QUESTION TIME CAMERA 17/10/2007
INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA
DANIELE FARINA - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: il ministero della giustizia ha presentato alle parti ed al sindacato una bozza di decreto nel quale annuncia l'intenzione di voler inserire ed utilizzare personale del Corpo di polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna, attraverso una fase di sperimentazione che si sarebbe dovuta concludere con un tavolo di confronto il 14 maggio 2007; era già stato fatto presente al ministero della giustizia che l'introduzione della polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna sembra debole, sia da un punto di vista normativo che giuridico. Le funzioni che gli vengono attribuite sono estranee, infatti, alle vigenti normative previste dall'articolo 72 dell'ordinamento penitenziario e dall'articolo 118 del regolamento di esecuzione; era stato fatto presente, altresì, che con questo decreto si aggravano pesantemente le condizioni di vita e di lavoro degli stessi operatori della polizia penitenziaria, già difficoltose data la carenza di personale e le scarse risorse finanziarie; è funzionale al sistema penitenziario e previsto normativamente dall'articolo 47, commi 9 e 10, che le attività di controllo e di recupero siano svolte in modo integrato da uno stesso operatore, in quanto esse stesse inscindibili e pertanto non gestibili da portatori di professionalità eterogenee; ad avviso dell'interrogante, non è comunque accettabile modificare una legge attraverso un decreto non avente natura di decreto legislativo delegato; non è accettabile presentare sotto forma di sperimentazione un modo di operare che - almeno per l'affidamento in prova - altererebbe in modo determinante il tipo di trattamento previsto dalla normativa; i costi per la collettività aumenterebbero in modo notevole perché non si tratta di aumentare solo il numero dei poliziotti sul territorio, ma si tratta di un nuovo corpo di polizia che si aggiunge a quelli già presenti; in questa maniera si rischia di spostare l'attenzione prevalentemente sul controllo, penalizzando politiche che favoriscano, al contrario, l'inclusione sociale dei condannati -: se non si ritenga grave introdurre una scissione, in fase trattamentale, nel rapporto tra la competenza di aiuto e quella di controllo, perno della misura alternativa stessa e innovazione fondamentale della nuova politica penitenziaria. (3-01347) (16 ottobre 2007)
DANIELE FARINA - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che: il ministero della giustizia ha presentato alle parti ed al sindacato una bozza di decreto nel quale annuncia l'intenzione di voler inserire ed utilizzare personale del Corpo di polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna, attraverso una fase di sperimentazione che si sarebbe dovuta concludere con un tavolo di confronto il 14 maggio 2007; era già stato fatto presente al ministero della giustizia che l'introduzione della polizia penitenziaria negli uffici dell'esecuzione penale esterna sembra debole, sia da un punto di vista normativo che giuridico. Le funzioni che gli vengono attribuite sono estranee, infatti, alle vigenti normative previste dall'articolo 72 dell'ordinamento penitenziario e dall'articolo 118 del regolamento di esecuzione; era stato fatto presente, altresì, che con questo decreto si aggravano pesantemente le condizioni di vita e di lavoro degli stessi operatori della polizia penitenziaria, già difficoltose data la carenza di personale e le scarse risorse finanziarie; è funzionale al sistema penitenziario e previsto normativamente dall'articolo 47, commi 9 e 10, che le attività di controllo e di recupero siano svolte in modo integrato da uno stesso operatore, in quanto esse stesse inscindibili e pertanto non gestibili da portatori di professionalità eterogenee; ad avviso dell'interrogante, non è comunque accettabile modificare una legge attraverso un decreto non avente natura di decreto legislativo delegato; non è accettabile presentare sotto forma di sperimentazione un modo di operare che - almeno per l'affidamento in prova - altererebbe in modo determinante il tipo di trattamento previsto dalla normativa; i costi per la collettività aumenterebbero in modo notevole perché non si tratta di aumentare solo il numero dei poliziotti sul territorio, ma si tratta di un nuovo corpo di polizia che si aggiunge a quelli già presenti; in questa maniera si rischia di spostare l'attenzione prevalentemente sul controllo, penalizzando politiche che favoriscano, al contrario, l'inclusione sociale dei condannati -: se non si ritenga grave introdurre una scissione, in fase trattamentale, nel rapporto tra la competenza di aiuto e quella di controllo, perno della misura alternativa stessa e innovazione fondamentale della nuova politica penitenziaria. (3-01347) (16 ottobre 2007)
In risposta all’interrogazione
Faccio in primo luogo presente che nel corso della stesura della bozza di decreto interministeriale riguardante l’inserimento del personale del Corpo di Polizia penitenziaria negli uffici di Esecuzione Penale Esterna, è stata posta massima attenzione alle osservazioni ed alle proposte pervenute dalle organizzazioni sindacali e dall’ordine nazionale degli assistenti.
