L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

domenica 21 ottobre 2007

L' Intervento del Casg a Strada Facendo 3


Gli Assistenti sociali della giustizia:
né gendarmi né tecnici dei buoni sentimenti
Strada Facendo 3 Cagliari 19/20/21 ottobre 2007
Anna Muschitiello
(segretaria nazionale casg)
Il titolo di questa relazione riprende quello del I° convegno del CASG, tenutosi a Fiesole nell’ottobre del 1994 (ben 13 anni fa), solo che "involontariamente" ho invertito la costruzione della frase, il convegno, infatti, si intitolava: "Né tecnici dei buoni sentimenti né gendarmi.
Questo scherzo della memoria non è sicuramente casuale: in quanto all’epoca, l’idea di diventare o essere confusi con i gendarmi già si profilava all’orizzonte, ma appariva un’ipotesi paradossale e fantasiosa.
Oggi no!
Questa idea dei gendarmi è ben chiara e piantata nella nostra mente e fatichiamo sempre più a spiegare perché è opportuno, per le pene esterne al carcere, passare dall’esclusivo ambito penale, dal controllo e sicurezza, al sociale, all'offerta di opportunità concrete per raggiungere l’inclusione sociale.
Forse è importante ripartire dalla volontà del legislatore del 1975 per capire il ruolo del Servizio sociale nell’ambito dell’esecuzione delle pene:
….l’introduzione del servizio sociale nel sistema penitenziario del 1975 è stata una scelta culturale, in quanto il S.S. quando interviene sia con i detenuti sia con i soggetti in m.a. tratta di quell’insieme di rapporti che rappresentano il non carcere e che si ricollegano direttamente al reinserimento sociale e ne tratta attuando un approccio che è completamente diverso da quello correzionale proprio dell’istituzione carceraria" Il legislatore del 1975 (puntualmente confermato in tali scelte da tutti gl’interventi legislativi successivi) aveva configurato l’allora CSSA come una struttura anch’essa alternativa al carcere e cioè radicata sul territorio per organizzare e attuare i suoi interventi nel quadro dell’esecuzione penale, seguendo una logica ispirata ad una cultura alternativa ai modelli istituzionali, dall’altro per operare in una prospettiva pienamente integrata con gli altri servizi esistenti nella comunità.........Nel 2000 il nuovo regolamento di esecuzione ha meglio evidenziato e definito i compiti dei CSSA e ha chiarito che l’intenzione di aiuto deve essere tradotta nell’offerta al soggetto di sperimentare un rapporto con l’autorità basato sulla fiducia e sulla capacità della persona di recuperare il controllo del proprio comportamento senza interventi di carattere repressivo, queste indicazioni metodologiche rappresentano un punto di svolta nella concezione dell’esecuzione penale cioè quello di raggiungere la "normalizzazione" del comportamento attraverso l’assunzione da parte dello stesso condannato di atteggiamenti di responsabilità e di autodeterminazione cha con attività repressive non è possibile raggiungere". (R. Breda)
Le scelte del legislatore, anche se rinnovate nel 2000 con il Nuovo Regolamento di Esecuzione, a parere di alcuni ……appaiono superate proprio dallo sviluppo che le MM.AA. hanno avuto in questi anni e che il N.R. del 2000 avrebbe accolto attraverso l’art. 118 in modo "meccanicistico" lo spirito della Riforma del ’75 e con poca attenzione alle novità del fenomeno delle MM.AA……. Ancora, ritengono che le suddette misure avrebbero più credibilità se accanto all’assistente sociale operassero figure istituzionali addette al controllo della condotta, e sempre secondo i sostenitori del "nuovo corso" ciò darebbe più credibilità all’esecuzione penale esterna e consentirebbe un aumento di tali misure in alternativa alla pena detentiva.
Alla luce di queste considerazioni vengono spontanee alcune domande e cioè:
Nei 32 anni di vigenza delle misure alternative è stato dimostrato il fallimento della loro gestione da parte degli operatori che se ne sono occupati?
E’ stato dimostrato che il carcere riesce a rieducare più efficacemente e le logiche che lo governano sono risultate più efficaci di quelle relative alle misure alternative ad esso?
