L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 20 novembre 2009

COMUNICATO sulla pdl “Catanoso"

E’ forse il caso di ricordare in premessa un principio elementare: che gli strumenti di cui si dota una qualsiasi organizzazione devono essere funzionali rispetto al fine che essa si propone.

Tradotto sul piano che a noi interessa, il fine istituzionale che la Costituzione e le norme che ne derivano pongono all’Amministrazione penitenziaria è quello dell’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, e poi chiariscono con quali strumenti tale fine vada perseguito.

Il complesso normativo quindi che nasce dal mai troppo ricordato art. 27 della Carta Costituzionale, e comprende la legge 354 del 1975, i DD.p.r. esecutivi prima del 1976 e poi del 2000, (con richiami più o meno immediati nella normazione di settore che si succedeva in quegli anni: la 395 del 1990 con i decreti legislativi attuativi; il d.p.r.230 del 1999, per arrivare alla 154 del 2005 ed al d.ti legs.vo 63 del 2006), disegnano un quadro organico strumentale alla esecuzione di misure che “…non devono essere contrarie al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Le risorse umane disponibili sono inquadrate, per sommi capi, essenzialmente in due ripartizioni: una comprendente la Polizia Penitenziaria, l’altra, di gran lunga meno numerosa, include tutte le professionalità tecniche, amministrative, contabili e di esecuzione penale esterna. I regimi giuridici che regolano le due componenti sono sensibilmente diversi: mentre la prima rientra fra le forze di polizia ad ordinamento civile, la seconda fa parte del comparto contrattuale ministeri. La direzione delle unità organiche territoriali, istituti penitenziari e uffici dell’esecuzione penale esterna, così come gli uffici regionali e ministeriali, sono diretti da personale dirigenziale, ora nella stragrande maggioranza sottoposti a regime di diritto pubblico, ed ancora in attesa di un proprio CCNL.

Il trattamento economico si differenzia sensibilmente fra le prime due componenti, mentre i dirigenti, almeno quelli di diritto pubblico, fruiscono in via transitoria del trattamento economico della P.S.

Le voci che creano le maggiori distanze in termini economici fra il trattamento economico della componente custodiale e quella tecnico-amministrativa vanno ricondotte soprattutto alle poste indennitarie ed accessorie connesse alla natura di corpo di polizia: turnistica, straordinario, rischio, presenze festive, assegno funzionale e, ai fini del trattamento di fine rapporto, l’anzianità maggiorata del 20 %. Anche nello statuto giuridico si riflette la medesima condizione: il personale di polizia penitenziaria fruisce di congedo straordinario e congedo ordinario, il regime delle malattie professionali segue la procedura delle affezioni contratte da militari. Il personale ministeriale è sottoposto invece all’ordinamento giuridico generale dei dipendenti statali.

Infine, mentre i dipendenti laici hanno un rapporto di lavoro sottoposto al regime privatistico con rinnovo contrattuale alle scadenze ordinarie, agli operatori della Polizia penitenziaria si applica il trattamento del Comparto sicurezza, con una contrattazione sottoposta al regime di diritto pubblico.

Ora è evidente che dopo i primi anni ‘90 queste diversità di trattamento hanno creato una palese incrinatura fra le due componenti, accentuando le differenze già esistenti sul piano della diversità di mission affidata a ciascuna di esse: la prevalenza dell’aspetto securitario per la Polizia; di quello amministrativo e trattamentale per il personale ministeriale. Gli effetti di quella che avrebbe dovuto essere una potenziale ricchezza sono quindi degenerati in un dato frazionistico se non addirittura discriminatorio. Dinamica, questa, che va contestualizzata in una generale fase declinante di tutto l’ambiente penitenziario, di cui il sovraffollamento è l’aspetto più grave ed allarmante, ma non certamente l’unico epifenomeno.

Quando infatti in un mondo come quello carcerario prevalgono in maniera sempre più massiccia le istanze punitive, di sicurezza e di controllo, a discapito di un’articolazione sanzionatoria che affidi alla applicazione di misure differenziate il mandato istituzionale, è evidente come tutto l’ambiente finisca per appiattirsi in una progressiva carenza di stimoli culturali e di ricerca professionale.E in tale contesto nasce la proposta di legge n. 2486, c.d. “Catanoso”, che partendo dal malcontento della base degli operatori amministrativi e tecnici, di questo elabora il solo aspetto concernente le rivendicazioni di tipo economico proponendo una soluzione di tipo “omeopatico”.

Infatti, trascurando qualsiasi analisi di tipo strutturale sulla attuale fase che sta attraversando il mondo penitenziario, la proposta ritiene di accogliere le comprensibili ansie degli operatori dando ad esse una risposta di puro e semplice reclutamento nell’ambito della Polizia penitenziaria, senza minimamente preoccuparsi degli effetti di una ancora più pervasiva militarizzazione del carcere.

La proposta ci vede decisamente contrari, e vanno disvelate le ragioni dell’equivoco che essa contiene, soprattutto circa l’aspetto economico, che contengono una evidente carica demagogica: le voci stipendiali che creano la differenza fra i due regimi retributivi sono dovute, per la quasi totalità, ad attività di polizia, e sono riconosciute solo se si svolgono ben determinate funzioni (sorveglianza armata, vigilanza, traduzioni) con determinate modalità (turnistica).

Tutto questo non preclude che una ragionevole richiesta sia di adeguamento delle indennità, sia del riconoscimento dell’anzianità figurativa, collegati alla particolare condizione di disagio e di logoramento psico-fisico cui anche gli operatori laici sono sottoposti, debba essere posta a base di una rivendicazione di cui il Sindacato deve farsi carico.

Alla crisi attuale fase del penitenziario, che non ha termini di paragone nella sua storia repubblicana, non crediamo che si possa fornire risposta accentuando i caratteri di militarizzazione. L’ampliamento dello spazio, anche potenziale, di esercizio dei poteri autoritativi contiene in sé il rischio di una degenerazione del sistema verso schemi operativi sempre più coartanti appiattendo la cultura professionale di tutto l’ambiente penitenziario, favorendo:

- l’irrigidimento della popolazione penitenziaria, che vedrebbe sempre più ridotta l’agibilità di politiche riabilitanti;

- l’appiattimento del sapere professionale del mondo penitenziario, con una inevitabile regressione anche dei sintomi di vivacità culturale della stessa polizia Penitenziaria verso approdi ispirati alla sola pratica custodiale.

Noi riteniamo invece che vada arricchita e corroborata la pluralità di linguaggi professionali, fornendo agli stessi operatori di polizia la promiscuità di modalità di approccio diversificati ed ispirati a tecniche avanzate, affinché anche essi pongano in misura sempre maggiore la forza della ragionevolezza e dell’equilibrio al centro del loro agire quotidiano, relegando l’iniziativa costringente e coartante, sempre e comunque legittimamente eseguita, alla sola ipotesi della difesa.

Non crediamo quindi che nella presente contingenza in carcere ci sia bisogno di una maggiore attività di polizia, qualsiasi sia la veste sotto la quale essa possa essere agita, e pertanto anche la legittima esigenza di un rafforzamento delle professionalità tecniche deve trovare una risposta in strumenti altri da quelli proposti dalla pdl Catanoso.

I Dirigenti Penitenziari della Fp Cgil

Rita Andrenacci, Domenico Arena, Neris Cimini,

Massimo Di Rienzo


[1] Proposta di legge-delega per l’istituzione di ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria con l’inserimento di tutti gli attuali ruoli del Comparto Ministeri (educatori, contabili, assistenti sociali, collaboratori,etc.)