L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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giovedì 11 settembre 2008

Giustizia: Api; carceri costruite da privati, per lavoro detenuti

di Emilio Alfano (Presidente Associazione Piccole Medie Industrie)

Comunicato stampa, 11 settembre 2008

Tra otto mesi il numero dei detenuti in Italia supererà quota 63.000 (oggi ne sono 55.369), il tetto che, nel maggio del 2006, portò il governo Prodi ad imboccare la via dell’indulto. Per scongiurare il pericolo di un provvedimento che oggi sarebbe improponibile, il ministro della Giustizia, On. Angelino Alfano, ha annunciato i provvedimenti contenuti nel suo "pacchetto carceri": rimandare nei paesi di origine quelli condannati per reati lievi; il braccialetto elettronico; sanzioni sostitutive per reati sotto una certa pena.

Per il momento, dunque, il guardasigilli lascia intendere che non si costruiranno nuovi penitenziari, perché una verifica con il ministro dell’Economia Tremonti ha confermato che la "cassa" della giustizia è vuota. In una lettera indirizzata al Ministro della Giustizia, il presidente dell’Api Napoli, Emilio Alfano, illustra la sua proposta per contribuire a ridurre il problema del sovraffollamento delle carceri, prendendo spunto dall’esperienza fatta da un imprenditore italiano in Africa e con vantaggi equamente distribuiti fra tutti i soggetti coinvolti: imprese, detenuti, Stato.

"Già nell’ottobre dello scorso anno, a distanza di circa un anno dall’indulto, ci si pose il problema del sovraffollamento delle carceri - ha dichiarato Emilio Alfano - Il numero dei detenuti cresceva mediamente di mille unità al mese e molti di essi erano recidivi. Ora siamo bel al di là delle previsioni. Adesso il problema è reale. Gli interventi proposti dal ministro Alfano per impedire che si arrivi ad un nuovo indulto sono condivisibili, ma non credo sia giusto escludere l’ipotesi di costruire nuove carceri, visti i tempi lunghi che ci vogliono ed un impegno economico cui, per il momento, il Governo non è in grado di far fronte.

Come Api abbiamo sottoposto al ministro una proposta avanzata già qualche tempo fa e che ora rilanciamo, di far lavorare i detenuti dentro al carcere, con stabilimenti a fianco alle strutture carcerarie, e di coinvolgere i privati, attraverso il project financing, nella realizzazione di nuovi penitenziari". Di seguito il testo della lettera inviata ieri, mercoledì 10 settembre, da Emilio Alfano, presidente Api Napoli, al ministro della Giustizia, On. Angelino Alfano.

Egregio Ministro, nell’ottobre dello scorso anno Ettore Ferrara, il magistrato capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel corso di una conferenza stampa alla presenza dell’allora guardasigilli, Clemente Mastella, lanciava questo allarme: "il numero dei detenuti cresce mediamente di mille unità al mese, per cui tra un anno e mezzo, in assenza di qualche fatto nuovo e senza interventi strutturali, la situazione sarà identica a quella di fine luglio 2006, quando le porte dei penitenziari si sono aperte per 26 mila detenuti e per altre decine di migliaia di condannati che scontano la pena agli arresti domiciliari o in affidamento in prova ai servizi sociali."

Oltre a ciò, dopo i tanti fatti di cronaca di quei mesi, molti dei quali ebbero come protagonisti proprio coloro che avevano fruito del beneficio, ad un anno di distanza dall’indulto la presenza dei recidivi in carcere era pari al 42 per cento del totale. In quella occasione, la nostra Associazione lanciò una proposta nuova, che però non ebbe alcun seguito da parte dei diretti interessati, senza che nel frattempo venisse messo in atto alcun tipo di intervento.

Un’inerzia inaccettabile, che ci ha riportato alla condizione pre-indulto ed ha fatto sì che, a distanza di due anni dal provvedimento, si ricominci ora a parlare del sovraffollamento delle carceri, della necessità di costruirne nuove, con la previsione di tempi assai lunghi e un impegno economico cui, per il momento, i ministeri competenti, quello delle Infrastrutture e della Giustizia, non sono in grado di far fronte.

Il problema in questione, in merito al quale Lei stesso ha in programma una serie di utili provvedimenti, aveva bisogno, al contrario, di interventi capaci di giungere ad una risoluzione stabile e di iniziative dentro a un piano organico. Noi proviamo a sottoporre alla Sua attenzione quella già avanzata sul finire dello scorso anno. Se ci sono persone che commettono continuamente reati vuol dire che non possono integrarsi nella nostra società.

E che devono quindi stare in galera. Una strada percorribile è quella di far lavorare i detenuti dentro al carcere. Costruendo stabilimenti a fianco alle strutture carcerarie. L’idea non è del tutto nuova, poiché ricalca un’esperienza fatta da un imprenditore italiano mio amico, il quale ha comprato in un Paese africano un grande complesso alberghiero che necessitava di lavori di completamento e decorazione. Ha coinvolto la Caritas e le carceri locali.

E tutti i lavori, dopo un’apposita formazione sulle modalità di usare il legno, sono stati realizzati dai detenuti. Avviare anche nel nostro Paese un’iniziativa pilota come questa significherebbe guardare al problema delle carceri in maniera innovativa, aprendo la strada ad un ventaglio di nuove possibilità, compresa quella di utilizzare anche in questo settore il project financing. Con un approfondimento e magari una nuova normativa, i privati potrebbero intervenire con fondi propri per costruire sia le carceri nuove, sia anche spazi per la produzione e lo svolgimento di attività lavorative da parte dei detenuti.

E per occuparsi della gestione, fatte salve le altre attività lasciate allo Stato. Da questo meccanismo, i vantaggi verrebbero equamente distribuiti tra le imprese, che potrebbero abbassare il costo del lavoro prolungando l’orario di lavoro, ad esempio da 8 a 10 ore, e beneficiare di una riduzione dei tributi; i detenuti, i quali potrebbero provvedere al sostentamento delle proprie famiglie; lo Stato, che potrebbe destinare parte dei proventi derivanti delle imposte pagate dagli stessi detenuti-lavoratori alla gestione ordinaria dei penitenziari.

Oltre a ciò, si ridurrebbero i problemi di sovraffollamento delle carceri, si restituirebbe dignità a chi sta in galera, attraverso un lavoro utile, si faciliterebbe il reinserimento sociale per quei soggetti che vorranno integrarsi nella società civile e non commettere, una volta fuori, altri reati. In linea anche con l’art. 27 della nostra Costituzione, in cui si legge "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".