Social news
Gennaio 2008
Il ruolo di chi in prigione lavora. Dimenticati dietro le grate
La sensazione sempre più ricorrente per molti direttori di penitenziario è che il carcere rappresenti, ormai, il burka istituzionale della Legge penale e del suo ordinamento. Sembra che ci si sia scordati che oltre le sbarre e le mura delle galere vive e si muove un’umanità che non è costituita soltanto da detenuti, ma anche da operatori penitenziari
Eccomi qua, a parlare di carcere e di sicurezza, così come chiestomi. Parole le mie “in libertà”, quale migliore contraddizione con il lavoro che faccio! Attraverso il “Social News”, sprucidamente riprendo quello che vado affermando da qualche tempo, provo a lanciare un grido di dolore e di speranza insieme. Profittando di questo osservatorio privilegiato destinato a chi creda, o perlomeno finga di credere ancora, nel sociale; l’assioma è il seguente: gli operatori penitenziari si sentono sempre più abbandonati a se stessi e la funzione penitenziaria viene sostanzialmente tradotta in attività “contenitiva”.
La sensazione per molti direttori penitenziari, sempre più ricorrente, è che il carcere rappresenti, oramai, il BURKA istituzionale della Legge penale e del suo ordinamento: sembra, infatti, che ci si sia dimenticati che dietro le grate e le mura delle prigioni vive e si muove un’umanità che non è costituita soltanto da detenuti, ma anche da operatori penitenziari, molti dei quali, allorquando fecero tale scelta professionale, la ritennero nobile, alta, apprezzata dalla società civile che da sempre, soprattutto in Italia, si bea nell’affermare che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e che il trattamento penitenziario deve essere rispettoso della dignità umana (art. 27, comma 3° della Costituzione…).Come per il BURKA delle donne Afgane, che ai tempi dei Talebani dovevano pagare il prezzo sociale e religioso della loro differenza di genere con gli uomini, barbuti e disinteressati ai libri che non fossero quelli della Parola, affinché la loro discrezione fosse tutelata, così le grate oggi assomigliano alle celate che dovrebbero difendere la persona umana, detenuta, dalla sua stessa responsabilità, mostrandosi tra l’altro persona “obbediente” verso chi rappresenti l’autorità…; in realtà il BURKA PENITENZIARIO, come quello al quale sono costrette molte donne dei paesi musulmani, serve per nascondere l’assoluta mancanza di sincero interesse sia verso i detenuti che verso quegli operatori penitenziari, i quali dovrebbero spendere le loro migliori risorse per fare rieducazione e sicurezza, sicurezza duratura. Pensate che lo stato delle carceri è così povero di risorse che, recentemente, sono stato costretto a partecipare a dibattiti e conviviali, l’ultimo quello di un Rotary della Provincia di Trieste, chiedendo in cambio, come “service”, il regalo di cessi, non in senso figurato, ma veri e propri, quelli di ceramica, in quanto non abbiamo fondi ricorrenti e sufficienti per acquistarne dei nuovi in sostituzione di quelli che vengono demoliti e danneggiati da detenuti che hanno crisi psichiatriche, o che protestano contro tutti e tutto demolendo le loro celle per mostrare quanta rabbia abbiano in corpo.
Come segretario nazionale del SIDIPE-CISL, sindacato maggiormente rappresentativo dei direttori penitenziari, raccolgo le lamentele arrabbiate dei colleghi di mezz’Italia che denunciano l’assoluta insufficienza delle risorse umane e materiali messe a disposizione; nel primo caso mi riferisco agli educatori, agli psicologi, agli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria. In certe ore della giornata, non ci crederete, le carceri sono desolatamente vuote, deserte di personale penitenziario…Le ragioni sono tante, non ultime quelle di una, per me, cattiva e non comprensibile distribuzione delle risorse umane…, farò degli esempi. Trovo personalmente scandaloso che vengano distratte risorse umane di polizia penitenziaria perché vengano impegnate nelle decine di bar aziendali presenti in molti istituti di pena, nelle numerose scuole di polizia penitenziaria. Questi ultimi sono dei veri inni all’inutilità, dal momento che poi non si provvede annualmente ad assumere altri agenti od operatori penitenziari e che anche l’attività di aggiornamento e formazione che viene svolta, appare residuale rispetto alla portata dell’apparato. Come un vecchio mio amico sacerdote, di quelli di “battaglia”, che aveva girato tutto il medioriente, amava dire: “queste strutture di formazione vuote di allievi ma piene di personale, in particolare di polizia ed amministrativo, anche educativo (che ci farà mai un educatore in una scuola