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lunedì 20 ottobre 2008

Giustizia: pene alternative; solo quattro su mille sono recidivi

di Andrea Maria Candidi

Il Sole 24 Ore, 20 ottobre 2008

Quattro condannati su mille commettono nuovi reati mentre scontano una pena lontano dal carcere perché sottoposti ad affidamento in prova o in regime di semilibertà, come quello concesso la scorsa settimana - scatenando diverse polemiche - a Pietro Maso, che nel 1991 uccise i genitori e che adesso, dopo 17 anni di carcere, prova a rifarsi una vita.

Un livello di recidiva molto inferiore rispetto a quello che si registra tra chi invece estingue la propria sentenza tra quattro mura. Basta ricordare l’elevatissimo tasso di "rientri" di chi ha beneficiato dell’indulto da detenuto: addirittura 31 su 100 secondo una delle ultime rilevazioni. Un ritmo, questo, che ha contribuito a riportare in fretta le condizioni di affollamento all’interno delle carceri verso il punto di non ritorno. Situazione invece ben diversa se si guarda all’universo penitenziario dietro la lente delle misure alternative, affidamento in prova, detenzione domiciliare o semilibertà.

Secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, se i detenuti hanno ormai superato le 56mila unità, tornando in sostanza al livello d’allarme pre-indulto, il numero dei beneficiari di una misura alternativa ha invece mantenuto il grado - appena sopra quota 9mila al 30 giugno scorso - raggiunto dopo lo sconto di pena varato dal Parlamento nel 2006. In effetti, fino al 2006, l’universo penitenziario era quasi spaccato a metà: con 50-60mila condannati "ospiti" degli istituti penitenziari e 40-50mila a espiare la propria pena "fuori".

Le ragioni della marcata differenza che si registra invece oggi vanno ricondotte, come spiega Carlo Renoldi, magistrato presso il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari, "all’ampiezza dell’indulto, che ha cancellato sia le migliaia di misure alternative in corso di esecuzione, sia gli altrettanto numerosi procedimenti relativi alle persone condannate che, libere al momento della sentenza, erano in attesa di essere ammesse alla misura alternativa".

A ciò vanno aggiunti gli effetti della ex Cirielli che, dal 2005, ha introdotto un regime di particolare rigore per i plurirecidivi (anche per reati di minore gravità). Se prima il condannato rimaneva libero fino alla decisione sull’opportunità di concedere una misura alternativa, ora viene arrestato per l’espiazione della pena non appena la sentenza diventa definitiva. "In alcuni casi - sottolinea Renoldi - quando la pena è breve, il Tribunale di Sorveglianza, che ha comunque bisogno di tempo, non riesce a pronunciarsi prima che sia conclusa".

Un altro fattore che giustifica la differente velocità con cui si alimentano le due categorie di condannati è la durata dei processi. Con l’eccezione di quelli per direttissima, che spesso riguardano proprio i plurirecidivi, la lentezza con cui si arriva alla sentenza si ripercuote sulla "riserva" di condannati liberi in attesa di accedere alle misure alternative.

Il basso grado di recidiva, comunque, testimonia la sostanziale efficacia del meccanismo delle pene alternative e l’eccessiva emotività degli allarmi sulla funzionalità del sistema che spesso accompagnano alcuni - seppure drammatici - casi di cronaca. Gli indicatori, peraltro, mostrano un andamento pressoché stabile nel corso degli anni monitorati: dal 2001 a oggi il tasso di revoca delle misure alternative per avere commesso un reato durante la loro concessione oscilla tra il 2 e il 4 per mille.

Va poi sottolineato, conclude Renoldi, "che chi accede al beneficio è in genere una persona che presenta sufficienti indici di integrazione, che rappresentano uno dei criteri positivi per la concessione. Chi non ha un’abitazione, ha situazioni di famiglia conflittuali, non ha un lavoro o è socialmente pericoloso non viene ammesso alla misura alternativa".