L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

domenica 1 luglio 2007

ASSEMBLEA NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI GIUSTIZIA 21 giugno 2007

Questo documento, elaborato da alcuni assistenti sociali dell’UEPE di Venezia, si avvale della ricchezza di contributi emersa in questi mesi dagli UEPE di tutta Italia, dall’esperienza e dalla lucidità di analisi e di proposta del CASG, dell’Ordine Nazionale degli Ass. Soc., dai tecnici del settore, in primis, il Presidente Margara, i quali , a vario titolo, hanno voluto ragionare, contestando nella forma e nella sostanza, un provvedimento ritenuto costoso ed inutile.
Prima di avviare la discussione vorremmo richiamare l’attenzione dei presenti su come si è giunti a quest’assemblea .
Precedentemente al provvedimento di indulto tanti soggetti del panorama politico-istituzionale, rilevando che il sistema dell’esecuzione penale era giunto ad una situazione di crisi, avevano espresso l’esigenza di apportare dei correttivi al suo funzionamento, offrendo a tale proposito delle indicazioni.
E’ del 2005 la promulgazione della legge Meduri che, trasformando la denominazione da CSSA a UEPE, ha sancito, sopra le teste degli operatori, un cambiamento di rotta radicale nelle scelte politico –istituzionali nel nostro settore.
L’accelerata concreta è avvenuta a novembre dello scorso anno quando il Ministro della Giustizia in occasione delle celebrazioni per la Festa del Corpo della Polizia Penitenziaria ha dichiarato come, non si intendesse soltanto creare le condizioni per un ripensamento del sistema delle misure alternative, ma si era già individuato un percorso che avrebbe restituito, a suo giudizio, “credibilità ed efficacia alle misure stesse”. La credibilità e l’efficacia dovrebbe restituirla l’istituzione di nuclei di verifica della polizia penitenziaria previsti con decreto ministeriale in via sperimentale in alcuni Uepe.
Di fronte a ciò noi operatori abbiamo ritenuto necessario far sentire la nostra voce e far pesare la nostra esperienza ormai trentennale nel settore. Unitamente a tante altre iniziative è stata lanciato e sottoscritto da sedici UEPE un appello alle Organizzazioni Sindacali affinché si rendesse possibile un momento di confronto generale fra gli assistenti sociali, momento che a nostro avviso doveva essere il più ampio e condiviso possibile. E’ per questo che abbiamo richiesto un’assemblea nazionale .
Purtroppo al nostro appello ha risposto concretamente un’unica organizzazione sindacale, Rdb, che ci consente oggi di essere qui, meno numerosi di quanto speravamo, proprio perché non accompagnati dai permessi sindacali di altre organizzazioni.
Soltanto la sensibilità alla questione di qualche responsabile territoriale del sindacato ha permesso la partecipazione di colleghi iscritti a altre sigle sindacali. Per il resto la presenza è garantita dallo sforzo personale, anche economico, del singolo assistente sociale.
Ringraziamo pertanto Rdb che ci consente di rappresentare le nostre idee e le nostre preoccupazioni per il futuro delle misure alternative alla carcerazione in questa sede.
Siamo grati anche per la scelta organizzativa che ci vede presenti alla Camera dei Deputati, luogo per eccellenza di dibattito e indirizzo politico del nostro paese, dove ci auguriamo di incontrare degli ascoltatori attenti.
Partiamo da una costatazione di fatto: l’area dell’esecuzione penale esterna è stata e continua ad essere la cenerentola del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Per più di 30 anni i C.S.S.A. ora denominati U.E.P.E. hanno gestito, con scarso personale e scarsissime risorse finanziarie a disposizione, migliaia di misure alternative. Basti pensare che ancora oggi agli U.E.P.E. si continua ad assegnare una quota molto modesta dell’intero bilancio dell’ Amministrazione Penitenziaria pari a circa il 2% del totale .
Dal ‘75 ad oggi è cresciuto in maniera esponenziale il numero di soggetti ammessi alla fruizione di misure alternative, da poche centinaia dei primi anni della riforma penitenziaria, alle quasi 50.000 misure alternative registrate a livello nazionale nel 2005, un bacino di utenza di poco inferiore a quello gestito all’interno degli isitituti detentivi.
Che l’intervento degli U.E.P.E. abbia avuto esito positivo nonostante le condizioni operative non lo diciamo solo noi, ma lo testimoniano anche dati statistici.