di formazione del personale dove non ci sono detenuti???) sono come la mitra dei sommi sacerdoti, l’estensione del nulla…”.Considero, ad esempio, irragionevole che gli agenti di polizia vengano impegnati negli stabilimenti balneari dell’amministrazione penitenziaria mentre i detenuti sono abbandonati a sè stessi nelle carceri, con tutti i rischi che ne possono derivare. Trovo comico che invece di spendere risorse per mettere a norma le carceri, i posti di lavoro, fare la manutenzione ordinaria delle strutture penitenziarie, noi si vada a finanziare le unità della polizia penitenziaria a cavallo, partecipando a tornei ippici o altro; non mi interessa, come operatore penitenziario e ancor di più come direttore di un carcere, poter ammirare la plastica figura del cavaliere della polizia penitenziaria che si fregi di una coppa vinta ad una competizione equestre…Non mi interessano i tornei di calcio di promozione e le gare di vasca corta, alle quali partecipano tante unità di polizia penitenziaria che, comunque, fanno numero e consentono poi di affermare che il Corpo è ricco e numeroso di risorse umane. Nessun campione di atletica leggera potrà mai intervenire, all’interno di una cella sovraccarica di detenuti stipati in letti a castello, per salvare la vita ad un detenuto che tenti d’impiccarsi, o impedirà il tentativo di evasione di uno scaltro delinquente. Non saranno i ciclisti dei baschi azzurri a trasportare un detenuto da un carcere all’altro, da un tribunale all’altro.Potrei fare mille esempi, ma potrei spingermi a dire cose irripetibili. Mi limiterò pertanto a rientrare nei ranghi, ricordando che molti poliziotti penitenziari sono impegnati in compiti amministrativi presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: credo che neanche a Roma sappiano quanti sono. Se si ponesse il quesito ai SUPER DIRIGENTI, scommetto il mio stipendio di un mese (di più non posso…) che si avrebbero risposte diverse e numerose quanti gli interrogati.
Molti esterni che avessero la ventura di entrare nei santuari amministrativi dell’amministrazione penitenziaria non si accorgerebbero di questa presenza abnorme perché, come ho avuto modo di dire allo stesso capo del Dipartimento recentemente, questi agenti non indossano l’uniforme, bensì abiti borghesi… se vestissero l’uniforme gli uffici ministeriali sembrerebbero delle caserme sudamericane, tanta polizia è presente! Le lettere che mi pervengono dai colleghi confermano la mia triste convinzione che ormai vengono dettate norme che si percepiscono di facciata, sapendo bene che sono inapplicabili in quanto richiederebbero risorse umane e strumentali che non vengono contestualmente concesse. è cose se il marito di un tempo, dell’Italietta povera anche di emancipazione, ogni giorno ordinasse un pasto ricco alla moglie, precisando anche i sapori che vuole gustare, senza però lasciare sul comodino i “bori”, le banconote fruscianti, per fare la spesa. Le carceri dovrebbero essere viste da tutti i cittadini interessati, soprattutto di notte, quando più forte è il senso di inquietudine e di solitudine che prende sia i detenuti che gli operatori. In carcere non si dorme mai, di giorno infatti sono svegli i detenuti comuni, di notte lo sono quelli tossicodipendenti che implorano dosi ulteriori da cavallo di psicofarmaci, oppure quelli con problemi psichiatrici: bella idea, hanno chiuso i manicomi ma hanno ingolfato le carceri. Da qualche tempo indico il carcere come il mappamondo di ferro, dove le parallele e le meridiane sono fatte di grate, e dove la lingua parlata è l’esperanto penitenziario. Eppure qui dovrebbero lavorare i migliori specialisti del trattamento, educatori, psicologi, h. 24, dovrebbe essere costantemente alimentata ed incentivata la motivazione professionale: invece nulla, i pochi agenti devono inventarsi competenze che non hanno e quanti, come me, credevano che essere direttori di un istituto penitenziario fosse la migliore espressione di una cultura giuridica non pietosa ma mite, non muscolosa ma umana, che non perdona ma neanche maltratta, si sentono presi in giro, ingannati da un sistema che preferisce manganellare i cittadini inerti che protestano per le immondizie nei quartieri popolari napoletani e, nel contempo, tirare a lucido le zone belle della città dei potenti, protette da manipoli di poliziotti, semmai anche penitenziari.
Parole crude le mie? Pensate quello che volete ove non abbiate la voglia di verificare. La mia giornata, e quella dei miei collaboratori, infatti, non risulterà più leggera o pesante seppure quanto ho scritto non vi garbasse.
Enrico Sbriglia
segretario nazionale del si.di.pe.
(sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari)
Il ruolo di chi in prigione lavora. Dimenticati dietro le grate
La sensazione sempre più ricorrente per molti direttori di penitenziario è che il carcere rappresenti, ormai, il burka istituzionale della Legge penale e del suo ordinamento. Sembra che ci si sia scordati che oltre le sbarre e le mura delle galere vive e si muove un’umanità che non è costituita soltanto da detenuti, ma anche da operatori penitenziari
Eccomi qua, a parlare di carcere e di sicurezza, così come chiestomi. Parole le mie “in libertà”, quale migliore contraddizione con il lavoro che faccio! Attraverso il “Social News”, sprucidamente riprendo quello che vado affermando da qualche tempo, provo a lanciare un grido di dolore e di speranza insieme. Profittando di questo osservatorio privilegiato destinato a chi creda, o perlomeno finga di credere ancora, nel sociale; l’assioma è il seguente: gli operatori penitenziari si sentono sempre più abbandonati a se stessi e la funzione penitenziaria viene sostanzialmente tradotta in attività “contenitiva”.
La sensazione per molti direttori penitenziari, sempre più ricorrente, è che il carcere rappresenti, oramai, il BURKA istituzionale della Legge penale e del suo ordinamento: sembra, infatti, che ci si sia dimenticati che dietro le grate e le mura delle prigioni vive e si muove un’umanità che non è costituita soltanto da detenuti, ma anche da operatori penitenziari, molti dei quali, allorquando fecero tale scelta professionale, la ritennero nobile, alta, apprezzata dalla società civile che da sempre, soprattutto in Italia, si bea nell’affermare che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e che il trattamento penitenziario deve essere rispettoso della dignità umana (art. 27, comma 3° della Costituzione…).Come per il BURKA delle donne Afgane, che ai tempi dei Talebani dovevano pagare il prezzo sociale e religioso della loro differenza di genere con gli uomini, barbuti e disinteressati ai libri che non fossero quelli della Parola, affinché la loro discrezione fosse tutelata, così le grate oggi assomigliano alle celate che dovrebbero difendere la persona umana, detenuta, dalla sua stessa responsabilità, mostrandosi tra l’altro persona “obbediente” verso chi rappresenti l’autorità…; in realtà il BURKA PENITENZIARIO, come quello al quale sono costrette molte donne dei paesi musulmani, serve per nascondere l’assoluta mancanza di sincero interesse sia verso i detenuti che verso quegli operatori penitenziari, i quali dovrebbero spendere le loro migliori risorse per fare rieducazione e sicurezza, sicurezza duratura. Pensate che lo stato delle carceri è così povero di risorse che, recentemente, sono stato costretto a partecipare a dibattiti e conviviali, l’ultimo quello di un Rotary della Provincia di Trieste, chiedendo in cambio, come “service”, il regalo di cessi, non in senso figurato, ma veri e propri, quelli di ceramica, in quanto non abbiamo fondi ricorrenti e sufficienti per acquistarne dei nuovi in sostituzione di quelli che vengono demoliti e danneggiati da detenuti che hanno crisi psichiatriche, o che protestano contro tutti e tutto demolendo le loro celle per mostrare quanta rabbia abbiano in corpo.
Come segretario nazionale del SIDIPE-CISL, sindacato maggiormente rappresentativo dei direttori penitenziari, raccolgo le lamentele arrabbiate dei colleghi di mezz’Italia che denunciano l’assoluta insufficienza delle risorse umane e materiali messe a disposizione; nel primo caso mi riferisco agli educatori, agli psicologi, agli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria. In certe ore della giornata, non ci crederete, le carceri sono desolatamente vuote, deserte di personale penitenziario…Le ragioni sono tante, non ultime quelle di una, per me, cattiva e non comprensibile distribuzione delle risorse umane…, farò degli esempi. Trovo personalmente scandaloso che vengano distratte risorse umane di polizia penitenziaria perché vengano impegnate nelle decine di bar aziendali presenti in molti istituti di pena, nelle numerose scuole di polizia penitenziaria. Questi ultimi sono dei veri inni all’inutilità, dal momento che poi non si provvede annualmente ad assumere altri agenti od operatori penitenziari e che anche l’attività di aggiornamento e formazione che viene svolta, appare residuale rispetto alla portata dell’apparato. Come un vecchio mio amico sacerdote, di quelli di “battaglia”, che aveva girato tutto il medioriente, amava dire: “queste strutture di formazione vuote di allievi ma piene di personale, in particolare di polizia ed amministrativo, anche educativo (che ci farà mai un educatore in una scuola di formazione del personale dove non