L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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lunedì 15 settembre 2008

Giustizia: avanti tutta con la "sicurezza zero" a colpi di slogan

di Gianluca Di Feo

L’Espresso, 15 settembre 2008

Avanti tutta, a colpi di slogan. Il piano del ministro Angelino Alfano per espellere 3.300 detenuti stranieri? Ottimo. Ma ci vorranno parecchi anni: in tutto il 2007 ne sono stati espatriati solo 282, mentre nel primo semestre 2008 se ne contano 158. Il progetto del Guardasigilli per mandare ai domiciliari quattromila reclusi italiani con il braccialetto elettronico? Interessante. Peccato che si potrà concretizzare dopo il 2010: il governo Sarkozy, evocato come riferimento da Roberto Maroni, punta a metterne in funzione al massimo 2.500 l’anno. E in Francia hanno già completato i test su un apparecchio di ultima generazione, mentre noi dovremmo partire praticamente da zero. Intanto i penitenziari scoppiano, l’effetto dell’indulto è svanito da un pezzo ma esecutivo e legislatori continuano a navigare a vista, tra effetti speciali e operazioni-spot come quella dei soldati nelle strade. Presto sarà inevitabile ricominciare a discutere di un nuovo provvedimento per svuotare le celle, senza essersi nemmeno resi conto di quale sia stato l’effetto delle 25.813 scarcerazioni dell’estate 2006. E di quale sia il reale stato della sicurezza in Italia.

La statistica ignorata

Eppure oggi ci sono nel nostro paese almeno quattro pool di ricercatori universitari capaci di fornire indicazioni scientifiche: parametri oggettivi per orientare decisioni e investimenti. A Torino, a Sassari, a Napoli, in Lombardia gruppi di analisi studiano i problemi e le possibili risposte con strumenti importati dai paesi anglosassoni. Arrivando a conclusioni sorprendenti sui danni. Il punto di partenza è proprio l’ultimo indulto.

In estrema sintesi? Agli italiani è costato complessivamente tre miliardi di euro. I soli costi sociali per la sicurezza negata, ossia il picco di crimini successivo, sono di due miliardi. Peggio: la detenzione non ha nessun risultato rieducativo e ha anche perso l’ effetto deterrente: più stanno in cella, meno hanno paura di tornarci. Così tre progetti scientifici, condotti da economisti, arrivano all’identico desolante risultato: l’unica soluzione concreta è costruire più prigioni. Quello che stanno facendo, tanto per restare al modello evocato da Maroni, in Francia: 13.200 nuovi posti tra le sbarre.

La situazione appare drammatica. E pare destinata a peggiorare, con la demotivazione delle forze dell’ordine. I dati ufficiali del primo semestre 2008 illustrano un naufragio. Se si considerano gli stranieri, percepiti come i protagonisti dell’allarme sicurezza, le statistiche mostrano il fallimento dell’azione repressiva mentre non esistono iniziative di rieducazione. Dei 6.075 processati per direttissima, la metà è uscita dal carcere entro tre giorni: solo 835 sono rimasti in cella per un mese. Questo significa una sostanziale impunità, senza nessun risultato nel contrasto del crimine, né come deterrente, né come impedimento.

In più c’è la beffa per l’apparato statale. Ogni processo richiede un impegno di due agenti per 12-18 ore, quattro trasferimenti in auto, più le spese del giudizio e quelle della custodia pari a circa 100 euro al giorno. Anche se l’arresto è in flagranza, l’immigrato deve essere condotto nei centri della polizia scientifica - uno in ogni capoluogo di provincia, con inevitabile coda - per l’identificazione delle impronte digitali e poi riportato al commissariato dagli agenti che lo hanno fermato. La mattina dopo i due poliziotti devono anche testimoniare in Tribunale: per loro quell’arresto significa ore di straordinario che non incasseranno mai. Per la collettività quell’arresto è un costo diretto che supera i mille euro. E che viene vanificato in 72 ore. Così anche al più determinato degli investigatori passa la voglia. Non è un caso se, in molti quartieri, le volanti evitano iniziative 60 minuti prima della fine turno: mettere le manette significherebbe buttare via decine di ore e far spendere allo Stato, senza aumentare la sicurezza.

I dati ufficiali sui reclusi fotografano una dinamica impazzita. Limitandosi agli stranieri, da gennaio a giugno novemila sono finiti nelle prigioni: l’85 per cento c’è rimasto meno di sette giorni, un altro 12 per cento è uscito entro sei mesi. In pratica, la detenzione dura più di una settimana solo per chi è accusato di omicidio, rapina, traffico di grandi quantità di droga. Ma soltanto i presunti assassini vengono reclusi a lungo: per tutti gli altri il penitenziario diventa un master di perfezionamento criminale. Con un costo sociale mostruoso. Applicando a queste detenzioni rapide l’analisi dei professori Giovanni Mastrobuoni e Alessandro Barbarino del Collegio Carlo Alberto di Torino, L’espresso è arrivato a ipotizzare un costo sociale di 100 mila euro per ogni rilascio lampo.