L’efficacia della gestione delle misure alternative fatta dai nostri Uffici si desume anche dai dati relativi alla recidiva, forniti da alcune ricerche svolte dallo stesso Dipartimento.
Vi si legge che a livello nazionale nel 2004 dei 32.000 fruitori della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale i casi revocati per andamento negativo si sono attestati al 3,85 % e le revoche per commissioni di nuovi reati durante la misura allo 0,17.
Sempre nel 2005, su 31958 affidati solo lo 0,16 ha commesso reati nel corso delle misure alternative e il 4,34 ha avuto un andamento negativo nel corso della misura stessa.
Le conclusioni della ricerca evidenziano anche come dal 1998 al 2005 solo nel 19% dei casi vi era stata recidiva tra i fruitori di misura alternativa,dato che subisce un’impennata clamorosa ,68,45% tra gli scarcerati direttamente dal carcere.
Questa gestione è stata resa possibile dall’utilizzo di una metodologia di lavoro del servizio sociale, basata sulla relazione di aiuto con l’utente e sul lavoro di rete dove la sicurezza, termine ormai abusato, è garantita sul territorio , non da ulteriori forme di controllo e repressione, ma da una molteplicità di risorse umane e sociali che insieme concorrono al recupero e al potenziamento di processi di inclusione sociale e nel contempo di affermazione della cultura della legalità.
Nonostante questi dati indicativi del successo in termini di tasso di recidiva per le misure alternative, il Ministro ritiene di dover potenziare le funzioni di controllo verso tali misure istituendo i nuclei di verifica della Polizia Penitenziaria, quasi che chi sconta una condanna all’esterno del carcere non subisca nessuna forma di controllo preventiva e nel corso dell’espiazione.
In realtà il controllo preventivo viene esercitato dal Tribunale di Sorveglianza che, in collaborazione con le Forze dell’Ordine e con l’ Uepe verifica che il soggetto abbia i requisiti di accesso alla misura alternativa. Requisito principale è l’assenza di pericolosità sociale e la sussistenza di una tutta una serie di condizioni, lavorative, abitative, familiari che consentano una corretta fruizione della misura stessa. Successivamente il controllo sull’esecuzione viene effettuato dal Magistrato di Sorveglianza, dalle Forze dell’Ordine locali e dagli assistenti sociali.
Il legislatore nel 75 ha individuato nel servizio sociale il soggetto a cui affidare il mandato professionale e istituzionale di aiuto/controllo di cui all’art 47 della l.354/75 e siamo ancora fortemente convinti , supportati dai risultati conseguiti negli anni e dalla cultura della cogestione che abbiamo visto radicarsi nel territorio che tale ratio debba essere tuttora il punto di riferimento cui orientarsi.
In occasione di un convegno tenutosi a Venezia il 16.6. u.s. proprio sul tema delle misure alternative, l’on Corleone sottolineava ironicamente come i dati della bassa recidiva e dell’efficacia delle misure alternative interessi probabilmente poco all’opinione pubblica che necessita, nel suo immaginario, delle “mura del carcere” ma interessi, ahinoi, poco anche all’Amministrazione Penitenziaria, a cui preme dare visibilità alla componente custodialistica e di sicurezza.
Conferma di questo bisogno è stata data del resto in maniera chiara dal Direttore dell’Esecuzione Penale Esterna nella sua ultima comunicazione dell’11.6., laddove asserisce che ”analizzando gli effetti generali delle misure alternative, possiamo notare come il ricorso alle pene alternative non detentive sia positivo, ma nello stesso tempo debba assicurare la fiducia della popolazione della propria sicurezza”.
Ci chiediamo quale disegno organizzativo stia seguendo la Direzione Generale Esecuz. Pen. Est. dal momento che prospetta la sperimentazione dei nuclei di Polizia Penitenziaria come funzionale ai prossimi cambiamenti legislativi quali il disegno di legge Mastella relativo alla “messa alla prova” nel Processo Penale degli Adulti e la riforma del Codice Penale che si attende dalla Commissione Pisapia.
Ci sembra che, come al solito, si preferisca prestare attenzione all’aspetto custodialistico misconoscendo risultati e successi fin qui raggiunti dal servizio sociale.
D’altra parte l’esperienza, le analisi, i risultati degli operatori sono da anni misconosciuti da parte di una Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna, nella quale non sono più presenti tecnici di servizio sociale se non in posizione subalterna, e che ha sfornato provvedimenti che vanno dai Pea alle circolari più recenti , avulsi dalla metodologia di intervento del servizio sociale e assolutamente disancorati dalla realtà operativa.
