L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 16 aprile 2008

Giustizia/Carcere: Incrementare misure alternative, o rifare l’indulto

Il Gazzettino, 16 aprile 2008

Come tutti ricordiamo, nel 2006 è stata promulgata la legge che concedeva l’indulto per tre anni, praticamente a tutti i condannati o accusati. Solo pochissimi reati, infatti, furono esclusi dal provvedimento di clemenza. Secondo i dati ufficiali del Ministro della Giustizia, i detenuti scarcerati sono stati 27.000. In realtà il numero è certamente più consistente, visto che l’indulto continua anche oggi ad essere applicato dai giudici nell’atto stesso in cui pronunciano o confermano una condanna.
Si è trattato sicuramente di una misura clemenziale assai larga, tra le più larghe del periodo repubblicano che pure è stato assai generoso in materia. Si è detto tante volte che il provvedimento è sbagliato e contraddittorio. Sbagliato perché ogni indulto indiscriminato, come questo, incrementa a dismisura il circuito della criminalità, incoraggiando la delinquenza e mortificando gli osservanti. Contraddittorio perché, una volta decisa la clemenza, non c’era ragione di non adottare anche l’amnistia che avrebbe almeno consentito ai giudici di liberarsi di un pesante carico arretrato, e quindi di accelerare la risposta di giustizia, invece di obbligarli a pronunciare condanne solo sulla carta, come oggi avviene ogni giorno.
Infatti, come purtroppo non è noto a tutti, l’indulto colpisce solo la pena inflitta (ma si applica anche durante il giudizio), mentre l’amnistia estingue immediatamente il reato, oggetto del processo, liberando il giudice dal vincolo di portarlo a termine. Queste riflessioni sono state avanzate tante volte, prima e dopo il provvedimento, ma tutto è stato inutile. Le forze politiche si sono trovate costrette ad adottare la misura di clemenza a causa del sovraffollamento delle carceri che rendeva invivibile l’ambiente, e impossibile ogni prospettiva di rieducazione, finalità imposta da un preciso obbligo costituzionale.
In pratica in carcere al momento dell’indulto erano ristretti più di 60.000 detenuti, a fronte dei 43.000 che è la capienza massima regolamentare. Al momento quindi non si poteva fare altro, anche se non si possono assolvere i politici, la cui colpa maggiore consiste proprio nell’essere arrivati al punto di trovarsi costretti all’indulto, quando avrebbero dovuto affrontare ben prima l’emergenza, da molto tempo annunciata.
Ma oggi ci risiamo. Per quanto incredibile, per quanto detto, ridetto e previsto, in carcere oggi sono presenti, secondo le statistiche ufficiali del Ministero, circa 52.000 detenuti, ben 9.000 in più della capienza massima, anche se ancora circa 10.000 in meno della cifra massima di tollerabilità. Se continua così (e continuerà così, se non si interviene al più presto), fra poco più di un anno il Parlamento sarà costretto ad adottare una nuova misura di clemenza, con tanti saluti al principio della certezza della pena. A documentare l’assoluta paradossalità della situazione sta l’importante cifra di circa 9-10.000 detenuti, già beneficiari dell’indulto, e di nuovo arrestati per avere commesso un altro delitto. Si tenga presente, infatti, che una delle critiche più fondate al provvedimento consiste nel fatto che all’indulto sono stati ammessi anche i recidivi, gli abituali e i professionali, e cioè i condannati ufficialmente etichettati come socialmente pericolosi.
Insomma andiamo verso una nuova clemenza, e non servirà gridare all’irrazionalità, e sottolineare lo sconcerto dell’opinione pubblica. Del resto, come sottolineano i sostenitori della tesi che l’indulto non fu un errore, ma una misura necessitata, non può trascurarsi che senza la clemenza, oggi i detenuti sarebbero assai più di 70.000, un numero assolutamente al di là di ogni limite di tollerabilità.
Ma si può fare qualcosa? Certamente, ma va fatta subito, se si vogliono evitare misure necessitate, giustificate solo dalla pura mancanza di alternative. Anzitutto occorre costruire nuovi stabilimenti, completare ed adattare quelli costruiti e non ancora in funzione (ce ne sono) e assumere un numero adeguato di agenti di polizia penitenziaria. Occorrono carceri per almeno altri 15-20.000 detenuti, e ovviamente il numero necessario di preposti alla sorveglianza. Costerà caro, ma è indispensabile, e non basterà. Perché occorrono, e subito, misure adeguate di riforma del sistema penale. Oggi in carcere sono presenti soprattutto extracomunitari condannati o imputati per violazione della Bossi-Fini e condannati e imputati per spaccio di stupefacenti. È possibile rivedere al ribasso le sanzioni relative. Occorre infine intervenire sui benefici penitenziari, incrementandone i limiti di ammissibilità specie in materia di affidamento e di detenzione domiciliare.
Certo, se si interviene nel senso indicato, sarà minore la forza deterrente della pena, e la certezza della sanzione sarà ancora più lontana di oggi. Ma proprio per questo si dice che la politica è l’arte dell’equilibrio e del possibile. Sta al Governo e al nuovo Parlamento scegliere, tra le diverse opzioni, la migliore e la più praticabile.