ci sono detenuti???) sono come la mitra dei sommi sacerdoti, l’estensione del nulla…”.Considero, ad esempio, irragionevole che gli agenti di polizia vengano impegnati negli stabilimenti balneari dell’amministrazione penitenziaria mentre i detenuti sono abbandonati a sè stessi nelle carceri, con tutti i rischi che ne possono derivare. Trovo comico che invece di spendere risorse per mettere a norma le carceri, i posti di lavoro, fare la manutenzione ordinaria delle strutture penitenziarie, noi si vada a finanziare le unità della polizia penitenziaria a cavallo, partecipando a tornei ippici o altro; non mi interessa, come operatore penitenziario e ancor di più come direttore di un carcere, poter ammirare la plastica figura del cavaliere della polizia penitenziaria che si fregi di una coppa vinta ad una competizione equestre…Non mi interessano i tornei di calcio di promozione e le gare di vasca corta, alle quali partecipano tante unità di polizia penitenziaria che, comunque, fanno numero e consentono poi di affermare che il Corpo è ricco e numeroso di risorse umane. Nessun campione di atletica leggera potrà mai intervenire, all’interno di una cella sovraccarica di detenuti stipati in letti a castello, per salvare la vita ad un detenuto che tenti d’impiccarsi, o impedirà il tentativo di evasione di uno scaltro delinquente. Non saranno i ciclisti dei baschi azzurri a trasportare un detenuto da un carcere all’altro, da un tribunale all’altro.Potrei fare mille esempi, ma potrei spingermi a dire cose irripetibili. Mi limiterò pertanto a rientrare nei ranghi, ricordando che molti poliziotti penitenziari sono impegnati in compiti amministrativi presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: credo che neanche a Roma sappiano quanti sono. Se si ponesse il quesito ai SUPER DIRIGENTI, scommetto il mio stipendio di un mese (di più non posso…) che si avrebbero risposte diverse e numerose quanti gli interrogati.
Molti esterni che avessero la ventura di entrare nei santuari amministrativi dell’amministrazione penitenziaria non si accorgerebbero di questa presenza abnorme perché, come ho avuto modo di dire allo stesso capo del Dipartimento recentemente, questi agenti non indossano l’uniforme, bensì abiti borghesi… se vestissero l’uniforme gli uffici ministeriali sembrerebbero delle caserme sudamericane, tanta polizia è presente! Le lettere che mi pervengono dai colleghi confermano la mia triste convinzione che ormai vengono dettate norme che si percepiscono di facciata, sapendo bene che sono inapplicabili in quanto richiederebbero risorse umane e strumentali che non vengono contestualmente concesse. è cose se il marito di un tempo, dell’Italietta povera anche di emancipazione, ogni giorno ordinasse un pasto ricco alla moglie, precisando anche i sapori che vuole gustare, senza però lasciare sul comodino i “bori”, le banconote fruscianti, per fare la spesa. Le carceri dovrebbero essere viste da tutti i cittadini interessati, soprattutto di notte, quando più forte è il senso di inquietudine e di solitudine che prende sia i detenuti che gli operatori. In carcere non si dorme mai, di giorno infatti sono svegli i detenuti comuni, di notte lo sono quelli tossicodipendenti che implorano dosi ulteriori da cavallo di psicofarmaci, oppure quelli con problemi psichiatrici: bella idea, hanno chiuso i manicomi ma hanno ingolfato le carceri. Da qualche tempo indico il carcere come il mappamondo di ferro, dove le parallele e le meridiane sono fatte di grate, e dove la lingua parlata è l’esperanto penitenziario. Eppure qui dovrebbero lavorare i migliori specialisti del trattamento, educatori, psicologi, h. 24, dovrebbe essere costantemente alimentata ed incentivata la motivazione professionale: invece nulla, i pochi agenti devono inventarsi competenze che non hanno e quanti, come me, credevano che essere direttori di un istituto penitenziario fosse la migliore espressione di una cultura giuridica non pietosa ma mite, non muscolosa ma umana, che non perdona ma neanche maltratta, si sentono presi in giro, ingannati da un sistema che preferisce manganellare i cittadini inerti che protestano per le immondizie nei quartieri popolari napoletani e, nel contempo, tirare a lucido le zone belle della città dei potenti, protette da manipoli di poliziotti, semmai anche penitenziari.
Parole crude le mie? Pensate quello che volete ove non abbiate la voglia di verificare. La mia giornata, e quella dei miei collaboratori, infatti, non risulterà più leggera o pesante seppure quanto ho scritto non vi garbasse.
Enrico Sbriglia
segretario nazionale del si.di.pe.
(sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari)
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