Il costo di tali misure è risultato troppo elevato rispetto alla pena detentiva?
I Magistrati di Sorveglianza hanno concesso poche misure alternative perché non si fidavano degli operatori preposti al controllo e al supporto dei soggetti in misura alternativa?
Il sistema dell’esecuzione penale esterna a causa della sua scarsa credibilità si è andato man mano esaurendo?
Le recidive dei soggetti in misura alternative sono risultate più alte di quelle dei soggetti trattati in carcere?
Niente di tutto questo, anzi, si è verificato esattamente il contrario!
Ormai tutti sanno che a dimostrare il successo, la validità, il buon funzionamento della misure alternative, sono i dati statistici rilevati dalla stessa Amministrazione Penitenziaria e anche se non si pretende che i dati statistici ci spieghino tutto, ci aiutano però ad avere una visuale più oggettiva della situazione: la percentuale di recidiva per coloro che non hanno usufruito del percorso di trattamento è di circa del 68,45%, mentre si riduce all’19% per coloro che hanno beneficiato dell’affidamento al servizio sociale.
Mentre da altra ricerca condotta nel 2005 dall’ UEPE di Firenze (Progetto Misura), in collaborazione con l’Università di Firenze, è stato messo in evidenza che una modalità di esecuzione della pena diversa da quella del carcere, svolta con forme di gestione diversa da parte di assistenti sociali e operatori sociali e con strumenti tecnico-professionali di tipo relazionale, risulta più efficace.
La valutazione di tali dati porta a concludere che il sistema di implementazione della misura dell'affidamento, imperniato sulle modalità operative del servizio sociale, ha complessivamente funzionato nel raggiungimento del duplice obiettivo di rafforzare i processi di inclusione e coesione sociale, contribuendo attraverso il rispetto delle prescrizioni anche al rispetto della legalità e favorendo, in tal modo, una maggiore sicurezza dei contesti di vita dei cittadini.
Quando i dati non c’erano, tutti ne rimarcavano l’assenza e ci si affannava a dimostrare che le MM.AA in realtà funzionavano, ora che i dati ci sono, comunque, sembrano non avere alcuna importanza.
Il fatto che un vasto numero di condannati abbiano usufruito di percorsi di inclusione e che la maggioranza ne abbia fatto anche buon uso sembra non interessi proprio a nessuno.
Il processo riformatore degli anni 2000 che, con il precedente governo era stato del tutto abbandonato e reso inefficace, e che aveva visto entrare sulla scena un quadro normativo coerente con gli obiettivi costituzionali e della riforma del ’75 e cioè:
· la legge di riforma dell’assistenza che ha chiamato in causa il Ministero della Giustizia ai tavoli di concertazione dei Piani di Zona, come componente esperto sulla devianza prevedendo che nella definizione dei P di Z si determinano "modalità per realizzare il coordinamento con gli organi periferici delle amministrazioni statali, con particolare riferimento all’amministrazione penitenziaria e della giustizia";
· il Regolamento d’Esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, DPR 230/00, che recependo i principi della legge di riforma prevede l’attribuzione di un mandato chiaro agli UEPE:
"…coordina(re) le attività di competenza nell’ambito dell’esecuzione penale con quella delle istituzioni e dei servizi sociali che operano sul territorio. Le intese operative con i servizi degli enti locali sono definite in una visione globale delle dinamiche sociali che investono la vicenda personale e familiare dei soggetti in una prospettiva integrata di intervento": integrarsi con il territorio.
avevamo la naturale aspirazione a vederlo confermato e potenziato con questo governo, in quanto sia la legge quadro sui servizi sociali integrati n.328/00, sia il N.R. DPR 230/2000 avevano dato l’avvio ad un approccio reticolare dando la possibilità ai servizi della giustizia, ma anche agli enti locali di superare la logica settoriale, richiedendo a tutti di uscire dagli specialismi per porre l’attenzione ai fenomeni che sottendono ai problemi.
