Giustizia/Carcere: Il braccialetto elettronico? Sì, se è sicuro
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Il braccialetto elettronico? “Solo se si troverà una tecnologia adeguata per garantire al cento per cento la sicurezza” dice il ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il dispositivo sarebbe destinato a detenuti condannati per reati di minore gravità: negli anni se n’è parlato come di un possibile strumento “svuota-carceri” dai tossicodipendenti e periodicamente, nei momenti di maggior emergenza affollamento, come metodo di controllo per i detenuti ammessi alle misure alternative.
Fu l’allora Ministro della Giustizia Roberto Castelli a sancire la fine della sperimentazione del braccialetto elettronico sostenendo la sua non economicità. Erano trascorsi poco più di due anni e mezzo da quando, nel febbraio del 2001, era stato pubblicato il decreto del Ministero dell’Interno che ne descriveva le modalità d’installazione e di uso. L’obiettivo era quello di controllare a distanza, attraverso un trasmettitore collegato alla caviglia, detenuti in misura alternativa e persone agli arresti domiciliari. Il braccialetto avrebbe dovuto essere impermeabile e ipoallergico. Un sistema informatico centrale avrebbe dovuto segnalare tutti gli eventi alle forze dell’ordine. Ingente è stato l’investimento economico: nel decreto erano puntigliosamente elencati tutti i congegni, strumenti, sensori, software, consolle, trasmettitori e ricevitori che avrebbero dovuto essere acquistati, questura per questura, in giro per l’Italia. Pochissime le città e le questure dove, viceversa - sottolinea l’associazione Antigone - la cavigliera fu sperimentata. Inoltre, a poche settimane dall’entrata in vigore della legge un colombiano agli arresti domiciliari si diede alla fuga, non e’ stato mai ritrovato. Il 21 luglio 2002 un boss della mafia siciliana, malato di Aids, riuscì a fuggire insieme al proprio braccialetto elettronico dall’ospedale Sacco di Milano, dove era ricoverato in detenzione domiciliare.
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