UGL MINISTERI - COORDINAMENTO NAZIONALE GIUSTIZIA
Al Dr. Riccardo Vita Turrini
Direttore Generale
Ufficio Esecuzione Penale Esterna
Dipartimento ’Amministrazione Penitenziaria
A tutte le Direzioni
degli U.E.P.E.
Al Presidente
Ordine Assistenti Sociali
Via I. Nievo n. 61 Sc. D Int. 15
00153 ROMA
Alla D.ssa Anna Muschitiello
Segretario Nazionale
Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia
e, p.c. Al Pres. Ettore Ferrara
Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Oggetto: inserimento nuclei di valutazione della Polizia Penitenziaria negli UEPE.
Il dibattito in corso, relativo all’inserimento sperimentale di “nuclei di valutazione” della Polizia Penitenziaria presso gli UEPE, c’induce a fare alcune considerazioni sul lavoro svolto in più di trenta anni dagli assistenti sociali dei Centri di Servizio Sociale per Adulti, ora Uffici di Esecuzione Penale Esterna.
Gli assistenti sociali degli UEPE, sin dalla promulgazione della l. 354/75, hanno sempre garantito il funzionamento del servizio, anche a rischio della propria incolumità personale quasi sempre in solitudine.
Si sono attivati per garantire secondo il proprio mandato professionale ed istituzionale, un processo di aiuto alla persona condannata, attraverso la realizzazione di programmi trattamentali e dare al tempo stesso sicurezza alla società con la prevenzione dalle recidive, così come disposto dal dettame normativo, assumendone in prima persona, soprattutto in relazione all’affidamento in prova al servizio sociale, tutte le responsabilità dell’ aiuto e del controllo.
Si pensi soltanto alle relazioni inviate alla magistratura di sorveglianza, per segnalare le violazioni delle prescrizioni da parte degli affidati in prova al servizio sociale, a quelle inviate al carcere per i semiliberi e per gli ammessi al lavoro all’esterno.
Si pensi poi alla puntualità con cui hanno cercato di soddisfare le scadenze imposte dalla magistratura stessa, per rispettare il diritto del condannato ad avere un’udienza senza rinvii e senza ulteriori costi legali e, se detenuti, senza ulteriori costi per le traduzioni e quindi per lo Stato.
Si pensi che tutte le attività per la concessione, la modifica, l’esecuzione per l’applicazione, delle misure alternative alla detenzione, delle misure di sicurezza detentive e non, hanno comportato viaggi con mezzi pubblici, auto di servizio, ed in mancanza, anche con mezzi propri, in zone disagiate, ben distanti dalla sede di servizio, presso le abitazioni dei condannati, i loro luoghi di lavoro, i loro luoghi di vita e quelli dei loro familiari e datori di lavoro, senza, a garanzia della loro sicurezza, disporre di cellulari di servizio, né essere accompagnati.
A fronte del disagio e delle difficoltà, hanno percepito un’indennità di missione che non sempre riusciva a coprire le spese sostenute, e più recentemente nel 2006 l’indennità é stata loro tolta completamente.
Il Servizio Sociale, considerato come l’altro “occhio lungo” della Magistratura, ha sempre fornito alla Magistratura di Sorveglianza elementi tali da consentire una valutazione articolata del condannato e del suo ambiente, con una chiave di lettura professionale per le decisioni dell’Autorità Giudiziaria.
Gli Assistenti Sociali della Giustizia operanti con i condannati adulti, dal 1975 in poi, hanno sempre rappresentato per l’Amministrazione Penitenziaria, la punta di diamante per la costruzione del lavoro di rete effettuato con gli Enti Locali e le Conferenze dei Sindaci, con le Forze di Polizia operanti sul territorio, da sempre vissute e considerate come “risorsa” con cui interagire, nonché con il Terzo Settore e col Volontariato, in una sinergia a 360 gradi nell’interesse congiunto della collettività e del cittadino condannato.
