REDATTORE SOCIALE
Giustizia: con le misure alternative c'è molta meno recidiva
[13/02/07] Meglio fuori che in carcere. Un’indagine rivela: ricade il 19% degli ammessi alle misure alternative, contro il 68% di chi è uscito dopo aver scontato la pena in stato di detenzione. La percentuale di recidivi tra coloro che beneficiano delle misure alternative al carcere è di gran lunga inferiore rispetto a coloro che sono in carcere e vengono liberati regolarmente alla scadenza della pena. Il dato non è nuovissimo ma è tornato prepotentemente alla ribalta dopo che ieri il ministro Ferrero vi ha fatto cenno nel corso della sua esposizione (in Commissione Sanità al Senato) delle linee guida del nuovo ddl governativo sulle droghe. In generale, si può affermare che "ricade" nella tentazione di commettere un reato il 19% degli ammessi alle misure alternative, contro il 40% di chi ha usufruito della misura concessa dopo la detenzione e del 68% dei detenuti che hanno scontato la pena. La storia. Le misure alternative sono state introdotte dall’ordinamento penitenziario del 1975 come modalità di esecuzione della pena diverse da quella detentiva. A leggere i grafici della sequenza storica, tuttavia, è dal 1991 che esse hanno subito una brusca accelerazione, contestualmente al netto aumento del numero dei detenuti condannati presenti in carcere. In realtà le due misurazioni non sarebbero direttamente equiparabili (il numero dei detenuti è riferito al 31 dicembre di ogni anno, mentre le misure alternative sono considerate nel numero complessivo di tutto l’anno e ricomprendono anche i casi già aperti in precedenza). Tuttavia, notevole è la crescita dell’esecuzione all’esterno rispetto a quella nelle strutture di reclusione. Nel 2005 l’indice dell’esecuzione penale esterna è più che decuplicato, mentre quello per l’esecuzione infrastrutturale è solo triplicato. La crescita, oltre che dall’aumento delle detenzioni, è stata favorita anche e soprattutto dagli interventi legislativi, come la legge Gozzini del 1986 o la legge Simeone-Saraceni del 1998, che hanno agevolato l’esecuzione della pena in misura alternativa alla detenzione. Dati generali. Per Fabrizio Leonardi, direttore dell’Osservatorio delle misure alternative presso la Direzione generale dell’esecuzione penale esterna, "ancora oggi mancano dati certi e osservazioni sufficientemente prolungate nel tempo sulla commissione di reati da parte di coloro che hanno fruito delle misure premiali e di decarcerizzazione". Un aspetto rilevante riguarda però le revoche degli affidamenti in prova al servizio sociale. I dati sulle revoche delle misure alternative sono disponibili a partire dal 1999. E fino al 2005, le percentuali dei casi di affidamento in prova al servizio sociale revocati oscillavano attorno al 5%, con un minimo del 4,32% del 1999 a un massimo del 5,33% del 2005. E il motivo che più di frequente ha comportato la revoca è stato l’andamento negativo, vale a dire la tenuta di una condotta che viola i vincoli prescritti per la concessione della misura alternativa al carcere. Scarsissimi i casi di irreperibilità del soggetto ammesso alla misura e quelli relativi alla commissione di reati durante la misura stessa. Un fatto che spinge Leonardi ad affermare che "l’eventualità della commissione di reati durante la misura presenta valori che non giustificano l’allarme sociale che a volte viene creato sui singoli casi di cronaca". La ricerca. In Italia sono poche le ricerche sull’analisi del "recidivismo". Una ricerca condotta dall’Osservatorio delle misure alternative su casi del 1998 (e presentata nei mesi scorsi), tuttavia, ha cercato di individuare almeno quantitativamente quei soggetti per il quale il trattamento extra-murale, nella misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, non ha raggiunto lo scopo del reinserimento sociale. L’indagine ha avuto per oggetto gli affidati in prova al servizio sociale con affidamento ordinario, militare e in casi particolari, vale a dire alcoldipendenti e tossicodipendenti. Sono stati esaminati i casi di affidamento archiviati nel 1998 e sono stati considerati recidivi coloro che entro il 2005 hanno subito una nuova condanna. Bene, nel 1998 gli affidamenti in prova al servizio sociale rappresentavano il 78,23% dei casi di misure alternative alla detenzione seguiti dai Centri di servizio sociale per adulti. Dei 27.651 casi seguiti