Ansa
custodia cautelare e + misure alternative
3 novembre 2007
Le misure alternative alla detenzione in carcere come esigenza fondamentale non solo per evitare il sovraffollamento negli istituti, ma soprattutto come punto di partenza per il reinserimento dei detenuti nella società civile. Abbassare inoltre la percentuale di custodia cautelare in carcere. Sono i punti fermi che vengono fissati oggi a Roma nell’ultima giornata del Convegno delle Associazioni di Volontariato Penitenziario - Seac.
"Le 30 mila persone che oggi sono sottoposte a misure alternative - ha detto Celso Coppola, del Seac - corrispondono a 60 istituti penitenziari di media capacità (500 persone circa) che dovrebbero esistere se queste persone dovessero, invece, scontare la pena in carcere". Il Seac denuncia ancora la fase approssimativa dell’attuazione dei programmi per le misure alternative: "basti pensare - ha detto Coppola - che in bilancio del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria solo il 3-4 per cento delle risorse è dedicato alle misure alternative (compreso il personale) e il resto invece alle spese per gli istituti".
Una voce di solidarietà ma anche fuori dal coro viene dal magistrato di sorveglianza di Roma, Paolo Canevelli, che ha definito illusorio pensare sia sufficiente l’applicazione delle misure alternative. Per il magistrato, infatti, "se vogliamo evitare di tornare, dopo l’indulto, a 60 mila presenze negli istituti è necessario intervenire sulla custodia cautelare - ha detto Canevelli - nei nostri istituti, infatti, il 60% dei detenuti sono in custodia cautelare, un’anomalia del nostro Paese.
Un problema che non è risolvibile solo con gli arresti domiciliari perché mancano le risorse per sostenere le persone ai domiciliari". Le misure alternative - secondo Canevelli - non funzionano anche per i tempi brevi di pena (dagli 8-10 mesi) a cui sono sottoposti i detenuti: "Non ci sono i tempi tecnici per fare e concludere le osservazioni, per non parlare poi dei cumuli di pena che allungano i tempi di carcere". Accrescere il numero degli educatori e dei mediatori culturali è inoltre l’ulteriore richiesta che il magistrato ha fatto al ministero della Giustizia.
3 novembre 2007
Le misure alternative alla detenzione in carcere come esigenza fondamentale non solo per evitare il sovraffollamento negli istituti, ma soprattutto come punto di partenza per il reinserimento dei detenuti nella società civile. Abbassare inoltre la percentuale di custodia cautelare in carcere. Sono i punti fermi che vengono fissati oggi a Roma nell’ultima giornata del Convegno delle Associazioni di Volontariato Penitenziario - Seac.
"Le 30 mila persone che oggi sono sottoposte a misure alternative - ha detto Celso Coppola, del Seac - corrispondono a 60 istituti penitenziari di media capacità (500 persone circa) che dovrebbero esistere se queste persone dovessero, invece, scontare la pena in carcere". Il Seac denuncia ancora la fase approssimativa dell’attuazione dei programmi per le misure alternative: "basti pensare - ha detto Coppola - che in bilancio del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria solo il 3-4 per cento delle risorse è dedicato alle misure alternative (compreso il personale) e il resto invece alle spese per gli istituti".
Una voce di solidarietà ma anche fuori dal coro viene dal magistrato di sorveglianza di Roma, Paolo Canevelli, che ha definito illusorio pensare sia sufficiente l’applicazione delle misure alternative. Per il magistrato, infatti, "se vogliamo evitare di tornare, dopo l’indulto, a 60 mila presenze negli istituti è necessario intervenire sulla custodia cautelare - ha detto Canevelli - nei nostri istituti, infatti, il 60% dei detenuti sono in custodia cautelare, un’anomalia del nostro Paese.
Un problema che non è risolvibile solo con gli arresti domiciliari perché mancano le risorse per sostenere le persone ai domiciliari". Le misure alternative - secondo Canevelli - non funzionano anche per i tempi brevi di pena (dagli 8-10 mesi) a cui sono sottoposti i detenuti: "Non ci sono i tempi tecnici per fare e concludere le osservazioni, per non parlare poi dei cumuli di pena che allungano i tempi di carcere". Accrescere il numero degli educatori e dei mediatori culturali è inoltre l’ulteriore richiesta che il magistrato ha fatto al ministero della Giustizia.
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