La dimensione di “aiuto e controllo” in mano al Servizio Sociale ha creato in questi 32 anni di esecuzione penale extradetentiva, una “pacificazione sociale” ed un’interpretazione della condanna che ha contribuito a attuare quei presupposti per variabili alternative alla detenzione, che costituiscono le più evolute risposte dell’esecuzione penale attuale, differenziate a seconda della tipologia del reato e della personalità del reo, quali la detenzione domiciliare, la libertà controllata, la semidetenzione e modalità educative quali la restituzione sociale, il risarcimento del danno, la coscientizzazione del reo riguardo alla vittima, riguardo al fatto e riguardo alla collettività.
Al tempo stesso, gli assistenti sociali della Giustizia, hanno lavorato e lavorano per il reinserimento sociale del condannato, per portarlo ad un rapporto di fiducia con l’Autorità, agendo con tutte le tipologie di persone, sia cittadini italiani che comunitari ed extracomunitari, dagli ammalati di mente, ai tossicodipendenti ed alcooldipendenti, così come autori di reati comuni e di criminalità organizzata. Nessuna tipologia esclusa.
Questo lavoro, prevalentemente agito sul territorio, ma anche in carcere, é un lavoro fortemente usurante, come documentato in letteratura, sia per il coinvolgimento professionale con i drammi delle persone e dei loro congiunti, sia per l’attività in strutture totali ed in ambienti di vita fortemente degradati, sia per i rischi connessi all’esercizio di tale attività, che mai é stato riconosciuto come tale dall’Amministrazione Penitenziaria, neppure a coloro che hanno subito minacce serie dalla malavita organizzata e per cui sono state attivate le consuete forme di protezione da parte della Polizia di Stato e delle Prefetture.
Oggi stiamo avvertendo un processo che di fatto si presenta come espulsivo da parte dell’amministrazione Penitenziaria.
I 1.200 Assistenti Sociali sono stati occultati dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per 32 anni, pur avendo avuto una produttività sconosciuta generalmente nella Pubblica Amministrazione, sia in quanto a qualità che a quantità, e perciò percepiti solo in modo distorto dai giornalisti e dall’opinione pubblica, considerati a torto, a seconda dei casi, buonisti, o incompetenti per gestire la materia.
Assistenti Sociali della Giustizia, Polizia di Stato e Carabinieri, si occuperanno come sempre dei condannati in esecuzione penale extradetentiva, ovunque si trovano, su qualsiasi terreno e con tutti i climi, con scarsi mezzi, poco carburante, poche autovetture, e gli assistenti sociali anche senza indennità di missione, senza l’abbuono di un anno ogni cinque per lavoro usurante, senza tutte quelle indennità di presenza e benefit di altra natura che sono previsti nel contratto delle Forze di Polizia.
Gli Assistenti Sociali della Giustizia continueranno a fare inclusione sociale, senza essere visti né dall’opinione pubblica, né dai giornalisti attenti solo quando c’é da criticare senza la necessaria conoscenza, subendo la “nuova ideologia” di chi ha un concetto di esecuzione penale “carceraria” e vuole portare questo modello sul territorio.
In questo clima di disconoscimento professionale, dell’immagine e dei risultati, poiché le parole rassicuranti della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna non hanno significato, a fronte di decreti interministeriali di altro segno, gli assistenti sociali della Giustizia, chiedono:
· formale riconoscimento del lavoro usurante, con i relativi benefici, così come previsto per il personale destinatario della l. 395/90 e di quello della l. 145/05 (ne beneficiano i poliziotti penitenziari ed i dirigenti penitenziari, ma non gli assistenti sociali);
· ripristino del trattamento di missione, abolito con la finanziaria del 2006 solo per il personale del comparto Ministeri, ma conservato dal personale di Polizia Penitenziaria;
· riconoscimento della loro specificità professionale nella conduzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, misura alternativa alla detenzione in cui aiuto e controllo della condotta, attuato in chiave psico-socio-educativa, non possono essere scissi, pena lo snaturamento della misura stessa;
· giusta visibilità all’opinione pubblica del proprio operare, sia in termini qualitativi che quantitativi, sia come espressione professionale (gli U.E.P.E. sono gli unici Uffici dell’Amministrazione Penitenziaria che lavorano con standard di produzione, e che hanno realizzato la “Carta dei Servizi”. Che lavorano per progetti finanziati da altri Enti, o direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria attraverso la Cassa delle Ammende, o da progetti Europei; che lavorano con piani trattamentali individualizzati, con lavoro di rete; che attuano un approccio interdisciplinare coinvolgendo sia nella fase di analisi e progettazione del trattamento del condannato che potenzialmente fruirà della misura alternativa alla detenzione, sia durante l’attuazione di essa, attraverso il coinvolgimento di operatori di altre professionalità quali esperti in psicologia che operano come consulenti presso gli l’U.E.P.E., sia con collaborazioni con i professionisti socio-sanitari ed educativi degli Enti Pubblici Territoriali, del Terzo Settore del Volontariato, sia con gli operatori del Carcere.
