L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 13 gennaio 2010

Segio: si buttano i soldi, occorrono pene alternative

Il Mattino, 13 gennaio 2010


"È la direzione di marcia che va invertita. Non si può perseverare negli errori": Sergio Segio boccia il governo. Il carcere lo conosce bene: ex terrorista di Prima Linea, scontata la pena a 22 anni, di detenuti si occupa a tempo pieno collaborando con Cgil, Don Ciotti e Sergio Cusani. Spiega: "Negli ultimi trent’anni in edilizia penitenziaria sono stati spesi oltre tre miliardi e mezzo di euro. Una cifra spropositata, buttata al vento per ritrovarsi in situazioni di cronica emergenza e sovraffollamento".

C’è voluto Napolitano per far affrontare il problema?

"Mi ha colpito che abbia citato la realtà del carcere nel suo discorso, non è usuale. È segno della sensibilità umana e istituzionale della persona ma anche della gravità della situazione: non sono più assicurabili dignità umana nelle celle e dignità professionale per gli operatori. Siamo a grave rischio di esplosione perché c’è un limite alla legge fisica, alla compenetrabilità dei corpi. Lo dice l’esperienza, un’esperienza tanto più grave in quanto colpevolmente trascurata da tantissimo tempo".

Cosa manca tra un grido d’allarme e l’altro sull’emergenza?

"Il progetto: una cultura della pena e della pena alternativa. Nonostante giuristi e politici ripetano che il carcere deve essere l’extrema ratio, continua ad essere la scorciatoia per qualsiasi problematica sociale. È sovraffollato di figure marginali: tossicodipendenti, immigrati, condannati per reati di basso profilo e bassa pericolosità".

Arriva un piano di edilizia carceraria per 80mila posti e il sindacato dice che ne servono il triplo. Si è sempre in ritardo rispetto alla realtà?

"È un circolo vizioso. L’esperienza dice che, quanti più posti in carcere si allestiscono, tanto più saranno rapidamente riempiti e quindi deficitari, perché c’è una politica giudiziaria penale che contiene i numeri per quelli che sono i posti disponibili. Quindi non è la risposta giusta, ed è oltretutto la più costosa".

Quale è, allora, la strada giusta?

"Smettere di considerare i reclusi scorie non riciclabili e il carcere una pattumiera sociale, un sostituto a basso costo delle politiche sociali. Anche perché a basso costo non è. Un detenuto in cella, in queste condizioni!, costa circa duecento euro al giorno: un tossicodipendente in comunità terapeutica, dove non viene solo accatastato ma aiutato, costa un terzo. E smettere di considerare direttori, agenti e operatori dei netturbini, mortificando il loro lavoro, per consentirgli di usare, come dice la Costituzione, il tempo della pena per il reinserimento. Vuol dire investire in prevenzione, formazione, reinserimento lavorativo con incentivi ad imprese e terzo settore, misure alternative. Sono quattro pilastri. Il ministro ne propone tre, ma così un edificio è sghembo e pericolante".

Alfano annuncia anche fondi per assumere nuovi agenti.

"Anche questa non è la risposta giusta. Se fondi ci sono, dovrebbero andare a migliorare il trattamento degli agenti esistenti che sono più che sufficienti ma mal distribuiti. E, quel che mi preoccupa ancor di più, si parla solo di nuovi agenti e non di educatori e assistenti sociali, le figure professionali cronicamente carenti nei penitenziari".