nel 1998, 15.711 cioè più della metà, sono stati presi in carico nel corso dell’anno, mentre per i restanti 11.940 si trattava della prosecuzione di una misura che ha avuto inizio negli anni precedenti. Le posizioni esaminate nel corso della ricerca sono state 8.817. Sono risultati recidivi 1.677 soggetti, pari al 19% del campione, di essi 94 sono donne. Analizzando le diverse tipologie di affidamento, si possono evidenziare i casi in cui la misura interviene dopo un periodo di detenzione. La percentuale di recidivi è superiore alla media negli affidamenti in casi particolari, cioè per gli alcoldipendenti e tossicodipendenti. Ciò si verifica soprattutto quando la misura viene concessa dopo la reclusione: in questo caso, infatti si supera il 40%. Anche gli affidati ordinari sono meno recidivi quando vengono ammessi alla misura alternativa direttamente dalla libertà. I dati più alti per i tossicodipendenti sono da legare ovviamente alla situazione più "delicata" vissuta da questa parte di detenuti, che rappresentano tuttavia solo un quarto degli ammessi alle misure alternative. E tuttavia, anche tra gli altri tre-quarti sono presenti spesso casi di insuccesso legati all’uso di sostanze. Nella classe 26-40 anni l’incidenza della recidiva sia maggiore di quella rilevata sull’intero campione. La recidiva per questa classe di età è del 25,1%, quindi di ben 6 punti percentuali superiore al valore generale del 19%. La recidiva, inoltre, ha avuto un’incidenza decisamente inferiore per le donne (12,6% dei casi). Un parametro interessante per valutare la recidiva è il numero di mesi che intercorrono tra la fine della misura e la data di commissione di un nuovo reato. L’intervallo temporale va da 0 a 81 mesi, ma già dopo 54 mesi il 90% dei recidivi ha commesso almeno un nuovo reato. In media i soggetti in esame hanno commesso un nuovo reato dopo 25 mesi. Quasi un terzo dei recidivi, ha subito più condanne relative a reati commessi successivamente al 1998, per un totale di 534 pluri-recidivi. Infine possiamo confrontare la recidiva degli affidati con quella dei detenuti. Nel 1998 sono stati scarcerati 5.772 condannati, 3.951 di questi, quasi 7 su 10, corrispondenti al 68,45%, hanno fatto rientro in carcere una o più volte e hanno avuto una sentenza di condanna definitiva per nuovi reati, indipendentemente dall’applicazione dell’articolo 99 del codice penale. Li possiamo indicare come recidivi in senso "penitenziario". Un’altra indagine, sempre condotta dall’ufficio statistico del Dap sui detenuti italiani presenti in carcere alla data del 19 aprile 2006 aveva per oggetto le carcerazioni precedenti motivate da una sentenza di condanna irrevocabile. Su 27.585 detenuti circa il 48% risulta avere sofferto precedenti carcerazioni per condanne passate in giudicato. Nella ricerca sugli affidati in prova al servizio sociale il concetto di recidiva è più ampio perché non è limitato all’esecuzione penale, sia infra che extra-murale, ma vengono considerate tutte le condanne iscritte al Casellario giudiziale. Nonostante ciò la percentuale di recidivi che provengono da una misura alternativa, che in base alle modalità di rilevazione ci si aspetterebbe più ampia, è notevolmente inferiore: non si arriva a 2 casi su 10.
http://www.abuondiritto.it/dettagli.php?ID=6531
Misure alternative: solo 2 su 10 commettono nuovi reati
12 aprile 2007
Ministero della Giustizia e Dipartimento amministrazione penitenziaria smentiscono con 6 ricerche l’idea che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è detenuto avviene sette volte su dieci.
Cresce l’importanza delle misure alternative al carcere e cresce anche la qualità del servizio offerto dalle strutture (Uepe, gli uffici di esecuzione penale esterna), anche se l’opinione pubblica continua a pensare esattamente il contrario, ovvero che sia il carcere come istituzione totale la soluzione migliore per controllare chi ha commesso reati e quindi per abbassare il tasso di criminalità del paese. I dati scientifici mostrano invece l’esatto contrario soprattutto a proposito dei tassi di recidiva. Sono questi i messaggi più importanti emersi oggi durante un interessante convegno organizzato dal ministero della Giustizia e dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) nelle sale della Lumsa (Libera Università Maria SS. Assunta). Al convegno ha partecipato anche Ettore Ferrara, capo del Dap.