· assunzione di personale amministrativo per gli U.E.P.E.
· formazione ed aggiornamento amministrativo e di gestione del personale, per i Capi Area degli U.E.P.E., estendendo quella formazione ed aggiornamento oggi prevalentemente rivolto alle figure amministrative di fascia “B” ed agli appartenenti alla polizia penitenziaria operanti negli uffici.
· Formazione ed aggiornamento professionale per gli assistenti sociali in sinergia con l’Ordine Professionale.
Gli assistenti sociali, tutto personale laureato, che non ha ottenuto il contratto di “professionisti dipendenti” perché é stato considerato troppo numeroso, ma che é così poco numeroso da non avere un potere contrattuale da essere riconosciuto per il lavoro usurante, né per beneficiare di quei contratti di cui godono le altre figure dell’Amministrazione Penitenziaria dai Dirigenti ai Poliziotti, né essere considerati dalla propria Amministrazione, non tollerano più il disconoscimento perpetrato nei loro confronti e la strumentalizzazione che di loro viene fatta, a fronte di un impegno che non é mai venuto meno.
Direttore Generale
Ufficio Esecuzione Penale Esterna
Dipartimento ’Amministrazione Penitenziaria
A tutte le Direzioni
degli U.E.P.E.
Al Presidente
Ordine Assistenti Sociali
Via I. Nievo n. 61 Sc. D Int. 15
00153 ROMA
Alla D.ssa Anna Muschitiello
Segretario Nazionale
Coordinamento Assistenti Sociali Giustizia
e, p.c. Al Pres. Ettore Ferrara
Capo del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria
Oggetto: inserimento nuclei di valutazione della Polizia Penitenziaria negli UEPE.
Il dibattito in corso, relativo all’inserimento sperimentale di “nuclei di valutazione” della Polizia Penitenziaria presso gli UEPE, c’induce a fare alcune considerazioni sul lavoro svolto in più di trenta anni dagli assistenti sociali dei Centri di Servizio Sociale per Adulti, ora Uffici di Esecuzione Penale Esterna.
Gli assistenti sociali degli UEPE, sin dalla promulgazione della l. 354/75, hanno sempre garantito il funzionamento del servizio, anche a rischio della propria incolumità personale quasi sempre in solitudine.
Si sono attivati per garantire secondo il proprio mandato professionale ed istituzionale, un processo di aiuto alla persona condannata, attraverso la realizzazione di programmi trattamentali e dare al tempo stesso sicurezza alla società con la prevenzione dalle recidive, così come disposto dal dettame normativo, assumendone in prima persona, soprattutto in relazione all’affidamento in prova al servizio sociale, tutte le responsabilità dell’ aiuto e del controllo.
Si pensi soltanto alle relazioni inviate alla magistratura di sorveglianza, per segnalare le violazioni delle prescrizioni da parte degli affidati in prova al servizio sociale, a quelle inviate al carcere per i semiliberi e per gli ammessi al lavoro all’esterno.
Si pensi poi alla puntualità con cui hanno cercato di soddisfare le scadenze imposte dalla magistratura stessa, per rispettare il diritto del condannato ad avere un’udienza senza rinvii e senza ulteriori costi legali e, se detenuti, senza ulteriori costi per le traduzioni e quindi per lo Stato.
