Giustizia/Sicurezza: "pacchetto sicurezza", ecco i giustizieri di governo
di Luigi Manconi (Ex Sottosegretario alla Giustizia)
L’Unità, 12 maggio 2008
Secondo l’antica tecnica della Caricatura dell’Avversario, utilizzata fin troppo spesso nei confronti degli esponenti del centrodestra, mi è capitato talvolta di definire gli uomini più vicini a Silvio Berlusconi come "garantisti verso i potenti, giustizialisti verso i deboli".
Come in una tardiva rappresentazione dadaista, quella tecnica della Caricatura ha preso vita, animandosi scompostamente nelle ultime ore e materializzandosi, non ancora negli atti, ma già nelle parole del governo appena insediatosi. Se si intersecano alcune dichiarazioni del nuovo Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, raccolte dal Corriere della Sera, e un’intervista a Niccolò Ghedini, pubblicata dal Sole 24 Ore, si ha una plastica - e a tratti imbarazzante - raffigurazione di ciò che Giovanni Sartori ha definito "l’incompetenza al governo".
E, infatti, la truculenza di alcune dichiarazioni risulta tanto tronfia quanto priva di plausibilità e di credibili fondamenti. Il nuovo ministro della Giustizia afferma che non ci saranno più indulti con la sbrigatività propria di chi intende voltare una brutta pagina scritta dal governo precedente.
Dimentica, così, di esser stato tra coloro che, quella misura di clemenza, approvarono: così come fece la maggioranza dei membri dell’attuale esecutivo, incluso il Ministro delle Infrastrutture, il dirigente di Alleanza Nazionale Altiero Matteoli (uno di quei pochi galantuomini che, quel voto a favore dell’indulto, non ha mai rinnegato). Per contro, il ministro Alfano si affida, anche lui, all’utopia negativa del "più carcere per tutti", ignorando evidentemente alcuni elementari dati di realtà: 1) la realizzazione di un nuovo istituto penitenziario richiede un tempo medio equivalente a circa tre legislature. E nel frattempo? 2) l’indice di carcerizzazione del nostro paese (la percentuale di detenuti sulla popolazione complessiva) è pari a quello registrato alla fine del secondo conflitto mondiale, in una società allora attraversata da una crisi sociale ed economica, politica ed istituzionale, oggi inimmaginabile. 3) il governo Prodi ha fatto sì che, attraverso opere di ristrutturazione, nei prossimi mesi e anni saranno disponibili circa quattromilacinquecento posti in più.
Complessivamente, la capienza delle carceri italiane è adeguata a un paese che non è sull’orlo di una guerra civile, né preda inerme di bande criminali che lo assediano. Se, poi, combiniamo le dichiarazioni di Alfano con quelle di Ghedini, parlamentare del Popolo delle Libertà e avvocato del premier, ecco che le anticipazioni sul "pacchetto sicurezza", annunciato dal governo assumono quel tono, appunto caricaturale, di cui si diceva. Non si tratta solo della brutale negazione di alcuni principi fondamentali dello stato di diritto, ma anche dei tratti, un po’ farseschi e un po’ temibili, di una maschera dalla "faccia feroce". Intanto, una pirotecnica rappresentazione minacciosa, poi si vedrà.
Ghedini evoca una revisione della "legge Gozzini" e di una drastica limitazione del ricorso a benefici come le "pene alternative". Sorprende che a un avvocato, e del suo calibro, sfugga ciò che qualunque agente di Polizia Penitenziaria potrebbe confermagli. Ovvero che proprio la "legge Gozzini" è stata, e tuttora è, la ragione principale che ha bloccato la spirale di rivolte violente all’interno delle carceri italiane negli ultimi decenni.
E sorprende che alla competente giornalista, Donatella Stasio, che gli ricorda come la recidiva tra quanti scontano l’intera pena in carcere sia più di cinque volte maggiore della recidiva di chi sconta la pena in misure alternative, Ghedini non abbia semplicemente saputo rispondere. Infine, sono numerose in queste ore le voci che annunciano l’intenzione di configurare come reato la violazione delle norme sull’ingresso di soggiorno nel nostro paese.
Anche questo corrisponde a una utopia negativa, costantemente riproposta dalla destra: basterebbe considerare come una tale misura si sia rivelata totalmente inefficace negli Stati Uniti per riconoscerne il carattere tutto velleitario. E tutto ideologico. Non solo: c’è un problema, e tutt’altro che secondario. La libertà di movimento è diritto fondamentale della persona: è comprensibile, e può considerarsi persino ragionevole, che gli stati nazionali vogliano contenere e controllare i flussi migratori attraverso misure di vigilanza, restrizione degli accessi e, se necessario, respingimento.
Ma ciò attiene alla sfera delle politiche, appunto, delle scelte di governo, dei provvedimenti di controllo, dettati da criteri di opportunità, da necessità congiunturali, da esigenze di ordine pubblico. Tutto ciò, se pure accolto, non si traduce - non deve tradursi - nella negazione di quel diritto fondamentale alla libertà di movimento, che - se classificato come fattispecie penale - risulterebbe gravemente conculcato.
Grazie al cielo "c’è un giudice" a Roma (o almeno dovrebbe esserci): e la costituzionalità di una simile alterazione del diritto appare davvero dubbia. In ogni caso, staremo a vedere: si dovrà capire, in primo luogo, se siamo in presenza degli ultimi sussulti di una campagna elettorale diretta alla "galvanizzazione sentimentale delle masse" in senso xenofobo, o dell’annuncio di una stagione davvero brutta. E inclemente.
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