Quindi, quale conseguenza logica ai dettati normativi, ci si aspettava una organizzazione degli uffici, che si occupano di esecuzione penale esterna, in grado di cogliere il cambiamento culturale ed ambientale che si andava imponendo con la capacità di gestire questi processi, quindi, un'organizzazione agile e flessibile.
Il risultato invece è stato, fuori da ogni previsione, l'ipotesi di un’organizzazione ancora più pesante e rigida dell’attuale. Si sta imponendo, con sempre maggiore forza, la tendenza ad accantonare le scelte operative ed organizzative degli ultimi anni per orientarsi, a nostro parere contro ogni logica, verso il predominio del controllo di polizia, rispetto a quello di tipo professionale sociale.
In pratica,si tende ad utilizzare nelle misure di esecuzione penale esterne le stesse logiche del carcere, sapendo bene che quest’ultime sono comunque negative ai fini del recupero sociale del condannato, ma non basta! Il dibattito di questi giorni sta andando al di là di ogni previsione e si sta addirittura correndo il rischio di fare un salto indietro di qualche decennio e, come accade spesso in questo settore, il pendolo del "tutti dentro" o "tutti fuori" ha iniziato ad oscillare verso le posizioni più restrittive e sicuritarie, dopo l’"abbuffata" di dichiarazioni sull’indulto, approvato solo poco più di un anno fa.
C’è chi sta, addirittura, ipotizzando la possibilità di modificare la legge Simeoni – Saraceni, ma non solo, anche la legge Gozzini e si stanno moltiplicando le proposte di legge in tal senso, provenienti da parlamentari di entrambi gli schieramenti politici, senza distinzione alcuna.
Come al solito non si conoscono mezze misure: sull’argomento sicurezza si oscilla da un estremo all’altro con voli così spericolati che lasciano, chi si occupa, quotidianamente, della materia senza parole, sgomenti, costretti a rincorrere e ribadire "il senso delle cose", con il pericolo di essere fraintesi e tacciati essi stessi di persone ostili al cambiamento .
L’orgia di dichiarazioni apparse sulla stampa negli ultimi giorni sulla questione sicurezza non ci lascia spazio per ulteriori argomentazioni. Tutto sembra già detto e ridetto, ma sembra che il dialogo avvenga tra sordi.
Voglio però prendere spunto da un articolo di Curzio Maltese sul Venerdì di Repubblica del 14 settembre che s’intitolava " ma ad Oslo non ci sono lavavetri". Gli argomenti del noto giornalista tendevano a far passare coloro che in Italia hanno preso posizione contro l’ondata repressiva nei confronti di lavavetri, mendicanti e quant’altro, come dei difensori della mendicità e della questua, portando ad esempio la Norvegia dove lui ha viaggiato questa estate e " ..dove non ha mai incontrato né lavavetri né mendicanti e diceva: sarà una nazione fascista? Eppure la Norvegia vanta il governo più a sinistra dell’Europa, il miglior sistema pubblico di sanità istruzione e trasporti, il più basso indice di povertà, un welfare spettacolare e un’accoglienza agl’immigrati da vergognarsi al confronto. Inoltre ha il triplo degli immigrati dell’Italia e meno di un terzo delle forze di polizia e…non ha bisogno di sposare i metodi forti alla Rudholf Giuliani.
Tutto vero!
...Peccato che Maltese tirava delle conclusioni del tutto diverse da quelle che ci si aspettava da un discorso del genere, infatti, ….concludeva con l’approvazione delle posizioni dei sindaci che avevano aperto le ostilità contro i lavavetri…senza far emergere alcun dubbio sul fatto che, in Norvegia è proprio la bontà di politiche sociali accorte e lungimiranti che fanno sparire dalle strade i lavavetri e tutti i soggetti marginali costretti ad arrangiarsi per "sbarcare il lunario".
Sono le politiche sociali a far aumentare la sicurezza, mentre le politiche repressive e di "tolleranza zero" non fanno altro che acuire i conflitti sociali e spostare i problemi da un quartiere ad un altro o da una città ad un’altra senza mai risolverli.
E' così difficile far capire ai nostri politici, giornalisti e ben pensanti in generale questa verità così elementare?