Una Direzione che, dopo aver ignorato una corretta dialettica nelle relazioni sindacali, ora, premurosamente, quasi come si fa con i bambini prima di una bella punturina, sente la necessità di rassicurarci con la circolare dell’11 Giungo u.s. sostenendo che la sperimentazione dei nuclei di verifica della Polizia Penitenziaria negli U.E.P.E. “prevede l’affiancamento e non la sostituzione degli agenti alle attività degli assistenti sociali”.
In realtà in questi anni, nonostante il considerevole carico di lavoro, gli U.E.P.E. hanno saputo fronteggiare cambiamenti radicali nella tipologia di utenza, adeguarsi alle nuove esigenze del rapporto col territorio anche mediante la partecipazione ai piani di zona (istituiti con la L. 328/2000) in un’ottica di analisi dei bisogni e di programmazione degli interventi di inclusione sociale. In alcune realtà hanno inoltre concretizzato l’adempimento previsto dal comma 7 dell’art 47 dell’ordinamento ove si indica che “l’affidato dovrà adoperarsi in favore della vittima del reato o in sua assenza in favore della collettività”, inaugurando una stagione di iniziative ascrivibili alla giustizia riparativa.
Tutto ciò appare poca o nulla cosa ai nostri dirigenti e ai nostri vertici politici.
Questa Direzione Generale , da cui ci sentiamo presi in giro, ha fatto il suo tempo e ci auguriamo che, sebbene il nuovo governo non abbia provveduto a rimuoverla, i grossolani errori gestionali e di prospettiva che sta commettendo rendano evidente la necessità della sua sostituzione.
Ci rendiamo conto che le divise sono rassicuranti e vanno di moda a partire dalle fiction televisive, che le politiche sociali sono sempre sempre più orientate verso la repressione basti pensare alle leggi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e Cirielli, ma, ci dispiace per il Ministro Mastella, il nostro mandato istituzionale non deriva dalla sete di giustizialismo di un’opinione pubblica stordita dai mass media, e nemmeno dalla necessità di dare visibilità esterna alla Polizia Penitenziaria, ma dall’ordinamento penitenziario.
Noi crediamo che un provvedimento come un decreto ministeriale, che ora pare stia diventando interministeriale non possa stravolgere il dettato normativo che attribuisce al servizio sociale la titolarità della misura dell’affidamento e alle forze dell’ordine il controllo sulla detenzione domiciliare.
Non comprendiamo come sia possibile avvallare non solo sul piano normativo, ma anche finanziario, un’ operazione che si profila inefficace e, che non è credibile, si possa realizzare a costo zero.
Chiediamo perciò agli Onorevoli presenti in aula di considerare le nostre ragioni e di farle conoscere nelle sedi opportune per orientare diversamente le scelte politiche in materia di esecuzione penale esterna.
I dati sulla funzionalità delle misure alternative, a quanto pare, pur essendo ufficiali e pubblicati dal DAP, abbiamo capito poco interessano; si sa , quando si è figli di un dio minore, portatori di una cultura altra da quella della forza e del contenimento, non si può pretendere granchè nè dalla classe politica, né dalle dirigenze atterrite dagli umori forcaioli e preoccupate dalla ricerca di consenso presso alcune categorie forti. Tuttavia siamo qui a chiederci come sia possibile che si provveda all’assunzione di 500 poliziotti penitenziari sostenedone i relativi costi, perché gli istituti sono in cronica carenza di personale e, anziché impiegarli nei loro compiti istituzionali, si pensi di andarli a sommare alle altre forze dell’ordine operanti sul territorio.
E’ sensato che l’Amministrazione penitenziaria trovi i soldi per istituire dei nuclei di verifica con uomini e mezzi e vergognosamente agli assistenti sociali dal 2005 venga stata tolta l’indennità di missione di ben o,86 centesimia all’ora ?
Noi dall’interno dei nostri uffici dobbiamo lesinare le fotocopie e qui vi sono le risorse finanziarie per distogliere uomini dagli istituti e organizzare turni anche notturni di controllo con tutto ciò che ne consegue ?
Perché l’Amministrazione Penitenziaria invece di pensare ad esportare il modello custodialistico nel territorio non decide di investire nel far funzionare la le sedi di servizio costate centinaia di migliaia di euro nella loro attivazione e che ora in molte parti d’Italia sono in sofferenza per l’assenza di personale amministrativo ?
