L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 12 settembre 2008

BlogHistory- Serpenti di mare e braccialetti elettronici

SUCCEDEVA CIRCA 9 ANNI FA

rivista anarchica
anno 29 n.257
ottobre 1999

di Carlo Oliva

A proposito di criminali in libertà, ruolo del carcere, ottusità repressiva.

Illustrazione di Natale Galli

Una volta, tanto tempo fa, l'estate, dal punto di vista giornalistico (oggi, probabilmente, si direbbe "mediatico") era la stagione dei serpenti di mare. Come a dire che, in mancanza di notizie pubblicabili di qualche interesse, visto che tutti, ma proprio tutti, erano in vacanza, compresi i politici, i campioni sportivi, le dive del cinema e gli altri soggetti istituzionalmente delegati alla fornitura di notizie che i cittadini potesse considerare interessanti, quei pochi operatori dell'informazione che in vacanza non erano dovevano darsi da fare per riempire in qualche modo le pagine loro affidate e provvedevano alla bisogna ripescando dagli appositi archivi, o inventando di sana pianta, la cronaca di eventi improbabili, ma suggestivi, che si pensava potessero fare quanto più possibile colpo su un pubblico di lettori distratti dal fatto di essere anch'essi, naturalmente, in vacanza.
Di queste fantacronache (chiamiamole così), che noi lettori di una certa età ricordiamo ancor oggi con sommessa nostalgia, la più classica riguardava - appunto - l'avvistamento del leggendario serpente di mare: una belva ubiquitaria e vagabonda se mai ve ne fu una, che poteva, a seconda dei casi, apparire nelle vicinanze dei Faraglioni di Capri, gettando lo sgomento nei fortunati che in quell'incantevole angolo del Tirreno si dedicavano, tra l'altro, ai bagni di mare, o emergere inaspettato di fronte alla prua di un mercantile norvegese in rotta verso il porto di Vladivostok. Nessuno, per quel che mi risulta, riuscì mai a catturarne o semplicemente a fotografarne uno, ma visto che negli abissi marini non si lamenta certo la mancanza di esseri serpentiformi, siano anguille, murene, lamprede o altro, l'ipotesi che se ne potesse incontrare uno abbastanza grande da farsi notare nelle varie circostanze di volta in volta ipotizzate era, tutto sommato, abbastanza ragionevole e tanto bastava, evidentemente, per soddisfare l'etica professionale di chi quelle circostanze era chiamato a descrivere.
Oggi - si sa - le vacanze sono un fatto di massa, anche se sembra che il fenomeno si stia attenuando rispetto ai fasti di qualche anno fa. Ma a livello di massa, naturalmente, sono assurti anche i mezzi d'informazione. Col risultato che l'inevitabile interazione tra informazione di massa e vacanze di massa ha finito con il produrre un curioso (e alquanto molesto) "effetto specchio", nel senso che solo di vacanze, in periodo di vacanza, si reputa di dovere o potere parlare.
È per questo, suppongo, che giornali, riviste e televisione in estate dedicano una quantità spropositata di spazio alla descrizione di come se la spassino, al mare, ai monti o all'estero, i vari VIP e quando arriva l'agosto eleggono ad argomento principe, per tutti i primi quindici giorni del mese, la descrizione dell'affluenza dei cittadini nelle località di villeggiatura, mentre negli ultimi quindici riservano le loro energie al compito di dar conto nei minimi particolari del progressivo ritorno dei medesimi nelle città di residenza (agosto - si sa - ha trentun giorni, ma il sedici, per fortuna, i giornali non escono).
Il guaio è che, a quanto pare, col crescere quantitativo dell'informazione non migliora il suo aspetto qualitativo, né si rafforza il senso della responsabilità etica degli operatori addetti. E così ogni tanto ci capita di ritrovarci di fronte, un po' increduli, a quei fantastici figli degli abissi. Ma non si tratta, ahimè, dei cari, vecchi serpenti di una volta, creature fantastiche e inquietanti, ma generalmente innocue, incapaci, pur nella terribilità del loro aspetto supposto, di recar danno ad alcuno. I serpenti di mare che si incontrano di questi tempi sui mezzi d'informazione sono bestiacce velenose, che dove piantano i denti lasciano segni indelebili. Sono entità malvagie, nate da connubi inconfessabili e dotate della capacità di autopropagazione tipica di ogni mala erba: capaci - quindi - di recare alla società in mezzo alla quale vengono irresponsabilmente sguinzagliati i mali peggiori.