Molto netto il dato sul rapporto tra tasso di recidiva che si riscontra tra i detenuti usciti dal carcere (e poi rientrati a fronte di nuovi reati commessi) e quello che si riscontra tra i condannati assegnati alle misure alternative. Il rapporto è nettamente a favore delle misure alternative, dato che solo due condannati su dieci commettono nuovi reati, mentre tra i detenuti "normali" il rapporto è sette a dieci, ovvero sette persone che escono dal carcere commettono nuovi reati e vengono poi incarcerate di nuovo. La differenza è netta dunque: 2/10 contro 7/10. Come si spiega questo trend? Andiamo con ordine.
La prima cosa da dire è che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in netto miglioramento. Dal 1975 al 2005 - ha spiegato oggi durante il convegno Fabrizio Leonardi, direttore dell’Osservatorio delle Misure Alternative - le esecuzioni esterne si sono decuplicate (moltiplicate per dieci) mentre la detenzione in carcere (indulto escluso) si è triplicata. Dopo le leggi Gozzini e Simeone, insomma, si è sempre più fatto ricorso alle misure alternative e anche il dato confortante sulle revoche dimostra l’efficacia del nuovo sistema. In media le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Un altro indicatore molto importante è quello sulle recidive (ovvero le condanne di detenuti o ex detenuti per nuovi reati). Ebbene da un’analisi dei dati storici dal 1998 al 2005 si evince appunto il dato del rapporto 2/10 della recidiva tra le persone in misure alternative al carcere. Tra tutti coloro che in quel lasso di tempo sono stati assegnati a misure alternative al carcere 1.677 hanno commesso nuovi reati (pari al 19% del totale), mentre i non recidivi sono stati la maggioranza: 7.140 persone. Tra i detenuti nei carceri tradizionali il tasso di recidiva (al momento dell’uscita dal carcere) è molto più alto. Siamo infatti intorno al 67%, con un rapporto tra chi commette altri reati e il totale di 7 a 10.
Secondo Fabrizio Leonardi si possono avanzare varie interpretazioni del fenomeno e comunque ci sono concause. Una delle spiegazioni più semplici riguarda il tipo di persone che vengono selezionate per le misure alternative. La selezione è già un passo perché si basa sull’affidabilità, quasi dunque una scrematura che abbassa (almeno virtualmente) le possibilità che poi le stesse persone, gli stessi ex detenuti commettano nuovi reati. In ogni caso, durante il convegno di oggi della Lumsa, si è capita l’importanza della ricerca sociologica e della ricerca applicata a questi fenomeni e si è capita soprattutto l’importanza - anzi forse la centralità - della comunicazione. Lo ha voluto sottolineare il professor Luigi Frudà, esperto di ricerche nel campo penitenziario e da anni collaboratore del Dap e del ministero.
Conoscere per che cosa? Si è chiesto retoricamente Frudà durante il convegno sulle alternative al carcere. Conoscere soprattutto per "restituire", si è risposto. E i dati eclatanti sul basso tasso di recidiva stanno a dimostrare che serve un grande lavoro di comunicazione/informazione nei confronti dell’opinione pubblica. Dal continuo allarmismo sociale rilanciato dai media emerge infatti un’immagine del carcere come l’istituzione comunque più sicura e funzionale nel controllo del crimine, mentre le misure alternative vengono viste con paura. E invece i dati di tutte le ricerche svolte sul tema dimostrano l’esatto contrario. "Queste cose vanno dette e ridette - ha spiegato Frudà - si devono organizzare grandi campagne che possano ben indirizzare un’opinione pubblica distratta o mal indirizzata". È l’antico, difficilissimo tema, delle "good news". "Fa più rumore un albero che cade - ha detto il professor Frudà - che una foresta che cresce". Tutto bene dunque? No, c’è ancora molto da fare per migliorare il sistema degli Uepe, gli uffici per l’esecuzione penale esterna. Dal convegno sono arrivati i primi spunti critici di una riflessione che dovrebbe portare a nuovi interventi per il futuro.
12 aprile 2007
Ministero della Giustizia e Dipartimento amministrazione penitenziaria smentiscono con 6 ricerche l’idea che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è detenuto avviene sette volte su dieci.
