PIANO MARSHALL
Cgil; chiediamo un "Piano Marshall" per le carceri
di Mauro Beschi e Frabrizio Rossetti (F.P.-Cgil)
19 ottobre 2007
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto, l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella del pacchetto sicurezza "Amato" prefigura.
"Il numero dei detenuti cresce mediamente di mille unità al mese, per cui tra un anno e mezzo, se non accadrà qualche fatto nuovo torneremo alla situazione di prima dell’indulto"; a queste semplici dichiarazioni del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Dr. Ferrara occorre saper dare un’immediata risposta.
Risposta che non può ovviamente essere quella che il Guardasigilli si è affrettato a dare, la tesi per la quale senza "l’applicazione di quel provvedimento ci troveremo a quota 78 mila, quindi in una situazione devastante" per un sistema carcerario che non regge più.
Non che non sia giusto ricordare al Paese, alla Politica, al Parlamento la gravissima situazione in cui versavano le nostre carceri dopo la disastrosa gestione Castelli, ma è proprio da quella esperienza che bisogna saper uscire con un vero, organico, credibile piano "Marshall" sulla giustizia, penale e civile.
Il Ministro leghista riconsegnò al Paese più di nove milioni di cause pendenti, più della metà delle quali penali, tempi per i processi che mediamente si attestavano in 100 mesi, fra il delitto e l’appello; l’80% dei reati denunciati che rimanevano senza responsabilità accertate.
Il numero delle persone prese in carico dal sistema penale, prima dell’indulto, è cresciuto di sei volte: dai 35.000 del 1990 ai circa 200.000 del luglio 2006 (62.000 detenuti, 57.000 in misure alternative al carcere, 80.000 condannati in attesa del provvedimento esecutivo).
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti assolutamente risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione; al luglio 2006 il costo medio del detenuto era di circa 130 euro al giorno, di cui, più o meno, solo 15 euro spesi per "garantire" l’assolvimento del mandato che la Costituzione affida alla pena, la rieducazione.
La situazione, al netto degli effetti deflativi che il provvedimento di indulto ha comunque offerto al sistema carcerario, è rimasta la stessa, anzi, per ciò che attiene l’arretrato giudiziario, il provvedimento di indulto ha ingolfato ancora di più il sistema.
E allora che fare? Semplicemente applicare il programma dell’Unione sulla Giustizia e sulle carceri: riformare il codice penale - la Commissione "Pisapia" ha terminato i suoi lavori. A quando la formale presentazione dell’ipotesi di riforma e l’assunzione del necessario ddl da parte del Governo?; cancellare le cd. leggi vergogna del Governo Berlusconi visto che sono ancora intonse le leggi sulla recidiva (ex Cirielli), quella sull’immigrazione (Bossi-Fini), e quella sulle droghe (Fini-Giovanardi). La cosa inconcepibile è che non sembra enormemente complesso comprendere come queste leggi concorrano in maniera determinante al progressivo aumento della popolazione detenuta, caratterizzandola, sempre più, per la sua marginalità sociale; introdurre sanzioni penali diverse dal carcere per i reati di lieve entità e di minor allarme sociale; ricapitalizzare il sistema carcerario adeguandolo agli standard definiti dal regolamento penitenziario del 2000, mai applicato; valorizzare le professionalità penitenziarie evidenziando sempre più le caratteristiche sociali dell’intervento penale, in termini di reinserimento e rieducazione.
Un piano di interventi, quindi, già definito, concordato ed accessibile al Governo. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella che il pacchetto sicurezza cd "Amato" prefigura. Le carceri sono già piene di immigrati, di tossicodipendenti, di microcriminali ai quali la Ex Cirelli ha negato qualsiasi possibilità di riscatto. Vogliamo aggiungere a queste fasce di emarginazione sociale le nuove emergenze dei lavavetri, dei posteggiatori abusivi e dei venditori ambulanti? Possiamo continuare a sacrificare un’avanzata idea di legalità e sicurezza in nome di un artato e strumentale bisogno di semplice decoro sociale o urbano?
L’alternativa che Governo e Parlamento hanno davanti è quella, da un lato, di recuperare un analisi realistica e onesta dei problemi della sicurezza e ad essa far corrispondere una organica azione di riforma legislativa, giuridica ed amministrativa (il Programma dell’unione, appunto), oppure continuare nell’autolesionistico rincorrere le campagne di opinione, in un vortice che alimenta reciprocamente allarmi, paure e invocazioni repressive verso il quale nessuna scelta di Governo o intervento della responsabilità pubblica potrà mai risultare soddisfacente, diventare capace di sedare un ansia indotta da poderose domande di identità, da profondi spaesamenti, da anomie legate alla crisi della società globalizzata
di Mauro Beschi e Frabrizio Rossetti (F.P.-Cgil)
19 ottobre 2007
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto, l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella del pacchetto sicurezza "Amato" prefigura.