Si pensi che tutte le attività per la concessione, la modifica, l’esecuzione per l’applicazione, delle misure alternative alla detenzione, delle misure di sicurezza detentive e non, hanno comportato viaggi con mezzi pubblici, auto di servizio, ed in mancanza, anche con mezzi propri, in zone disagiate, ben distanti dalla sede di servizio, presso le abitazioni dei condannati, i loro luoghi di lavoro, i loro luoghi di vita e quelli dei loro familiari e datori di lavoro, senza, a garanzia della loro sicurezza, disporre di cellulari di servizio, né essere accompagnati.
A fronte del disagio e delle difficoltà, hanno percepito un’indennità di missione che non sempre riusciva a coprire le spese sostenute, e più recentemente nel 2006 l’indennità é stata loro tolta completamente.
Il Servizio Sociale, considerato come l’altro “occhio lungo” della Magistratura, ha sempre fornito alla Magistratura di Sorveglianza elementi tali da consentire una valutazione articolata del condannato e del suo ambiente, con una chiave di lettura professionale per le decisioni dell’Autorità Giudiziaria.
Gli Assistenti Sociali della Giustizia operanti con i condannati adulti, dal 1975 in poi, hanno sempre rappresentato per l’Amministrazione Penitenziaria, la punta di diamante per la costruzione del lavoro di rete effettuato con gli Enti Locali e le Conferenze dei Sindaci, con le Forze di Polizia operanti sul territorio, da sempre vissute e considerate come “risorsa” con cui interagire, nonché con il Terzo Settore e col Volontariato, in una sinergia a 360 gradi nell’interesse congiunto della collettività e del cittadino condannato.
La dimensione di “aiuto e controllo” in mano al Servizio Sociale ha creato in questi 32 anni di esecuzione penale extradetentiva, una “pacificazione sociale” ed un’interpretazione della condanna che ha contribuito a attuare quei presupposti per variabili alternative alla detenzione, che costituiscono le più evolute risposte dell’esecuzione penale attuale, differenziate a seconda della tipologia del reato e della personalità del reo, quali la detenzione domiciliare, la libertà controllata, la semidetenzione e modalità educative quali la restituzione sociale, il risarcimento del danno, la coscientizzazione del reo riguardo alla vittima, riguardo al fatto e riguardo alla collettività.
Al tempo stesso, gli assistenti sociali della Giustizia, hanno lavorato e lavorano per il reinserimento sociale del condannato, per portarlo ad un rapporto di fiducia con l’Autorità, agendo con tutte le tipologie di persone, sia cittadini italiani che comunitari ed extracomunitari, dagli ammalati di mente, ai tossicodipendenti ed alcooldipendenti, così come autori di reati comuni e di criminalità organizzata. Nessuna tipologia esclusa.
Questo lavoro, prevalentemente agito sul territorio, ma anche in carcere, é un lavoro fortemente usurante, come documentato in letteratura, sia per il coinvolgimento professionale con i drammi delle persone e dei loro congiunti, sia per l’attività in strutture totali ed in ambienti di vita fortemente degradati, sia per i rischi connessi all’esercizio di tale attività, che mai é stato riconosciuto come tale dall’Amministrazione Penitenziaria, neppure a coloro che hanno subito minacce serie dalla malavita organizzata e per cui sono state attivate le consuete forme di protezione da parte della Polizia di Stato e delle Prefetture.
Oggi stiamo avvertendo un processo che di fatto si presenta come espulsivo da parte dell’amministrazione Penitenziaria.
I 1.200 Assistenti Sociali sono stati occultati dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria per 32 anni, pur avendo avuto una produttività sconosciuta generalmente nella Pubblica Amministrazione, sia in quanto a qualità che a quantità, e perciò percepiti solo in modo distorto dai giornalisti e dall’opinione pubblica, considerati a torto, a seconda dei casi, buonisti, o incompetenti per gestire la materia.
