VITA
Roma: il convegno degli assistenti sociali della giustizia
2 novembre 2007
Mercoledì 7 novembre, al Centro Congressi Cavour, via Cavour 50, a Roma, dalle ore 9.30 alle 17.30. Il grido che giunge dagli istituti penitenziari italiani su un probabile nuovo collasso rilancia il tema di un possibile incremento dell’utilizzo delle misure alternative per reati minori, e quindi della funzione rieducativa della pena, piuttosto che di quella repressiva, affidata al servizio sociali degli Uffici giudiziari territoriali Uepe.
L’ordine nazionale degli assistenti sociali ha organizzato una giornata di confronto sugli scenari aperti dalle proposte di riforma che riguardano le misure alternative e, in particolare, l’affidamento in prova al servizio sociale, la misura alternativa al carcere, più conosciuta. Alla giornata partecipano i vertici dell’amministrazione della giustizia e i rappresentanti della professione, insieme a esponenti del mondo del volontariato e della magistratura di sorveglianza.
L’affidamento in prova è la forma di esecuzione penale più "aperta" prevista dalla legge italiana, da ormai più di trent’anni; viene scontata completamente all’esterno della struttura carceraria, nella comunità, e ha come titolare del trattamento il servizio sociale, inserito nel sistema penitenziario dal 1975. Oggi gli Uepe - gli Uffici di servizio sociale per l’esecuzione penale esterna che dipendono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria o Dap, che a sua volte risponde al ministero della Giustizia - sono ampiamente diffusi sul territorio, siedono ai tavoli in cui vengono elaborati i piani di zona insieme agli enti locali e ai soggetti del terzo settore, sono chiamati a collaborare dalle prefetture per le questioni della sicurezza, hanno rapporti costanti con le agenzie della società civile (volontariato, cooperazione sociale, privato no profit).
Una galassia del controllo e del recupero ampia e collaudata che negli anni ha dato ottimi risultati, molto più della pena scontata in carcere, come dimostrato dai dati della stessa amministrazione penitenziaria. Secondo tali statistiche, infatti, i risultati sono positivi sia per quanto riguarda la percentuale di revoche dell’affidamento che si attesta, nell’ultimo anno, sul 4%, sia per il totale di revoche di tutte le misure alternative che raggiunge poco più del 6%.
Tutto questo nonostante la crescita delle misure alternative sia stata costante ed esponenziale; dal 1991, quando i casi erano meno di 5mila, si è giunti nel 2005 a quota 45mila. Ma il dato più significativo è quello relativo alla recidiva: secondo una ricerca condotta dalla stessa amministrazione penitenziaria, per i sette anni che vanno dal 1998 al 2005, solo nel 19% dei casi vi era stata recidiva tra i soggetti affidati in prova al servizio sociale, contro la recidiva del 68,45% riscontrata per coloro che avevano scontato la condanna in detenzione e che erano stati scarcerati, a fine pena, nel ‘98.
Proprio perché la domanda di sicurezza dei cittadini è diventata più forte e a questa domanda va data risposta da parte di tutti soggetti istituzionalmente coinvolti, l’Ordine degli assistenti sociali lancia attraverso le parole della presidente, Fiorella Cava, un messaggio chiaro e forte: "Vogliamo contribuire in ogni modo all’ammodernamento e alla riorganizzazione del sistema giustizia e appoggiamo l’intento di rafforzare la legalità sul territorio, ma non va dimenticato che tutto questo passa anche, e oggi forse soprattutto (vedi la questione del sovraffollamento carcerario) attraverso le sanzioni e le misure non detentive. Anzi esse vanno potenziate attraverso maggiori risorse finanziarie e un aumento dell’organico degli assistenti sociali che debbono rimanere le figure centrali e titolari del trattamento".
2 novembre 2007
Mercoledì 7 novembre, al Centro Congressi Cavour, via Cavour 50, a Roma, dalle ore 9.30 alle 17.30. Il grido che giunge dagli istituti penitenziari italiani su un probabile nuovo collasso rilancia il tema di un possibile incremento dell’utilizzo delle misure alternative per reati minori, e quindi della funzione rieducativa della pena, piuttosto che di quella repressiva, affidata al servizio sociali degli Uffici giudiziari territoriali Uepe.
L’ordine nazionale degli assistenti sociali ha organizzato una giornata di confronto sugli scenari aperti dalle proposte di riforma che riguardano le misure alternative e, in particolare, l’affidamento in prova al servizio sociale, la misura alternativa al carcere, più conosciuta. Alla giornata partecipano i vertici dell’amministrazione della giustizia e i rappresentanti della professione, insieme a esponenti del mondo del volontariato e della magistratura di sorveglianza.
L’affidamento in prova è la forma di esecuzione penale più "aperta" prevista dalla legge italiana, da ormai più di trent’anni; viene scontata completamente all’esterno della struttura carceraria, nella comunità, e ha come titolare del trattamento il servizio sociale, inserito nel sistema penitenziario dal 1975. Oggi gli Uepe - gli Uffici di servizio sociale per l’esecuzione penale esterna che dipendono dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria o Dap, che a sua volte risponde al ministero della Giustizia - sono ampiamente diffusi sul territorio, siedono ai tavoli in cui vengono elaborati i piani di zona insieme agli enti locali e ai soggetti del terzo settore, sono chiamati a collaborare dalle prefetture per le questioni della sicurezza, hanno rapporti costanti con le agenzie della società civile (volontariato, cooperazione sociale, privato no profit).
Una galassia del controllo e del recupero ampia e collaudata che negli anni ha dato ottimi risultati, molto più della pena scontata in carcere, come dimostrato dai dati della stessa amministrazione penitenziaria. Secondo tali statistiche, infatti, i risultati sono positivi sia per quanto riguarda la percentuale di revoche dell’affidamento che si attesta, nell’ultimo anno, sul 4%, sia per il totale di revoche di tutte le misure alternative che raggiunge poco più del 6%.
Tutto questo nonostante la crescita delle misure alternative sia stata costante ed esponenziale; dal 1991, quando i casi erano meno di 5mila, si è giunti nel 2005 a quota 45mila. Ma il dato più significativo è quello relativo alla recidiva: secondo una ricerca condotta dalla stessa amministrazione penitenziaria, per i sette anni che vanno dal 1998 al 2005, solo nel 19% dei casi vi era stata recidiva tra i soggetti affidati in prova al servizio sociale, contro la recidiva del 68,45% riscontrata per coloro che avevano scontato la condanna in detenzione e che erano stati scarcerati, a fine pena, nel ‘98.
Proprio perché la domanda di sicurezza dei cittadini è diventata più forte e a questa domanda va data risposta da parte di tutti soggetti istituzionalmente coinvolti, l’Ordine degli assistenti sociali lancia attraverso le parole della presidente, Fiorella Cava, un messaggio chiaro e forte: "Vogliamo contribuire in ogni modo all’ammodernamento e alla riorganizzazione del sistema giustizia e appoggiamo l’intento di rafforzare la legalità sul territorio, ma non va dimenticato che tutto questo passa anche, e oggi forse soprattutto (vedi la questione del sovraffollamento carcerario) attraverso le sanzioni e le misure non detentive. Anzi esse vanno potenziate attraverso maggiori risorse finanziarie e un aumento dell’organico degli assistenti sociali che debbono rimanere le figure centrali e titolari del trattamento".
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