamento il 17 gennaio, auspica un migliore utilizzo di queste misure.
Il calo del personale porterebbe una conseguente diminuzione del tempo destinato alle persone, quindi il tempo “sociale”, configurandolo solo come un tempo di controllo della misura, e non come un tempo di costruzione di una relazione con la persona.
L’elevata spesa tuttora prevista per l’edilizia carceraria potrebbe essere, almeno in parte, diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza rischiano di risultare svuotate di opportunità e di prassi. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.
Ricordiamo che nel bilancio del DAP le strutture per l’esecuzione penale esterna assorbono oggi circa il 5% del budget contro il 95% degli Istituti Penitenziari. La nostra proposta è quella di portare la disponibilità per le misure alternative al 10% nei prossimi tre anni, senza ulteriori aggravi di bilancio, e poi al 20% nei successivi tre anni.
Andrebbe poi, contestualmente, immediatamente attivato un “Piano sociale straordinario per le carceri” di sostegno al reinserimento sociale per coloro che escono o che potrebbero uscire dal carcere, attraverso la formazione, il sostegno lavorativo, l’attivazione del terzo settore e dell’associazionismo.
Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.
Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino solo il carcere come unica strada ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli OPG). E’ quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. Se il fine della pena è la risocializzazione, bisogna che l’operatività si rivolga verso la società. Esistono già delle soluzioni migliori di alternativa al carcere e i dati lo confermano; si tratta solo di praticarle.
Elisabetta Laganà, presidente CNVG
le scriviamo per esprimerle ne nostre perplessità in merito ai tagli previsti negli organici in dotazione agli UEPE.
Negli anni precedenti avevamo espresso una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che aveva modificato la denominazione dei “Centri di Servizio Sociale per Adulti” in “Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna”. Già allora il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma penitenziaria, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.
L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni. Vi sono ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del DAP che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali ( la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?
Riteniamo che i tagli previsti (meno 35% di assistenti sociali, meno 27% di educatori) siano decisioni che, di fatto, vadano in palese contrasto con proposte legislative sul potenziamento delle misure alternative avanzate dal Governo e con le affermazioni di tutti coloro che sono a vario titolo impegnati nell’esecuzione penale, introducendo anzi forti invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come “sociale” e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. Lei stessa, nella Sua relazione sull’Amministrazione delle Giustizia presentata al Parlamento il 17 gennaio, auspica un migliore utilizzo di queste misure.
Il calo del personale porterebbe una conseguente diminuzione del tempo destinato alle persone, quindi il tempo “sociale”, configurandolo solo come un tempo di controllo della misura, e non come un tempo di costruzione di una relazione con la persona.
L’elevata spesa tuttora prevista per l’edilizia carceraria potrebbe essere, almeno in parte, diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza rischiano di risultare svuotate di opportunità e di prassi. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.
Ricordiamo che nel bilancio del DAP le strutture per l’esecuzione penale esterna assorbono oggi circa il 5% del budget contro il 95% degli Istituti Penitenziari. La nostra proposta è quella di portare la disponibilità per le misure alternative al 10% nei prossimi tre anni, senza ulteriori aggravi di bilancio, e poi al 20% nei successivi tre anni.
Andrebbe poi, contestualmente, immediatamente attivato un “Piano sociale straordinario per le carceri” di sostegno al reinserimento sociale per coloro che escono o che potrebbero uscire dal carcere, attraverso la formazione, il sostegno lavorativo, l’attivazione del terzo settore e dell’associazionismo.
Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.
Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino solo il carcere come unica strada ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli OPG). E’ quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. Se il fine della pena è la risocializzazione, bisogna che l’operatività si rivolga verso la società. Esistono già delle soluzioni migliori di alternativa al carcere e i dati lo confermano; si tratta solo di praticarle.
Elisabetta Laganà, presidente CNVG
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