Per non parlare degli aspetti metodologici di integrazione tra professionalità diverse per mission, modalità operativo e, da ultimo ma non per ultimo, come faceva notare l’Uepe di Modena in un suo recente documento, per inquadramento contrattuale.
Da molte parti la nostra battaglia per fermare la sperimentazione dei nuclei di verifica viene strumentalmente considerata come contrapposizione fra categorie di lavoratori.
Noi vogliamo qui sottolineare che gli assistenti sociali non dicono no al decreto ministeriale che prevede la presenza della polizia penitenziaria negli Uepe perché temono la perdita di visibilità o peggio di “potere”, ma perché crediamo di fondamentale importanza, soprattutto in un momento in cui ci si appresta a riformare il codice penale e ad introdurre nuove forme di esecuzione penale, che ogni correttivo dell’attuale modello di gestione delle misure alternative possa venire soltanto da un’analisi puntuale e scientifica dell’esperienza che individui i reali punti critici sui quali intervenire con l’investimento di risorse e cambiamenti organizzativi.
Il disegno di riforma operato sopra le nostre teste sottende una mancanza di conoscenza reale del nostro operare. Per noi l’autonomia nell’ aiuto e controllo sono due aspetti imprescindibili fondanti la relazione con l’utente condannato, dove il controllo presenta delle caratteristiche di specificità in quanto si basa sulla responsabilità di ciascuno dei soggetti nella relazione e , come viene sancito nell’art 118 del Regolamento di Esecuzione, sulla fiducia.
Il nostro modello operativo non si basa su controlli di carattere formale e custodialistico , ma di controllo sul processo di aiuto.
In questi mesi grande è stata la mobilitazione non solo degli Uepe di tutta Italia, ma ringraziamo i colleghi di altri Servizi, l’Assemblea Nazionale del Volontariato, il Terzo Settore, gli Ordini professionali Regionali e Nazionale, che hanno sottolineato l’inefficacia e la miopia di tale operazione che viene definita sperimentale, ma che, come molte cose nel nostro paese, rischia di diventare sperimentale a vita.
Razionalizzare e rendere più efficiente il sistema di controllo sulle misure alternative, soprattutto in previsione dell’introduzione di altri istituti giuridici come la messa alla prova o della riforma del codice penale, non può tradursi unicamente nell’aggiungere una nuova forza in campo, esige invece un’analisi più approfondita sulla realtà della “probation”, che, anche a nostro giudizio, potrebbe trovare spazio nella “conferenza nazionale dell’esecuzione penale” proposta dall’On. Manconi.
Ai colleghi qui presenti ed a quelli rimasti negli Uffici, chiediamo di non sedersi sul risultato temporaneamente raggiunto di apparente blocco della sperimentazione, ma di alimentare, dentro e fuori il Servizio, il dibattito su questo tema, coinvolgendo le forze istituzionali , politiche, sociali, sindacali, dei loro territori.
Alla Magistratura di Sorveglianza, con la quale collaboriamo da sempre nell’adempimento del dettato legislativo, chiediamo attenzione, riconoscimento e fattivo sostegno.
Alle Organizzazioni Sindacali, in particolare a quelle che si sono dimostrate vicine alle nostre posizioni, chiediamo di lavorare sinergicamente, e, soprattutto, di non considerare solamente la pesantezza numerica delle tessere di questa o dell’altra categoria, ma di valutare le battaglie da intraprendere sulla base di principi etico-morali che potranno risultare anche impopolari ma che devono orientare a nostro parere sempre e comunque l’azione sindacale.
E nel ringraziare gli Onorevoli Crapolicchio e Farina che il 17 maggio u.s. hanno presentato un’interrogazione parlamentare contro la proposta di decreto ci rivolgiamo infine agli Onorevoli Deputati qui presenti.
Se Voi continuate a condividere il dettato costituzionale dell’art. 27, secondo cui la pena ha una finalità rieducativa, se ,come noi quotidianamente con il nostro lavoro, operate affermando la logica dell’inclusione sociale e non quella dell’espulsione, materiale o figurata che sia, nonché per la ricostituzione di un patto sociale contravvenuto con la commisione di un reato, siate nostri portavoce nelle sedi di Vostra competenza, rappresentando non gli interessi di una categoria professionale, bensì testimoniando l’efficacia di un sistema che ha restituito ,con costi davvero contenuti, diecine di migliaia di persone a se stesse e alla società

U.E.P.E. Venezia: Assistenti Sociali
Benazzato Margherita
Bernacchia Ines
Mastrosimone Paola
Menetto Patrizia
Vincenzi Michela
Zattini Antonietta