Perchè quando gli operatori sociali in Italia chiedono più politiche di inclusione mancano sempre le risorse, mentre a dispetto di ogni analisi sociologica, non si bada a spese quando si tratta di aumentare la presenza delle polizie sul territorio?
Non a caso parlo di polizie…infatti la tendenza è quella di armare e trasformare in operatori di ordine pubblico le più svariate professionalità…dai vigili urbani, alle guardie forestali, alle guardie private, all’esercito, alla polizia penitenziaria, ecc.
Poco più di un anno fa il Ministro della Giustizia all’atto del suo insediamento affermava che "…è necessario un nuovo codice penale che dia piena attuazione ai principi di legalità, tassatività e colpevolezza;… che preveda un’ ampia depenalizzazione delle figure contravvenzionali, nell’ottica di un diritto penale minimo ma efficace…. che si esca dalla logica per cui le uniche sanzioni penali sono la reclusione, l’arresto e/o le pene pecuniarie, occorre proporre soluzioni innovative rispetto al sistema attuale per numerosi reati di minor allarme sociale si dovrà prevedere un complesso di pene diverse dalla detenzione in carcere………che vengano incentivate, inoltre, le condotte di riparazione dell’offesa e di risarcimento del danno, da considerarsi non solo quali circostanze attenuanti ma, per alcuni specifici reati, anche quale causa di non punibilità, il tutto nell’ottica di rendere effettiva la funzione rieducativa della pena. ….Inoltre, che si tenga conto dei lavori delle Commissioni giustizia di Camera e Senato che, nelle scorse Legislature, hanno elaborato testi su istituti come la "messa in prova" che ha già dato risultati positivi nel processo minorile e che, con le adeguate modifiche, era stato previsto anche per i maggiorenni in un testo approvato nella scorsa Legislatura della Commissione di una sola Camera…."
Oppure da dichiarazioni successive effettuate in occasioni pubbliche sempre da parte del Guardasigilli che fa sapere di voler presentare in Parlamento un "….pacchetto organico di proposte che serva a rendere la giustizia uno strumento più credibile e più efficace, provando a ridefinire i margini, l’effettività e i modi del suo intervento". In questo senso, l’indulto ha avuto "la funzione e il merito di azzerare una condizione di sofferenza e di illegalità che affliggeva le carceri". Sarebbe stato molto più semplice lasciare la situazione invariata e magari costruire nuove carceri, facendo credere all’opinione pubblica che la sicurezza dei cittadini passasse dall’elevato numero di reclusi". Al contrario, "bisogna avere il coraggio di dire alla gente che quel numero elevato, se non accompagnato dalla stabilità della detenzione, ma anzi espressione di un fenomeno di flusso, ossia sottoposto ad un ricambio costante di presenze, non solo non giova alla sicurezza, ma rischia di nuocervi".
Fenomeno, quello del turn-over carcerario, confermato anche dai dati forniti dal Dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria: "nelle 205 carceri italiane, ogni anno entrano circa 90mila detenuti e dopo un anno ne escono 88mila. Sempre secondo il Dap, l’indulto non ha responsabilità (se non per il 10 per cento) in questo "endemico meccanismo" di flusso di ingresso e di uscita dagli istituti di pena…..che il carcere come risorsa "deve essere riservato a chi è realmente pericoloso".
Sempre secondo il Ministro della giustizia, bisogna lavorare per far sì che i reati "per i quali è possibile una scelta diversa dal carcere, evitino a chi li commette di trascorrere pochi ed inutili giorni di detenzione, magari in custodia cautelare", infatti, "non bisogna dimenticare i limiti strutturali del sistema penitenziario che, se troppo affollato, finisce inevitabilmente per togliere spazio ai soggetti che appaiono realmente e concretamente pericolosi per la società".
Come si sia potuti passare nel giro di pochi mesi dalle dichiarazioni sopra riportate a quelle fatte sulla sicurezza di questi giorni.... è un mistero.
