Giustizia/Carceri: Il piano del governo "Via dalle celle oltre settemila"
di LIANA MILELLA
DUE NUMERI. E il totale dei due. 3.300 stranieri. 4.100 italiani. In tutto 7.400 detenuti, che presto potrebbero uscire. È pronto il piano del governo per "alleggerire" le carceri e affrontare l'allarme del sovraffollamento come ai tempi dell'indulto. I primi vengono rispediti nei paesi d'origine, i secondi passano dalla cella ai domiciliari, ma con un braccialetto elettronico alla caviglia per controllare gli spostamenti. Gli uni e gli altri con un "qualcosa" in comune: due anni di pena da scontare per delitti che non suscitano allarme sociale.
Ecco la strategia del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del direttore delle carceri Franco Ionta per evitare l'esplosione dei penitenziari "senza pensare neppure per un attimo a un nuovo sconto di pena", come continua a ripetere il Guardasigilli, e "limitandosi ad applicare le leggi che già esistono", come chiosa il responsabile dei penitenziari. Un piano studiato con le statistiche alla mano nella sede centrale del Dap di largo Luigi Daga dove, ad agosto, e appena insediato, l'ex procuratore aggiunto di Roma ha cominciato subito a far di conto sempre più preoccupato dei prospetti che, ogni giorno, venivano depositati sul suo tavolo.
I timori del capo della polizia penitenziaria sono diventati quelli del ministro della Giustizia. Che, giusto qualche giorno fa, con Ionta a fianco, ne ha parlato con Napolitano, col ministro dell'Interno Roberto Maroni, con la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno. Lega e An, i due partiti che potrebbero anche mettersi di traverso, e contrastare l'uscita dal carcere di 7mila tra italiani e stranieri in nome del "sacro principio" della certezza della pena.
Ma il piano, come tecnicamente è stato studiato dal Dap, non sarebbe un "libera tutti", una sorta di indulto mascherato, ma "una via per garantire l'espiazione della condanna senza infilarsi nell'incubo del sovraffollamento carcerario". Alfano ne fa un punto cruciale della sua "agenda" d'autunno, ne ha discusso con Berlusconi il 27 agosto ottenendo un pieno via libera, ne parlerà al più presto in consiglio dei ministri.
Ecco la strategia del ministro della Giustizia Angelino Alfano e del direttore delle carceri Franco Ionta per evitare l'esplosione dei penitenziari "senza pensare neppure per un attimo a un nuovo sconto di pena", come continua a ripetere il Guardasigilli, e "limitandosi ad applicare le leggi che già esistono", come chiosa il responsabile dei penitenziari. Un piano studiato con le statistiche alla mano nella sede centrale del Dap di largo Luigi Daga dove, ad agosto, e appena insediato, l'ex procuratore aggiunto di Roma ha cominciato subito a far di conto sempre più preoccupato dei prospetti che, ogni giorno, venivano depositati sul suo tavolo.
I timori del capo della polizia penitenziaria sono diventati quelli del ministro della Giustizia. Che, giusto qualche giorno fa, con Ionta a fianco, ne ha parlato con Napolitano, col ministro dell'Interno Roberto Maroni, con la presidente della commissione Giustizia della Camera Giulia Bongiorno. Lega e An, i due partiti che potrebbero anche mettersi di traverso, e contrastare l'uscita dal carcere di 7mila tra italiani e stranieri in nome del "sacro principio" della certezza della pena.
Ma il piano, come tecnicamente è stato studiato dal Dap, non sarebbe un "libera tutti", una sorta di indulto mascherato, ma "una via per garantire l'espiazione della condanna senza infilarsi nell'incubo del sovraffollamento carcerario". Alfano ne fa un punto cruciale della sua "agenda" d'autunno, ne ha discusso con Berlusconi il 27 agosto ottenendo un pieno via libera, ne parlerà al più presto in consiglio dei ministri.
I numeri dunque. Entriamoci, per come li racconta Ionta. Il lavoro statistico è fresco di stampa. Parte da un punto fermo: quanti detenuti stanno in cella, stranieri o italiani che siamo, per scontare una pena residua di due anni. A fascicoli spulciati i primi sono risultati 4.700. Ma ai suoi Ionta ha raccomandato: "Facciamo un calcolo affidabile e prudenziale, teniamo conto soprattutto delle recidive, forniamo una cifra attendibile". Che è stata calcolata in 3.300 detenuti extracomunitari ma anche di area Ue, tant'è che accanto a 1.100 marocchini ci sono 600 rumeni. Ben rappresentati anche i paesi dell'ex Jugoslavia, Albania, Tunisia, Algeria, Nigeria.
Per costoro la legge Bossi-Fini, all'articolo 16, è chiara, "il magistrato di sorveglianza può disporre l'espulsione dello straniero identificato che deve scontare una pena residua non superiore a due anni". E perché finora sono rimasti qui? Al Dap danno tre spiegazioni possibili: "Tribunali di sorveglianza restii, paesi stranieri non disponibili all'accoglimento, identificazione difficile". Sui tre fronti vogliono muoversi Alfano e Ionta. Ecco una delle ragioni del lungo incontro con Maroni per riesaminare il dossier degli accordi di riammissione con i paesi stranieri. Ma al Viminale il piatto forte è stato il braccialetto elettronico. Per gli italiani detenuti, ovviamente.
Per loro il calcolo è presto fatto. Sono 5.800 quelli con una pena residua di due anni. Che, depurato del solito 30-35%, ci porta a un "target attendibile", secondo Ionta, di 4.100 "persone detenute". L'ex pm antiterrorismo usa sempre questa definizione perché "le parole sono importanti e non voglio parlare di "detenuti", perché anche una persona condannata all'ergastolo deve avere il diritto di pensare alla propria condizione come transitoria e destinata a un futuro, a tempo debito, di uomo libero".
Non è certo un perdonista Ionta, tant'è che il registro dei 41bis è aggiornato quotidianamente, ma vuole garantire una macchina "efficiente e rieducativa". Per questo ha riletto, e vuole applicare, l'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. Lì c'è scritto che "la detenzione domiciliare può essere applicata per una pena non superiore ai due anni, anche se costituisce la parte residua di una pena maggiore". Codice alla mano, vizio di chi ha lasciato solo un mese fa le stanze di piazzale Clodio, ecco il rimando all'articolo 275 del codice di procedura che consente l'uso dei "mezzi elettronici" a patto che l'interessato dia il consenso.
Qui Ionta suggerisce una modifica, togliere quel "consenso" e considerare il braccialetto un obbligo legato agli arresti domiciliari. Quattromila braccialetti sono tanti. Vanno acquistati, va rivisto l'accordo tra Viminale e Telecom, vanno create, suggerisce Ionta, "centrali operative distribuite in Italia". Ma il risultato complessivo, 7mila detenuti in meno, farebbe dormire sonni più tranquilli, come dice lui, al ministro Guardasigilli. E anche a Ionta, ovviamente.
www.repubblica.it(7 settembre 2008)
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