L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 26 marzo 2008

Giustizia/Carcere- Programmi elettorali e disinformazione sul carcere


di Giancarlo Trovato- Rinascita, 26 marzo 2008

Riempire le carceri è la maggiore aspirazione dei diversi contendenti elettorali, i quali assicurano di riuscire a sistemare tutti i problemi della giustizia con questa comune soluzione. In effetti, in comune ci sono soprattutto una. profonda disinformazione ed una colpévole incompetenza. Avendo compreso che la paura dei cittadini, intimamente collegata al problema della sicurezza, ha un grande impatto mediatico e un buon tornaconto elettorale, si dà ampio rilievo al tema "giustizia e sicurezza" invocando sbrigativamente e superficialmente - come unica soluzione e sicura panacea - la certezza della pena, la quale è appunto confusa con il riempire le carceri.
A parte far osservare che la sicurézza sociale è raggiunta non quando non si fa Uscire nessuno, dal carcere, ma quando si riesce a non farci entrare nessuno, è opportuno far osservare che le carceri sono già piene, anzi stracolme, sin dal 31 dicembre scorso. A tale data, infatti, su ima capienza regolamentare di 42.213 posti i detenuti erano 49.442.
Di questi ben 30.853 privi di condanna definitiva e, pertanto, "presunti innocenti" in espiazione dell’anticipazione, di una pena, priva della certezza di essere inflitta. Esiste, pertanto, la reale necessità di un serio impegno per assicurare la certezza della sentenza e, intimamente collegata, la certezza dell’effetto rieducativo della pena.
La prima eviterebbe la detenzione di numerosi innocenti e lo spreco di soldi dello Stato per ripagare i medesimi per il periodo ingiustamente trascorso in carcere.
La seconda garantirebbe la tutela della collettività esterna, poiché ogni individuo recuperato alla società civile è un delinquente in meno in giro per le strade del Paese.
Il carcere attualmente mantiene esclusivamente la funzione afflittiva e non è in grado di offrire un’adeguata occupazione lavorativa e/o formativa al suo interno. Tantomeno un reinserimento, una volta scontata la, pena. Da tempo è stato dimenticato che l’interesse di tutèla della collettività esterna dovrebbe passare attraverso tale istituzione, che è un tremendo ed assurdo passivo per lo Stato a causa dell’essere unicamente un deposito d’esseri umani, ricchi d’ozio nell’attesa dello scorrere degli anni della pena.
Anche se solo nell’ottica meramente afflittiva, al lavoro per i detenuti ci ha pensato Gianfranco Fini: "Molte volte chi delinque non ha paura del carcere, ma ha paura di essere condannato a lavorare. La mia proposta è quella di condannarli a lavorare tanti giorni e tante ore finché non hanno pagato il debito con lo Stato".
Un’ulteriore prova di disinformazione e d’incompetenza: gli è sfuggito che proprio questo è quanto reclama da anni la maggioranza dei detenuti, anche se con minor astio e senza cattiveria, ma con maggior realismo. Se è utile reperire un lavoro in libertà, maggiormente lo diventa in carcere" ove non esistono né industrie né aziende. Nel 1991 i detenuti che lavoravano erano il 34%. Oggi non si raggiunge il 25%.
Colpa del sovraffollamento e dei posti di lavoro che sono sempre gli stessi, nonostante il numero dei detenuti sia in continuo aumento. Colpa del mondo del lavoro che ha paura di entrare in carcere e, quando c’entra, lo fa esclusivamente per un proprio tornaconto personale, cercando solo di incamerare i contributi pubblici, senza costruire nulla di utile.
Non bisogna nemmeno dimenticare che molti si trovano in carcere, proprio perché la società non ha permesso loro di svolgere un’attività lavorativa o li ha cacciati in mezzo ad una strada. Tra le tante minacce e promesse elettorali in tema di giustizia e sicurezza, compresa quell’assurda di costruire nuove carceri (e il personale?., e i soldi?), al momento va dunque salvata solo quella di Fini, anche se semplicemente come punto di partenza per giungere a garantire alla gran maggioranza dei detenuti un lavoro, gratificato da eque retribuzioni, in modo tale da pagare il mantenimento in carcere, risarcire le parti offese e pure inviare qualche soldo alla famiglia.