Cresce l’importanza delle misure alternative al carcere e cresce anche la qualità del servizio offerto dalle strutture (Uepe, gli uffici di esecuzione penale esterna), anche se l’opinione pubblica continua a pensare esattamente il contrario, ovvero che sia il carcere come istituzione totale la soluzione migliore per controllare chi ha commesso reati e quindi per abbassare il tasso di criminalità del paese. I dati scientifici mostrano invece l’esatto contrario soprattutto a proposito dei tassi di recidiva. Sono questi i messaggi più importanti emersi oggi durante un interessante convegno organizzato dal ministero della Giustizia e dal Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) nelle sale della Lumsa (Libera Università Maria SS. Assunta). Al convegno ha partecipato anche Ettore Ferrara, capo del Dap.
Molto netto il dato sul rapporto tra tasso di recidiva che si riscontra tra i detenuti usciti dal carcere (e poi rientrati a fronte di nuovi reati commessi) e quello che si riscontra tra i condannati assegnati alle misure alternative. Il rapporto è nettamente a favore delle misure alternative, dato che solo due condannati su dieci commettono nuovi reati, mentre tra i detenuti "normali" il rapporto è sette a dieci, ovvero sette persone che escono dal carcere commettono nuovi reati e vengono poi incarcerate di nuovo. La differenza è netta dunque: 2/10 contro 7/10. Come si spiega questo trend? Andiamo con ordine.
La prima cosa da dire è che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in netto miglioramento. Dal 1975 al 2005 - ha spiegato oggi durante il convegno Fabrizio Leonardi, direttore dell’Osservatorio delle Misure Alternative - le esecuzioni esterne si sono decuplicate (moltiplicate per dieci) mentre la detenzione in carcere (indulto escluso) si è triplicata. Dopo le leggi Gozzini e Simeone, insomma, si è sempre più fatto ricorso alle misure alternative e anche il dato confortante sulle revoche dimostra l’efficacia del nuovo sistema. In media le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Un altro indicatore molto importante è quello sulle recidive (ovvero le condanne di detenuti o ex detenuti per nuovi reati). Ebbene da un’analisi dei dati storici dal 1998 al 2005 si evince appunto il dato del rapporto 2/10 della recidiva tra le persone in misure alternative al carcere. Tra tutti coloro che in quel lasso di tempo sono stati assegnati a misure alternative al carcere 1.677 hanno commesso nuovi reati (pari al 19% del totale), mentre i non recidivi sono stati la maggioranza: 7.140 persone. Tra i detenuti nei carceri tradizionali il tasso di recidiva (al momento dell’uscita dal carcere) è molto più alto. Siamo infatti intorno al 67%, con un rapporto tra chi commette altri reati e il totale di 7 a 10.
Secondo Fabrizio Leonardi si possono avanzare varie interpretazioni del fenomeno e comunque ci sono concause. Una delle spiegazioni più semplici riguarda il tipo di persone che vengono selezionate per le misure alternative. La selezione è già un passo perché si basa sull’affidabilità, quasi dunque una scrematura che abbassa (almeno virtualmente) le possibilità che poi le stesse persone, gli stessi ex detenuti commettano nuovi reati. In ogni caso, durante il convegno di oggi della Lumsa, si è capita l’importanza della ricerca sociologica e della ricerca applicata a questi fenomeni e si è capita soprattutto l’importanza - anzi forse la centralità - della comunicazione. Lo ha voluto sottolineare il professor Luigi Frudà, esperto di ricerche nel campo penitenziario e da anni collaboratore del Dap e del ministero.
Conoscere per che cosa? Si è chiesto retoricamente Frudà durante il convegno sulle alternative al carcere. Conoscere soprattutto per "restituire", si è risposto. E i dati eclatanti sul basso tasso di recidiva stanno a dimostrare che serve un grande lavoro di comunicazione/informazione nei confronti dell’opinione pubblica. Dal continuo allarmismo sociale rilanciato dai media emerge infatti un’immagine del carcere come l’istituzione comunque più sicura e funzionale nel controllo del crimine, mentre le misure alternative vengono viste con paura. E invece i dati di tutte le ricerche svolte sul tema dimostrano l’esatto contrario. "Queste cose vanno dette e ridette - ha spiegato Frudà - si devono organizzare grandi campagne che possano ben indirizzare un’opinione pubblica distratta o mal indirizzata". È l’antico, difficilissimo tema, delle "good news". "Fa più rumore un albero che cade - ha detto il professor Frudà - che una foresta che cresce". Tutto bene dunque? No, c’è ancora molto da fare per migliorare il sistema degli Uepe, gli uffici per l’esecuzione penale esterna. Dal convegno sono arrivati i primi spunti critici di una riflessione che dovrebbe portare a nuovi interventi per il futuro.
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