"Il numero dei detenuti cresce mediamente di mille unità al mese, per cui tra un anno e mezzo, se non accadrà qualche fatto nuovo torneremo alla situazione di prima dell’indulto"; a queste semplici dichiarazioni del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Dr. Ferrara occorre saper dare un’immediata risposta.
Risposta che non può ovviamente essere quella che il Guardasigilli si è affrettato a dare, la tesi per la quale senza "l’applicazione di quel provvedimento ci troveremo a quota 78 mila, quindi in una situazione devastante" per un sistema carcerario che non regge più.
Non che non sia giusto ricordare al Paese, alla Politica, al Parlamento la gravissima situazione in cui versavano le nostre carceri dopo la disastrosa gestione Castelli, ma è proprio da quella esperienza che bisogna saper uscire con un vero, organico, credibile piano "Marshall" sulla giustizia, penale e civile.
Il Ministro leghista riconsegnò al Paese più di nove milioni di cause pendenti, più della metà delle quali penali, tempi per i processi che mediamente si attestavano in 100 mesi, fra il delitto e l’appello; l’80% dei reati denunciati che rimanevano senza responsabilità accertate.
Il numero delle persone prese in carico dal sistema penale, prima dell’indulto, è cresciuto di sei volte: dai 35.000 del 1990 ai circa 200.000 del luglio 2006 (62.000 detenuti, 57.000 in misure alternative al carcere, 80.000 condannati in attesa del provvedimento esecutivo).
Le carceri sono indebitate per circa 200 milioni di euro con costi enormi di gestione ed investimenti assolutamente risibili per le attività di osservazione, trattamento e risocializzazione; al luglio 2006 il costo medio del detenuto era di circa 130 euro al giorno, di cui, più o meno, solo 15 euro spesi per "garantire" l’assolvimento del mandato che la Costituzione affida alla pena, la rieducazione.
La situazione, al netto degli effetti deflativi che il provvedimento di indulto ha comunque offerto al sistema carcerario, è rimasta la stessa, anzi, per ciò che attiene l’arretrato giudiziario, il provvedimento di indulto ha ingolfato ancora di più il sistema.
E allora che fare? Semplicemente applicare il programma dell’Unione sulla Giustizia e sulle carceri: riformare il codice penale - la Commissione "Pisapia" ha terminato i suoi lavori. A quando la formale presentazione dell’ipotesi di riforma e l’assunzione del necessario ddl da parte del Governo?; cancellare le cd. leggi vergogna del Governo Berlusconi visto che sono ancora intonse le leggi sulla recidiva (ex Cirielli), quella sull’immigrazione (Bossi-Fini), e quella sulle droghe (Fini-Giovanardi). La cosa inconcepibile è che non sembra enormemente complesso comprendere come queste leggi concorrano in maniera determinante al progressivo aumento della popolazione detenuta, caratterizzandola, sempre più, per la sua marginalità sociale; introdurre sanzioni penali diverse dal carcere per i reati di lieve entità e di minor allarme sociale; ricapitalizzare il sistema carcerario adeguandolo agli standard definiti dal regolamento penitenziario del 2000, mai applicato; valorizzare le professionalità penitenziarie evidenziando sempre più le caratteristiche sociali dell’intervento penale, in termini di reinserimento e rieducazione.
Un piano di interventi, quindi, già definito, concordato ed accessibile al Governo. Perché fra un anno non si renda definitivamente vano il ricorso all’indulto l’unica strada è quella definita nel programma, non certamente quella che il pacchetto sicurezza cd "Amato" prefigura. Le carceri sono già piene di immigrati, di tossicodipendenti, di microcriminali ai quali la Ex Cirelli ha negato qualsiasi possibilità di riscatto. Vogliamo aggiungere a queste fasce di emarginazione sociale le nuove emergenze dei lavavetri, dei posteggiatori abusivi e dei venditori ambulanti? Possiamo continuare a sacrificare un’avanzata idea di legalità e sicurezza in nome di un artato e strumentale bisogno di semplice decoro sociale o urbano?
L’alternativa che Governo e Parlamento hanno davanti è quella, da un lato, di recuperare un analisi realistica e onesta dei problemi della sicurezza e ad essa far corrispondere una organica azione di riforma legislativa, giuridica ed amministrativa (il Programma dell’unione, appunto), oppure continuare nell’autolesionistico rincorrere le campagne di opinione, in un vortice che alimenta reciprocamente allarmi, paure e invocazioni repressive verso il quale nessuna scelta di Governo o intervento della responsabilità pubblica potrà mai risultare soddisfacente, diventare capace di sedare un ansia indotta da poderose domande di identità, da profondi spaesamenti, da anomie legate alla crisi della società globalizzata
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