Lo stesso Capo del DAP Ettore Ferrara alla festa del corpo della pol.pen. lo scorso 20 settembre dichiarava che"…Il carcere dei giorni nostri è divenuto luogo di raccolta delle espressioni del disagio sociale e si caratterizza infatti sempre più per la transitorietà delle permanenze - in ragione di un turn-over di circa 100.000 detenuti all’anno -; per la presenza di patologìe, anche infettive, conseguenza di stili di vita inadeguati; per la presenza, sempre più massiccia di soggetti stranieri.. I detenuti stranieri presenti nei nostri istituti, che negli anni novanta non superavano la percentuale media del 15%, oggi rappresentano il 36,55% del totale dei ristretti, che in questi giorni risultano essere circa 45.995….."
Perché allora si decide di investire solo in più polizia e la finanziaria, che doveva capitalizzare più risparmi possibili, prevede l’assunzione di nuovo personale di polizia penitenziaria? Ma non avevamo il più alto rapporto in Europa tra poliziotti e detenuti? Già oggi il rapporto è quasi di uno a uno, quindi perché un ulteriore aumento? perché nessuno mette più in discussione l’utilizzo della Pol. Pen. negli uffici dell’A.P. a svolgere ruoli amministrativi che nulla hanno a che fare con i compiti di istituto, al posto dei previsti civili? Ricordo ancora quanto si diceva nei dibattiti precedenti al voto, che sarebbe stato prioritario fare pulizia di tutti i privilegi e le sacche di clientelismo che si annidavano nell’A.P., che fine hanno fatto quei buoni propositi?
Appare paradossale che alcuni sindaci di grandi città richiedano: maggiori poteri in tema di sicurezza, confondendola con il bisogno di maggiore legalità e il governo stia rispondendo con provvedimenti che prevedono il ricorso al carcere come unica risposta ai problemi di devianza sociale. Ancora una volta, e questa volta da parte di un governo che si definisce di centro sinistra, si risponde con interventi di ordine pubblico a problemi della società che hanno visto negli ultimi decenni una contrazione progressiva del sistema di sicurezza sociale fino ad arrivare ad un vero e proprio smantellamento del welfar-state:
riducendo la spesa sociale a scapito della salvaguardia dei diritti dei cittadini;
affermando una visione economicistica, riduttiva e banalizzante della società;
illudendosi che lo spostamento dei costi da un’organizzazione (servizi sociali) all’altra (polizia) possa corrispondere ad un risparmio e alla soluzione dei problemi sociali.
Man mano che diminuisce la spesa sociale, invecei, si afferma sempre più la necessità di controllare i soggetti più deboli, aumentando norme che vanno ad incrementare il sistema del controllo sociale e con questo l’uso del sistema penale, ma questo spostamento della spesa sociale non è affatto indice di una società matura e forte, ma al contrario rivela una società piuttosto fragile.
Una società che sente il bisogno di usare la forza per garantire la sicurezza dei propri cittadini e non è capace di gestire le proprie paure attraverso l’inclusione della diversità e la ricerca di soluzioni adeguate, dimostra tutta la sua impotenza di fronte a questi problemi.
Come Consiglio CASG, come assistenti sociali, che lavorano a diretto contatto con i problemi del mondo penitenziario non possiamo non condividere la seguente impostazione:"…..Sicurezza sociale significa costruire le condizioni di vivibilità nell’ambiente in cui si abita e cogliere gli aspetti critici che queste situazioni urbane e sociali presentano, per poterle affrontare. La sicurezza sociale dovrebbe lavorare in particolare sulle situazioni di disagio, di emarginazione, proprio per eliminarle e per includere coloro che sono esclusi nella situazione reale.
Tutte le persone che non "tornano" con la politica complessiva delle attuali leggi o dell’organizzazione dei servizi (i tossici, gli stranieri senza arte né parte, o con arte e parte ma sempre stranieri, quelli che vivono nella precarietà, le persone che hanno problemi di ordine psichico, di insufficiente integrazione sociale) non possono essere allontanate a colpi di scopa (o di decreto) che le spazzano via e le mettono al margine.