Assistenti Sociali della Giustizia, Polizia di Stato e Carabinieri, si occuperanno come sempre dei condannati in esecuzione penale extradetentiva, ovunque si trovano, su qualsiasi terreno e con tutti i climi, con scarsi mezzi, poco carburante, poche autovetture, e gli assistenti sociali anche senza indennità di missione, senza l’abbuono di un anno ogni cinque per lavoro usurante, senza tutte quelle indennità di presenza e benefit di altra natura che sono previsti nel contratto delle Forze di Polizia.
Gli Assistenti Sociali della Giustizia continueranno a fare inclusione sociale, senza essere visti né dall’opinione pubblica, né dai giornalisti attenti solo quando c’é da criticare senza la necessaria conoscenza, subendo la “nuova ideologia” di chi ha un concetto di esecuzione penale “carceraria” e vuole portare questo modello sul territorio.
In questo clima di disconoscimento professionale, dell’immagine e dei risultati, poiché le parole rassicuranti della Direzione Generale dell’Esecuzione Penale Esterna non hanno significato, a fronte di decreti interministeriali di altro segno, gli assistenti sociali della Giustizia, chiedono:
· formale riconoscimento del lavoro usurante, con i relativi benefici, così come previsto per il personale destinatario della l. 395/90 e di quello della l. 145/05 (ne beneficiano i poliziotti penitenziari ed i dirigenti penitenziari, ma non gli assistenti sociali);
· ripristino del trattamento di missione, abolito con la finanziaria del 2006 solo per il personale del comparto Ministeri, ma conservato dal personale di Polizia Penitenziaria;
· riconoscimento della loro specificità professionale nella conduzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, misura alternativa alla detenzione in cui aiuto e controllo della condotta, attuato in chiave psico-socio-educativa, non possono essere scissi, pena lo snaturamento della misura stessa;
· giusta visibilità all’opinione pubblica del proprio operare, sia in termini qualitativi che quantitativi, sia come espressione professionale (gli U.E.P.E. sono gli unici Uffici dell’Amministrazione Penitenziaria che lavorano con standard di produzione, e che hanno realizzato la “Carta dei Servizi”. Che lavorano per progetti finanziati da altri Enti, o direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria attraverso la Cassa delle Ammende, o da progetti Europei; che lavorano con piani trattamentali individualizzati, con lavoro di rete; che attuano un approccio interdisciplinare coinvolgendo sia nella fase di analisi e progettazione del trattamento del condannato che potenzialmente fruirà della misura alternativa alla detenzione, sia durante l’attuazione di essa, attraverso il coinvolgimento di operatori di altre professionalità quali esperti in psicologia che operano come consulenti presso gli l’U.E.P.E., sia con collaborazioni con i professionisti socio-sanitari ed educativi degli Enti Pubblici Territoriali, del Terzo Settore del Volontariato, sia con gli operatori del Carcere.
· assunzione di personale amministrativo per gli U.E.P.E.
· formazione ed aggiornamento amministrativo e di gestione del personale, per i Capi Area degli U.E.P.E., estendendo quella formazione ed aggiornamento oggi prevalentemente rivolto alle figure amministrative di fascia “B” ed agli appartenenti alla polizia penitenziaria operanti negli uffici.
· Formazione ed aggiornamento professionale per gli assistenti sociali in sinergia con l’Ordine Professionale.
Gli assistenti sociali, tutto personale laureato, che non ha ottenuto il contratto di “professionisti dipendenti” perché é stato considerato troppo numeroso, ma che é così poco numeroso da non avere un potere contrattuale da essere riconosciuto per il lavoro usurante, né per beneficiare di quei contratti di cui godono le altre figure dell’Amministrazione Penitenziaria dai Dirigenti ai Poliziotti, né essere considerati dalla propria Amministrazione, non tollerano più il disconoscimento perpetrato nei loro confronti e la strumentalizzazione che di loro viene fatta, a fronte di un impegno che non é mai venuto meno.
Il Segretario Nazionale
Paola Saraceni
(347/0662930)
<< Home page