Giustizia- Troppi detenuti stranieri sono in attesa del processo
di Gaetano Quagliariello
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Quando i problemi emergenziali e i problemi strutturali arrivano a sovrapporsi, addirittura a confondersi fin quasi a coincidere, la ricerca delle relative soluzioni si fa più ardua e richiede un surplus di responsabilità. È esattamente quanto sta accadendo a proposito della questione carceraria.
Perché se da un lato la momentanea boccata d’ossigeno concessa dall’indulto ha prodotto qualche miglioramento, destinato tuttavia ad estinguersi con il progressivo esaurirsi degli effetti della misura di clemenza, dall’altro non servirebbe a nulla nascondere la polvere sotto il tappeto, e sottacere il fatto che nelle stesse strutture penitenziarie nelle quali le sezioni penali sono tornate ad essere più o meno vivibili, le celle destinate ai detenuti in attesa di giudizio risentono invece del disumano sovraffollamento dovuto all’abnorme afflusso degli immigrati irregolari nei confini italiani.
Quando si parla di emergenza carceraria, dunque, è necessario affrontare i nodi all’origine del problema, altrimenti si finisce per rincorrere la contingenza senza porre le basi affinché in futuro le condizioni drammatiche che hanno convinto il Parlamento a varare l’indulto non si ripetano. Di questo mi sono particolarmente convinto in seguito ad una recente visita al carcere di Pisa, a lungo sotto i riflettori a causa di un ospite "eccellente" e poi improvvisamente sparito dalle attenzioni dei parlamentari e della grande stampa nonostante la presenza di strutture di assoluto interesse come il Polo Universitario e un eccellente Centro Clinico.
A Pisa ho constatato con i miei occhi quanto suggerito dalla logica e confermato dalle statistiche: la coesistenza, nella medesima struttura penitenziaria, di una sezione penale assolutamente vivibile (anche grazie all’indulto) e di una sezione giudiziaria - quella che ospita i detenuti in attesa di giudizio - strozzata da un drammatico sovraffollamento che nessun piano edilizio, pur necessario, potrà mai risolvere se non ci si deciderà ad affrontare il problema alla radice. Quel che accade a Pisa, infatti, accade quasi dappertutto.
E quasi dappertutto i funzionari e gli operatori che nei penitenziari lavorano giorno e notte si trovano alle prese con una popolazione carceraria che per la maggior parte è composta da extracomunitari, per la maggior parte irregolari, per la maggior parte in attesa di giudizio dopo aver commesso i tanti, troppi reati che alimentano quella sacrosanta richiesta di sicurezza e rigore da parte dei cittadini che difficilmente consentirebbe in queste temperie di affrontare un altro delicatissimo nodo strutturale: quello della diversificazione delle pene. Rispetto ad essa, quello che potrebbe piuttosto servire sarebbe dar seguito a quanto aveva iniziato a fare il ministro Castelli: stipulare accordi con i Paesi extracomunitari affinché gli immigrati possano scontare le pene nei Paesi d’origine.
I primi passi in questa direzione, soprattutto per quel che riguarda l’Albania, erano stati mossi. Sarebbe il caso di riprendere questo percorso. Quando tutto il Vecchio Continente, a cominciare dai Paesi governati della sinistra, chiude i rubinetti dell’immigrazione mentre in Italia le maglie si allargano; quando in Europa non esiste una seria politica che aiuti gli Stati a gestire i flussi migratori e per tutta risposta il governo italiano spalanca indiscriminatamente le sue porte per soddisfare la sua anima più radicale, non c’è indulto che tenga. Nelle sezioni in cui i detenuti extracomunitari aspettano le sentenze dei magistrati l’indulto ha fallito prim’ancora di entrare in vigore.
E anche gli interventi assolutamente necessari sull’edilizia carceraria non possono essere risolutivi. Non c’è dubbio, infatti, che di penitenziari ce ne vogliono di più. Non dobbiamo dimenticare che rispetto agli abitanti la popolazione carceraria in Italia è la più bassa d’Europa. Eppure sta "stretta". Ma affinché le nuove carceri servano davvero a qualcosa, bisognerebbe adoperarsi affinché non siano destinate a riempirsi di nuovo nel volgere di poco tempo. Vorrei infine che nell’accostarsi ad un universo complesso come quello carcerario non ci si dimenticasse mai dell’altra faccia della luna.
E cioè di tutto il personale, di ogni ordine e grado, dal quale dipende direttamente la sopravvivenza stessa delle strutture di pena e la spesso difficile gestione dei detenuti che le popolano. Preoccuparsi della qualità di vita, del trattamento economico, dell’adeguata turnazione, dell’ampiezza degli organici dei funzionari e dei dipendenti che lavorano all’interno dei penitenziari è almeno altrettanto importante dell’attenzione prestata all’edilizia e alle condizioni dei carcerati. Questo è bene non dimenticarlo mai.
www.radiocarcere.com, 8 maggio 2008
Quando i problemi emergenziali e i problemi strutturali arrivano a sovrapporsi, addirittura a confondersi fin quasi a coincidere, la ricerca delle relative soluzioni si fa più ardua e richiede un surplus di responsabilità. È esattamente quanto sta accadendo a proposito della questione carceraria.