È evidente che il problema della sicurezza non va sottovalutato; ma va affrontato con politiche corrette poiché, se lo si affronta bene, si vede che non c’è nessun conflitto tra sicurezza e altri interessi, tra integrazione e diritti dei cittadini. Si può scoprire che queste contraddizioni possono coesistere e sostenersi l’una con l’altra. Ovviamente ci sono delle differenze tra una politica e l’altra. Noi sosteniamo quelle che si ispirano ai principi della Costituzione, della solidarietà, dell’integrazione, della responsabilità di ogni soggetto coinvolto, per trovare insieme soluzioni che diano qualità alla sicurezza. Così la sicurezza non sarà solo un enunciato che rischia, come in questo giorni di insistenza mediatica, di risuonare come parola vuota di contenuti se non è articolata da sanzioni e provvedimenti intelligenti; laddove siano necessari….
Se i problemi veri sono questi, ci chiediamo perché l’attuale Ministro della Giustizia C. Mastella abbia sentito il bisogno tra i primi propositi del suo dicastero, quello di istituire i commissariati di Pol. Pen. sul territorio con specifici compiti di controllo sulle misure alternative al carcere.
Lo stesso Ferrara sostiene che: "….mentre viene richiesto alla Polizia Penitenziaria un impegno diretto sul fronte del contributo alla sicurezza e del contrasto alla criminalità, in una serie di attività che trovano sede al di fuori delle mura carcerarie, allo stesso tempo è il carcere stesso a chiedere che siano sviluppate nuove sensibilità professionali e nuove specializzazioni….."
Sarebbe troppo facile un'operazione di maquillage dove basta invertire le sedi di lavoro degli operatori per far funzionare le cose. Ma le cose nella realtà non stanno così come si desiderano: all'esterno, i percorsi di inclusione non si mantengono con il puro e semplice controllo, ma è la sensibilità e la specializzazione professionale dell'operatore sociale a far si che il percorso di inclusione si avvii, si consolidi e diventi normalità.
E' sul welfare che si deve investire se ci vogliamo avvicinare al primato della Norvegia, se decidiamo di non ingannare più i cittadini, inseguendo e rafforzando le loro paure, che hanno radici molto più complesse di quelle che appaiono in superficie.
Ci chiediamo ancora oggi, attoniti, su come si sia potuti arrivare a simili conclusioni, in considerazione del fatto che tutte le analisi fatte in questi anni dalle forze politiche sindacali e associative, oggi al governo, ieri all’opposizione, avevano messo in evidenza che i problemi di esclusione e deprivazione sociale sono tra le prime cause di aumento della popolazione detenuta e della recidiva, quindi è nel sociale che vanno individuate le opportune soluzioni, non già in ulteriori forma di controllo e repressione.
Si è aperto, su questo argomento, un grosso dibattito e assieme al Casg tantissimi Uepe, organizzazioni di volontariato, Magistrati hanno dimostrato un forte dissenso, convinti che con queste modalità vengano estese al territorio le stesse logiche del carcere.
Le conseguenze del nuovo assetto di controllo, logica fallimentare perchè non inclusiva, avrà quale risultato:
aumento notevole dei costi per la collettività. Non si tratta di aumentare solo il numero di poliziotti sul territorio (dato che potrebbe risultare utile ai fini preventivi generali) ma, si sta parlando di un nuovo corpo di polizia che si aggiunge a quelli già presenti. Conseguentemente sarà necessario prevedere, mezzi, strutture organizzative, supporti tecnici, completamente nuovi;
spostamento dell’attenzione prevalentemente sul controllo, penalizzando politiche che favoriscano l’inclusine sociale dei condannati;
particolarmente per gli affidamenti in prova, prevarranno i controlli formali di polizia su quelli sostanziali, di valutazione complessiva dell’andamento della misura, propri del Servizio sociale.
Chissà se questi argomenti, se questo convegno, se questo dibattito è ancora materia di interesse per chi poi prende importanti decisioni in politica, nel settore sociale... oppure se la parola d'ordine "tolleranza zero" è ormai entrata nel vocabolario di tutti e il resto scivola addosso senza fermarsi, senza chiedersi perchè ci sono persone che propongono punti di vista differenti.