SEAC
COORDINAMENTO ENTI E ASSOCIAZIONI
DI VOLONTARIATO PENITENZIARIO – SEAC
tel. 338.9489515 e-mail volontariatoseac@tiscalinet.it
via Aurelia, 773- Roma
Al Ministro della Giustizia
Sen. Clemente MastellaAl Sottosegretario di Statoper la GiustiziaDott. Luigi ManconiVia Arenula n.70 – 00186 R O M AAl Capo del D.A.P.Dott. Ettore Ferrara Largo Luigi Daga n.2 00164 R O M AAl Vice Capo del D.A.P.Dott. Emilio Di SommaAl Vice Capo del D.A.P.Dott. Armando D’Alterio
Al Direttore EPE
Dott. Riccardo Turrini VitaAl Direttore della Direzione GeneraleDel Personale e della FormazioneDott. Massimo De Pascalis
Al Coordinamento Nazionale
Assistenti Sociali Giustizia
Dott.ssa Anna Muschitiello 22.04.07
Il SEAC (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) desidera ribadire le proprie perplessità in merito alla sperimentazione relativa all’inserimento della Polizia Penitenziaria negli UEPE.
Già dal nostro 38° Convegno nazionale sui 30 anni della riforma penitenziaria era uscita una posizione critica verso la Legge 154/2005 (Legge Meduri) che ha modificato la denominazione dei "Centri di Servizio Sociale per Adulti" in "Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna". Chiaramente il cambio della definizione non ci era sembrata una mera riformulazione lessicale, ma un disegno più vasto di ristrutturazione di questi uffici che, in questo arco di tempo dalla riforma, hanno dato prova di saper lavorare con capacità e competenza nelle difficili situazioni relative all’esecuzione esterna della pena, considerate anche le storiche scarse risorse previste per le misure alternative.
L’integrazione con il territorio, l’individualizzazione del progetto riabilitativo, la messa in rete delle risorse, la centralità posta sulla restituzione della responsabilità ai soggetti in merito al proprio percorso risocializzante attraverso la costante relazione con gli operatori sono da sempre elementi costitutivi di questi servizi che hanno contribuito in modo sostanziale a far si che l’esecuzione penale esterna determini meno recidive rispetto le carcerazioni . Sono di recente pubblicazione ben sei ricerche del Ministero della Giustizia e del DAP che smentiscono che il carcere sia la soluzione migliore: la recidiva di chi è stato detenuto avviene sette volte su dieci. Ben diverse sono invece le percentuali (2 su 10) di persone che hanno usufruito delle misure alternative. Non sarà forse perché un detenuto in esecuzione penale esterna può godere di quei diritti fondamentali ( la salute, gli affetti, la possibilità di lavorare, di essere ascoltato quando ne ha bisogno) che in carcere sono invece così impraticabili?
Queste ricerche dicono che le misure alternative sono in netta crescita e che la loro qualità è in grande miglioramento. Le revoche dei provvedimenti di esecuzione esterna incidono solo per il 5%. Quindi,una strategia vincente. Sicuramente migliorabile, come tutto.
Noi riteniamo però che la presenza della Polizia Penitenziaria negli UEPE non costituisca un valore aggiunto alla riabilitazione, e introduca invece elementi di criticità in una idea di servizio nato come "sociale" e che trae la sua efficacia dall’essere e rimanere tale. L’elevata spesa di questa operazione potrebbe essere diversamente destinata in risorse che potenzino i fattori necessari per il recupero; senza questi fattori, le dichiarazioni riferite alla sicurezza come controllo sociale rischiano di risultare mera demagogia. Sappiamo che vere politiche per la sicurezza possono trovare fondamento solo su vere risposte sociali.
Le risorse andrebbero inoltre impiegate per rafforzare gli UEPE dotandoli degli organici necessari a garantire il miglioramento di efficienza di un servizio che ha accumulato negli anni esperienze consolidate di buone prassi di lavoro.
Una coraggiosa inversione di rotta, che distribuisca le risorse in questa ottica, non può che costituire un investimento per il futuro in termini di vere risposte alla popolazione soggetta a misure penali.
Il potenziamento dell’area della detenzione sociale, aumentato negli ultimi anni e che comprende in buona parte tossicodipendenti, immigrati, persone con problemi psichici o in stato di abbandono sociale richiede risposte di sostegno, affinché queste situazioni critiche non trovino il carcere come unico medicamento ma risposte adeguate nei servizi territoriali (con particolare riferimento alle detenzioni e alle dismissioni negli OPG). Le drammatiche cifre del sovraffollamento, deflazionate con l’approvazione dell’indulto, vanno prevenute nella loro recidiva: in assenza di politiche di riforma penale, è solo questione di tempo (non molto) affinché si ritorni all’invivibile ed illegale situazione precedente.
E’ quindi il momento di privilegiare la strada delle misure alternative alla detenzione. I dibattiti sui concetti di zero tolerance, sulla sicurezza e sul sovraffollamento delle carceri, oltre a ventilare soluzioni impossibili o realizzabili in tempi lunghissimi (come nel caso di nuovi istituti) stravolgono la questione portandola su un piano ideologico e demagogico; esistono già delle soluzioni migliori e i dato lo confermano; si tratta solo di praticarle.
Il passaggio dalla mera assistenza al riconoscimento dei diritti del soggetto è un presupposto ormai metabolizzato ed elaborato dal Volontariato penitenziario, la cui azione si ispira, oltre ad una visione globale della persona del condannato, ad una cultura di cittadinanza attiva senza la quale non si rendono possibili veri cambiamenti istituzionali. Le nostre motivazioni all’impegno trovano sostanza nell’agire quotidiano, nell’incontro con le persone ristrette, nell’auspicio di una esecuzione penale efficace, nella fiducia che i processi di trasformazione annunciati (la decarcerizzazione della madri con figli, la riforma del Codice Penale, il superamento degli OPG, il passaggio alla sanità pubblica ) non siano frenati da azioni involutive sul piano delle politiche penali, ma diventino pietre miliari indicatrici di strade di legalità e di giustizia.
Elisabetta Laganà, presidente SEAC
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