Perché se da un lato la momentanea boccata d’ossigeno concessa dall’indulto ha prodotto qualche miglioramento, destinato tuttavia ad estinguersi con il progressivo esaurirsi degli effetti della misura di clemenza, dall’altro non servirebbe a nulla nascondere la polvere sotto il tappeto, e sottacere il fatto che nelle stesse strutture penitenziarie nelle quali le sezioni penali sono tornate ad essere più o meno vivibili, le celle destinate ai detenuti in attesa di giudizio risentono invece del disumano sovraffollamento dovuto all’abnorme afflusso degli immigrati irregolari nei confini italiani.
Quando si parla di emergenza carceraria, dunque, è necessario affrontare i nodi all’origine del problema, altrimenti si finisce per rincorrere la contingenza senza porre le basi affinché in futuro le condizioni drammatiche che hanno convinto il Parlamento a varare l’indulto non si ripetano. Di questo mi sono particolarmente convinto in seguito ad una recente visita al carcere di Pisa, a lungo sotto i riflettori a causa di un ospite "eccellente" e poi improvvisamente sparito dalle attenzioni dei parlamentari e della grande stampa nonostante la presenza di strutture di assoluto interesse come il Polo Universitario e un eccellente Centro Clinico.
A Pisa ho constatato con i miei occhi quanto suggerito dalla logica e confermato dalle statistiche: la coesistenza, nella medesima struttura penitenziaria, di una sezione penale assolutamente vivibile (anche grazie all’indulto) e di una sezione giudiziaria - quella che ospita i detenuti in attesa di giudizio - strozzata da un drammatico sovraffollamento che nessun piano edilizio, pur necessario, potrà mai risolvere se non ci si deciderà ad affrontare il problema alla radice. Quel che accade a Pisa, infatti, accade quasi dappertutto.
E quasi dappertutto i funzionari e gli operatori che nei penitenziari lavorano giorno e notte si trovano alle prese con una popolazione carceraria che per la maggior parte è composta da extracomunitari, per la maggior parte irregolari, per la maggior parte in attesa di giudizio dopo aver commesso i tanti, troppi reati che alimentano quella sacrosanta richiesta di sicurezza e rigore da parte dei cittadini che difficilmente consentirebbe in queste temperie di affrontare un altro delicatissimo nodo strutturale: quello della diversificazione delle pene. Rispetto ad essa, quello che potrebbe piuttosto servire sarebbe dar seguito a quanto aveva iniziato a fare il ministro Castelli: stipulare accordi con i Paesi extracomunitari affinché gli immigrati possano scontare le pene nei Paesi d’origine.
I primi passi in questa direzione, soprattutto per quel che riguarda l’Albania, erano stati mossi. Sarebbe il caso di riprendere questo percorso. Quando tutto il Vecchio Continente, a cominciare dai Paesi governati della sinistra, chiude i rubinetti dell’immigrazione mentre in Italia le maglie si allargano; quando in Europa non esiste una seria politica che aiuti gli Stati a gestire i flussi migratori e per tutta risposta il governo italiano spalanca indiscriminatamente le sue porte per soddisfare la sua anima più radicale, non c’è indulto che tenga. Nelle sezioni in cui i detenuti extracomunitari aspettano le sentenze dei magistrati l’indulto ha fallito prim’ancora di entrare in vigore.
E anche gli interventi assolutamente necessari sull’edilizia carceraria non possono essere risolutivi. Non c’è dubbio, infatti, che di penitenziari ce ne vogliono di più. Non dobbiamo dimenticare che rispetto agli abitanti la popolazione carceraria in Italia è la più bassa d’Europa. Eppure sta "stretta". Ma affinché le nuove carceri servano davvero a qualcosa, bisognerebbe adoperarsi affinché non siano destinate a riempirsi di nuovo nel volgere di poco tempo. Vorrei infine che nell’accostarsi ad un universo complesso come quello carcerario non ci si dimenticasse mai dell’altra faccia della luna.
E cioè di tutto il personale, di ogni ordine e grado, dal quale dipende direttamente la sopravvivenza stessa delle strutture di pena e la spesso difficile gestione dei detenuti che le popolano. Preoccuparsi della qualità di vita, del trattamento economico, dell’adeguata turnazione, dell’ampiezza degli organici dei funzionari e dei dipendenti che lavorano all’interno dei penitenziari è almeno altrettanto importante dell’attenzione prestata all’edilizia e alle condizioni dei carcerati. Questo è bene non dimenticarlo mai.
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