L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 25 gennaio 2012

No alla privatizzazione delle carceri voluta dal governo Monti

allamacchia.blogspot.com



Il decreto sulle liberalizzazioni del governo Monti approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 20 gennaio stabilisce, tra tante molto discusse, la possibilità di una privatizzazione che più di ogni altra rappresenta un'aberrazione e che però quasi nessuno sembra aver notato: quella delle carceri.

L'unico che finora ne ha parlato è stato il presidente dell'Associazione Antigone Patrizio Gonnella, in un intervento pubblicato ieri sul blog di MicroMega. Lo riporto interamente:


Vecchia e brutta storia quella della privatizzazione delle carceri. Nata negli anni del reaganismo ha trovato terreno fertile in Inghilterra. In Italia dal 1999 in poi ci sono stati molti tentativi di togliere il monopolio pubblico della esecuzione della pena. Iniziò Piero Fassino, quando era Guardasigilli, a dare messaggi in questa direzione. Poi ci provò il leghista Castelli dando vita a una società, la Dike Aedifica, che doveva vendere carceri vecchie e comprare carceri nuove nonché fare affari penitenziari di varia natura. Non se ne fece nulla. Si avviarono le inchieste giudiziarie nei confronti dei consulenti edilizi del ministro ingegnere Castelli. Per la Corte dei Conti la società non esisteva, essendo stata illegalmente costituita.

Poi Berlusconi, di rientro da un viaggio in Cile, disse che l'Italia avrebbe dovuto copiare il modello penitenziario privato cileno. A seguire fallì il tentativo di assegnare alla comunità di Muccioli una casa lavoro in Emilia. Nell'ultimo decennio sono stati annunciati leasing immobiliare e project financing.

Venerdì scorso nel decreto liberalizzazioni è comparsa la seguente norma:

«Al fine di realizzare gli interventi necessari a fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento delle carceri, si ricorre in via prioritaria [...] alle procedure in materia di finanza di progetto. [...] Al fine di assicurare il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'investimento, è riconosciuta a titolo di prezzo, una tariffa per la gestione dell'infrastruttura e per i servizi connessi, a esclusione della custodia, determinata in misura non modificabile al momento dell'affidamento della concessione. [...] E' a esclusivo rischio del concessionario l'alea economico-finanziaria della costruzione e della gestione dell'opera. La concessione ha durata non superiore a venti anni».

Una norma pericolosa, non conforme alla mission costituzionale del sistema penitenziario, inaccettabile dal punto di vista del diritto interno e internazionale. Dal 1990 le Nazioni Unite condannano quei Paesi, Usa in primis, che hanno adottato programmi selvaggi di privatizzazione. I diritti umani in quelle carceri sono considerati un optional accidentale. Nessuno può mettere naso nei bilanci e nelle politiche delle multinazionali della sicurezza. Sono ricomparsi i lavori forzati nel nome del lucro dei carcerieri. Le politiche penali le fanno le società private che hanno bisogno di detenuti per riempire le loro galere. Così negli Usa siamo arrivati a 2 milioni di prigionieri.

Ora anche in Italia compare una norma che conferisce ai privati la possibilità di costruire un carcere e gestirlo, previa concessione governativa. Chiaramente un imprenditore fa un investimento del genere se sa che poi quel carcere si andrà a riempire. E dalla gestione della prigione che quell'imprenditore ci guadagna denaro.

Le politiche penali messe nelle mani della cricca non sono proprio una bella cosa. In questo modo il sovraffollamento esploderà nel nome del profitto.


Ciliegina sulla torta (di denaro da spartire), è il comma 3 dell'articolo 44 in questione:

«Il concessionario nella propria offerta deve prevedere che le fondazioni di origine bancaria contribuiscano alla realizzazione delle infrastrutture di cui al comma 1, con il finanziamento di almeno il 20 per cento del costo di investimento».

Si impone quindi il modello del project financing con il coinvolgimento obbligatorio delle banche. Peccato che quando si tratta di infrastrutture costruite con questo sistema alla fine tocchi comunque allo Stato pagare, sia nelle fasi di realizzazione (l'esempio principe è il finanziamento dell'autostrada lombarda Brebemi, che già alla partenza dei lavori gravava sulla Cassa depositi e prestiti, un ente pubblico, per 762 milioni di euro, cifra ora in continua lievitazione a causa delle inchieste giudiziarie su mazzette e scorie contaminate che hanno indotto le banche a temporeggiare sui mutui) sia in quella di gestione (a meno che nel caso delle prigioni non si pensi sul serio di usare i reclusi come forza lavoro gratuita e permettere all'imprenditore di intascare il compenso del loro sfruttamento...).

Fa sorgere qualcosa di ben più consistente di un sospetto di conflitto di interessi il fatto che l'attuale viceministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Mario Ciaccia, sia stato sino a pochi mesi fa amministratore delegato e direttore generale di Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo, il braccio operativo di Intesa Sanpaolo nel finanziamento delle grandi opere. Opere di facile ed evidente speculazione come il Tav Torino-Lione, la Brebemi o come appunto certe privatizzazioni, fra cui questa dell'edilizia carceraria, guardacaso tutte spacciate come prioritarie per la salvezza economica del Paese.