Giustizia: per espulsioni e braccialetto un percorso a ostacoli
Il Velino, 8 settembre 2008
Lo studio avviato da tempo dal ministro della Giustizia Angelino Alfano per superare l’emergenza che fra poco interesserà le nostre carceri (56 mila i detenuti, contro un limite sopportabile di 62 mila), prevede soluzioni alternative alla detenzione. La soluzione ottimale per il ministro sarebbe quella di trasferire nei loro paesi d’origine almeno tremila stranieri che stanno scontando pene definitive e concedere gli arresti domiciliari ad almeno quattromila detenuti italiani (in gran parte ne beneficerebbero quanti devono scontare un residuo di pena di due anni) controllandoli con il braccialetto elettronico.
I consiglieri del Guardasigilli su questi dati hanno però sollevato molte perplessità e non pochi dubbi su quelle che ritengono siano in buona parte soltanto buone intenzioni. Secondo loro, infatti, gli stranieri interessati ad una soluzione di trasferimento sarebbero soltanto qualche centinaio, quelli cioè che debbono scontare condanne definitive molto lunghe. C’è fra l’altro da superare il vincolo posto dalle convenzioni internazionali che stabiliscono l’indispensabile accettazione da parte del detenuto di voler proseguire la detenzione nel proprio paese d’origine.
Quelli che invece debbono scontare pene minime o vengono espulsi, ma è sempre necessario che il paese dove sono nati li accetti, oppure difficilmente chiedono di ritornare nei loro paesi. Gli esperimenti realizzati con l’Albania, dove abbiamo perfino costruito il nuovo carcere, sotto questo profilo non è certo rassicurante. Si potrebbe tentare di incrementare la disponibilità di alcuni paesi a riprendersi i propri cittadini in detenzione pagando loro le spese di retta, che fra l’altro sarebbero molto più basse che in Italia, ma le trattative su questa ipotesi sono ancora ai primi passi.
Quanto al braccialetto elettronico per i detenuti italiani, l’iniziativa fu avviata dal governo D’Alema. Enzo Bianco, allora ministro dell’Interno, lo sperimentò in alcune città, a Catania, per esempio, ma con risultati poco chiari. Il sistema di controllo era allora molto oneroso, il braccialetto deve essere in contatto con la centralina che viene posta nell’abitazione del detenuto, la quale poi deve inviare i dati ad una centrale unica territoriale. Le tecnologie sono adesso molto più sviluppate, anche perché è possibile allargare il controllo anche dal punto di vista visivo installando telecamere a costi abbastanza ridotti.
È pure possibile collegare il braccialetto elettronico ad una rete telefonica mobile, come per i cellulari, e così in caso di allontanamento dal domicilio imposto dal magistrato il detenuto verrebbe ugualmente seguito nei suoi spostamenti. Una condizione quest’ultima vicina a quella sollecitata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che teme fughe generalizzate. Superati i problemi tecnici, dovrebbe essere il magistrato di sorveglianza a decidere di volta in volta.
Ma si ritiene che il braccialetto potrebbe riguardare ragionevolmente non più di duemila detenuti che scontano pene detentive definitive e che hanno dato prova di buona condotta. Potrebbe, poi, anche applicarsi e in tempi strettissimi, ai detenuti, quasi 800, che godono della semilibertà e che ritornano in carcere soltanto la notte, e a quelli "articolo 21" (quasi 700) che lavorano all’esterno dei penitenziari. Se il braccialetto elettronico fosse applicato a tutti costoro, si renderebbero disponibili, in tempi brevissimi, oltre 1.500 posti nel sistema carcerario.
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