Pericoloso irresponsabile

Anche in quest'ultima estate il nostro sistema informativo (tutto il nostro sistema informativo, con le solite due o tre eccezioni istituzionali, che mai più che in questa occasione hanno dato l'impressione di esistere al solo scopo di confermare la regola), ci ha ammannito il suo bravo serpente di mare.
Giornalisti e commentatori di tutti i colori e di tutte le sfumature ideologiche, generalizzando indebitamente un paio di dolorosi episodi, ci hanno spiegato che sulle nostre teste incombe un nuovo pericolo: la furia criminale di quanti, pur condannati per qualche reato più o meno grave, non si trovano, per un motivo o per l'altro, dietro le sbarre. Tutti i condannati ancora in attesa di un giudizio definitivo, tutti i (pochi) beneficiari di una delle non molte possibilità di espiazione alternativa della pena previste da una legislazione carceraria tutt'altro che liberale come la nostra, con particolare riguardo a quelli che godono del beneficio degli arresti domiciliari, sono stati dipinti come altrettanti pericoli pubblici, pronti a rapinare, assalire e uccidere i cittadini innocenti. Quando i controlli prontamente messi in atto hanno rivelato che la maggior parte degli ammessi agli arresti domiciliari si trovavano, come prevedibile, al proprio domicilio, si è deciso di enfatizzare la percentuale dei pochissimi che a domicilio invece non erano stati trovati (avessero o non avessero approfittato dell'assenza per commettere altri reati). Episodi criminali che trovavano la loro evidentissima origine nella degradazione di periferie urbane sconvolte dalla ristrutturazione selvaggia dell'economia sono stati interpretati come effetto dell'asserita permissività del sistema penitenziario.

Erronea convinzione

Osservazioni assolutamente ovvie, come quella per cui la maggior parte dei malavitosi in attività qualche esperienza di carcere l'ha subita (un'osservazione che, se mai, dovrebbe far sorgere qualche dubbio sulle capacità rieducative dell'educazione carceraria, e spingere a cercare un qualche modo con cui sostituirla) sono state presentate come spaventose scoperte. E visto che il fatto che chi esce di galera ha una certa tendenza a continuare a delinquere non veniva letto come una prova dell'essenziale inutilità della galera stessa, ma come conferma del principio per cui chi ci finisce non dovrebbe uscirne più e buonanotte, ministri e magistrati, sempre pronti a cavalcare le ondate di spirito forcaiolo che periodicamente si scatenano nel nostro paese, si sono messi a parlare della necessità di sbattere quanta più gente possibile dietro le sbarre e - soprattutto - di tenercela.
A chi cercava di far notare come chi è in attesa di giudizio definitivo debba essere libero, in quanto presunto innocente a norma di legge, è stato risposto che allora bisognava cambiare la legge che lo presume tale. Chi ha provato a difendere le timide aperture della legge Gozzini e della legge Simone è stato presentato come un pericoloso irresponsabile.
Il frastuono, a quanto pare, si è spento con gli acquazzoni di agosto. Ma il veleno è rimasto in circolazione: da questa estate in poi saranno in molti, moltissimi gli italiani a vivere nella convinzione, erronea ma incrollabile, di vivere in un paese permissivo, in cui la condanna al carcere è poco più che una formalità. E ad appoggiare, quindi, quelle forze e quelle figure politiche pronte a promettere e realizzare nuovi giri di vite, che, con il crescere della brutalità repressiva, innescheranno nuovi sviluppi criminali, in un circolo vizioso da cui tutti non avremo che da perdere.

Carlo Oliva

Poscritto. È probabile che per gli estimatori e i raccoglitori di bizzarrie ideologiche, il simbolo di questa campagna di estate sarà - in futuro - il braccialetto elettronico: il prodigioso dispositivo che, inestricabilmente applicato al polso o alla caviglia del condannato in circolazione extracarceraria, avrebbe dovuto permetterne in ogni momento la localizzazione immediata e scoraggiarne, quindi, ogni velleità di fuga, moderno sostituto dell'uniforme a strisce e della palla al piede con cui i carcerati sono soliti apparire nelle vignette umoristiche. Anche di questo straordinario manufatto, che prima che nella cronaca estiva aveva fatto la sua comparsa nella letteratura di fantascienza, sembra si siano perse le tracce.
Difficoltà tecniche e problemi di costo - a quanto pare - ne hanno sconsigliato, per ora, la messa in opera. Ma forse, a ben vedere, del braccialetto elettronico non c'è mai stato bisogno. Basta osservare con quanto zelo i nostri concittadini, oggi, portino con sé, di propria iniziativa, i loro identificatori elettronici; come si sentano nudi se sprovvisti del prezioso telefonino grazie al quale, con soddisfazione reciproca, chiunque potrà raggiungerli in ogni momento, senza prendersi il fastidio di imporgli alcun meccanismo coatto. Chissà se al ministro Jervolino, al procuratore Ambrosio e a quanti altri si sono preoccupati della possibilità di individuare e raggiungere i malfattori in trasferta, qualcuno ha avuto l'idea di suggerire che basterebbe regalare a chiunque subisca una condanna in primo grado il più aggiornato modello di telefono cellulare. Come chiunque altro, i criminali non avrebbero mai il coraggio di spegnerlo.