Il modello americano

Mastrobuoni, che si è formato a Princeton, e Barbarino, che dopo gli studi a Chicago è entrato nello staff della Federal Reserve di Washington, sono i giovani economisti che hanno realizzato la ricerca più discussa. Il loro saggio sugli effetti dei duecento provvedimenti di clemenza dal 1865 a oggi è un trattato scientifico con conclusioni spietate. Nell’ultima revisione, pubblicata la scorsa settimana, formulano ‘una stima molto al ribasso dei costi sociali dell’indulto 2006: due miliardi di euro. "È molto al ribasso perché non abbiamo trovato indicatori sull’impatto di alcuni reati fondamentali come quelli legati alla droga", spiega Mastrobuoni. Per ogni detenuto rimesso sulla strada la collettività si è fatta carico in un anno di danni per 146 mila euro mentre tenerlo dentro ne sarebbe costati 46 mila. I due professori sostengono che la popolazione carceraria è sotto il livello necessario: in pratica, le condizioni italiane imporrebbero di tenere più delinquenti in galera. "Meglio quindi costruire più penitenziari", concludono. Un moto forcaiolo? Allo stesso risultato sono arrivati i loro colleghi di Napoli e Sassari: "Non è un attacco ai principi di libertà, ma solo prendere atto delle condizioni in cui ci troviamo", commenta il professore Riccardo Marselli. Il team torinese va oltre. E suggerisce di "ridurre l’impatto dei provvedimenti di clemenza con procedure selettive, non scarcerando chi potrebbe commettere reati più socialmente costosi". Che non sono, come si potrebbe pensare, le rapine in banca - ultime - ma le frodi e le falsificazioni, seguite da omicidi e furti d’auto.

Altri tre giovani studiosi si sono mossi per capire quanto l’indultone abbia influito sulla deterrenza. Francesco Drago della Parthenope di Napoli, Pietro Vertova della Bocconi e Roberto Galbiati, ora emigrato al Cnrs francese, hanno determinato una recidiva del 12 per cento nei primi mesi, salita ora al 33: un terzo dei rilasciati è tornato a delinquere. Ma soprattutto hanno dimostrato che chi rimane più a lungo in galera è anche chi la teme meno. È la morte della rieducazione, il compito assegnato al sistema penitenziario dalla Costituzione: oggi le prigioni servono solo a isolare i criminali.

Il prezzario del danno

Ci si aspetterebbe che commissioni parlamentari, ministri e sottosegretari facciano a gara per accaparrarsi studi e ricercatori del genere. Invece nulla. Il pool di economisti di Sassari che sta cercando di stimare il costo reale del crimine ha contatti internazionali, ma registra il disinteresse delle istituzioni. "Di fatto ci ignorano. Sono impegnati a inseguire l’emergenza mediatica del momento", ammette il professor Marco Vannini. "Non c’è interesse. Qualche parola di circostanza ma nessuno mostra la coerenza di cercare strategie. Noi possiamo delineare linee razionali, ma affidarsi ai luoghi comuni è più semplice", gli fa eco Marselli dell’ateneo Parthenope. Il suo discorso è semplice: la deterrenza si basa su tre pilastri (forze dell’ordine, magistratura, penitenziari). Come si fa ad intervenire solo su uno? Marselli porta avanti un’impresa titanica: valutare la produttività nel nostro sistema sicurezza. Un lavoro che integrerà la ricerca sassarese per definire un prezzario dei reati.

"Noi cerchiamo di quantificare tutti gli aspetti diretti e indiretti, inclusa la paura", illustra Vannini: "C’è il costo in previsione, spese per antifurto, protezione e l’incidenza del cambiamento delle abitudini. Poi c’è il danno: la razzia e le conseguenze sulla vittima. Infine, le spese in risposta al crimine: indagini, arresto, processo e detenzione". Una mappa rivoluzionaria, che include la distorsione dell’economia: quanti capitali, per esempio, fuggono a causa delle mafie. E cerca di dare forma alla massa di delitti non denunciati.

La ricerca durerà ancora cinque mesi. I primi risultati provvisori, mostrano la morsa del crimine sulla società italiana: 30 miliardi di euro. Sulla bilancia pesa la paura. Ogni rapina in banca frutta mediamente mille euro. Ma la somma degli investimenti in previsione (protezioni e vigilanza) e in conseguenza (indagini, processi, detenzioni) la trasforma in una perdita per la società di 300 mila euro. E ogni colpo nelle case con finestre antiscasso, porte blindate, sirene e tanta angoscia degli inquilini significa 16.400 euro bruciati. Quanto potremo andare avanti così? O forse c’è chi preferisce mantenere viva la paura per farne strumento di governo?