Devo poi osservare che l’articolo 3, comma 1 lett. b), della legge 2005/154, attraverso un’integrale riformulazione dell’art. 72 dell’ordinamento penitenziario, ha istituito gli Uffici penali di esecuzione esterna, in luogo dei Centri di servizio sociale per adulti, fino ad allora esistenti. Il primo comma del nuovo articolo 72 dispone che gli uffici di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia, e che la loro organizzazione è disciplinata con un regolamento da adottare, da parte del Ministro, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 1988 /400.
Il comma 2 del nuovo articolo 72 dell’ordinamento penitenziario individua le competenze degli uffici di esecuzione penale esterna.
Per quanto qui interessa, va evidenziato che – accanto a competenze già stabilite in relazione ai centri di servizio sociale dal previgente art. 72, – gli uffici in questione “propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare”, e soprattutto “controllano l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca”.
In tale contesto normativo, radicalmente mutato rispetto alla situazione anteriore alla legge n. 154 del 2005, la bozza di decreto menzionata dall’interrogante prevede in via sperimentale l’inserimento di personale in forza alla polizia penitenziaria nelle attività di esecuzione penale esterna, in un modello operativo imperniato sul programma di trattamento ed inclusione sociale della persona ammessa alla misura alternativa.
In tale prospettiva, la bozza di decreto attribuisce alla polizia penitenziaria, prioritariamente rispetto alle altre forze di polizia, “la verifica del rispetto degli obblighi di presenza in determinati luoghi imposti alle persone ammesse alla misura alternativa alla detenzione domiciliare”. Quanto ai soggetti affidati in prova al servizio sociale e alla semilibertà, è invece previsto che l’attività di verifica in questione possa essere richiesta ed attivata, rispettivamente, dalla magistratura di sorveglianza e dal direttore dell’istituto penitenziario. Ritengo, quindi, di poter fugare i timori evidenziati dall’On. Farina, sottolineando che i compiti di verifica della Polizia Penitenziaria consistono, unicamente, nell’accertare la presenza, in determinati luoghi, del detenuto domiciliare, ovvero - se richiesto dalle menzionate autorità - degli altri soggetti ammessi a misure alternative, senza intaccare i profili concernenti l’attività propria dello specifico assistente sociale investito del caso, che anzi deve essere necessariamente sentito in sede di preparazione dell’ordine di servizio relativo all’attività di verifica.
Devo poi osservare che l’articolo 3, comma 1 lett. b), della legge 2005/154, attraverso un’integrale riformulazione dell’art. 72 dell’ordinamento penitenziario, ha istituito gli Uffici penali di esecuzione esterna, in luogo dei Centri di servizio sociale per adulti, fino ad allora esistenti. Il primo comma del nuovo articolo 72 dispone che gli uffici di esecuzione penale esterna dipendono dal Ministero della giustizia, e che la loro organizzazione è disciplinata con un regolamento da adottare, da parte del Ministro, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 1988 /400.
Il comma 2 del nuovo articolo 72 dell’ordinamento penitenziario individua le competenze degli uffici di esecuzione penale esterna.
Per quanto qui interessa, va evidenziato che – accanto a competenze già stabilite in relazione ai centri di servizio sociale dal previgente art. 72, – gli uffici in questione “propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare”, e soprattutto “controllano l’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca”.
In tale contesto normativo, radicalmente mutato rispetto alla situazione anteriore alla legge n. 154 del 2005, la bozza di decreto menzionata dall’interrogante prevede in via sperimentale l’inserimento di personale in forza alla polizia penitenziaria nelle attività di esecuzione penale esterna, in un modello operativo imperniato sul programma di trattamento ed inclusione sociale della persona ammessa alla misura alternativa.
In tale prospettiva, la bozza di decreto attribuisce alla polizia penitenziaria, prioritariamente rispetto alle altre forze di polizia, “la verifica del rispetto degli obblighi di presenza in determinati luoghi imposti alle persone ammesse alla misura alternativa alla detenzione domiciliare”. Quanto ai soggetti affidati in prova al servizio sociale e alla semilibertà, è invece previsto che l’attività di verifica in questione possa essere richiesta ed attivata, rispettivamente, dalla magistratura di sorveglianza e dal direttore dell’istituto penitenziario. Ritengo, quindi, di poter fugare i timori evidenziati dall’On. Farina, sottolineando che i compiti di verifica della Polizia Penitenziaria consistono, unicamente, nell’accertare la presenza, in determinati luoghi, del detenuto domiciliare, ovvero - se richiesto dalle menzionate autorità - degli altri soggetti ammessi a misure alternative, senza intaccare i profili concernenti l’attività propria dello specifico assistente sociale investito del caso, che anzi deve essere necessariamente sentito in sede di preparazione dell’ordine di servizio relativo all’attività di verifica.
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