L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

Dal 2007 al 2014 sono stati pubblicati più di 1300 documenti che hanno trattato argomenti riferiti al Servizio Sociale della Giustizia, agli Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna, al Sistema dell'Esecuzione Penale Esterna attraverso solidarietaasmilano.blocspot.com

lunedì 4 gennaio 2010

SocialNews- La misure alternative


L'efficacia delle pene in comunità
Il potenziamento dell’esecuzione penale esterna, con l’assegnazione di maggiori risorse umane e finanziarie permetterebbe di incrementare i rapporti di collaborazione con tutte le risorse del territorio al fine di promuovere azioni mirate a creare condizioni più favorevoli all’integrazione sociale dei soggetti in misura alternativa alla detenzione.
Proviamo seriamente a mettere al centro della discussione le misure alternative al carcere quale strumento efficace per alleggerire il sistema carcerario e diminuirne gli enormi costi economici a fronte di risultati risibili in materia di recidiva e reinserimento. Proviamo a credere che questo possa veramente accadere e vediamo quali riflessioni e prospettive ne conseguono. Cominciamo con il far parlare i numeri. Se prendiamo a riferimento il decennio pre-indulto dell’agosto 2006, vediamo che dal 1997 la popolazione detenuta in carcere è passata da circa 50 mila persone fino ai 63 mila detenuti al momento dell’indulto. Nello stesso periodo, la popolazione dei condannati in misura alternativa è cresciuta da 35 mila fino a 50 mila persone. Una realtà, quindi, assolutamente non trascurabile per un periodo di oltre dieci anni. Dopo l’indulto, questo valore è sceso a circa 11 mila unità, ed è tuttora mantenuto, a seguito delle scelte politiche fatte in questi anni. La popolazione carceraria, invece, negli ultimi tre anni, è andata progressivamente aumentando e ha ora raggiunto numeri di nuovo decisamente alti, tali da destare seria preoccupazione. In tema di sicurezza, di fronte a questi dati, si impone una constatazione di non poco conto, sia per la classe politica, sia per gli operatori del mondo dell'informazione e per l'opinione pubblica: la recidiva della nostra popolazione carceraria è stimata attorno al 70%, mentre quella della popolazione in misura alternativa è circa la metà. In alcune aree particolari, è al di sotto del 20%. Se ne deduce, quindi, che è la stessa condizione dell’esecuzione penale fuori dal carcere a porre le basi per un recupero sociale molto più efficace rispetto a chi ha scontato la pena in carcere.
Già questa deduzione rende non sempre comprensibili alcune scelte fatte dalla politica in nome della sicurezza, che puntano tutto sulle carceri ( vecchie o nuove che siano). Si fa già tanto, ma si potrebbe anche fare di più, se... Vediamo come. Nel calderone delle misure alternative, oggi si trova di tutto, dal condannato a pene elevate per spaccio o rapina al tossicodipendente condannato a pochi mesi per furto o oltraggio a pubblico ufficiale, autori di reati gravi e autori di reati bagatellari, condannati a 10/15 anni ammessi a scontare l’ultimo segmento (dai 3 anni in giù) in affidamento e condannati comuni con pene di pochi mesi o alla prima condanna. Per tutti, la stessa misura alternativa, programmi standard, anche operatori con formazione “standard”. Sembra la stessa cosa trattare con un ex mafioso, un giocatore d’azzardo, un tossicodipendente da cocaina o eroina, un autore di violenza domestica o un pedofilo, chi ha commesso truffe o emesso assegni a vuoto o contraffatto documenti e permessi di soggiorno, chi ha contrabbandato sigarette, uno straniero che ha rubato al supermercato o un ladro di polli... Ma la stessa cosa non è. Dunque, gli operatori penitenziari e gli assistenti sociali che lavorano negli U.EPE andrebbero per primi “specializzati” nel trattamento dell’una e dell’altra tipologia. In altri termini, non è da escludere l’opportunità di un intervento formativo mirato e differenziato che sostenga l’impegno professionale richiesto agli operatori a fronte delle tipologie “emergenti” degli ammessi o ammissibili alle misure alternative. Va considerato il contributo che gli U.EPE già danno, ma ancor più potrebbero dare, all’abbattimento della recidiva se, con una formazione “specializzata” e potendo avvalersi del contributo di esperti ex art.80, fossero messi in grado di effettuare indagini sociali e ambientali approfondite e individualizzate già nella fase dell’osservazione dei soggetti condannati che hanno fatto istanza di affidamento.
Va considerato il vantaggio che ne deriverebbe all’efficacia del reinserimento sociale se fosse attuato procedendo con un’attenta valutazione del rischio di ogni condannato, unitamente all’accurata predisposizione di un progetto individualizzato (ogni caso un progetto), dando così piena attuazione alle previsioni dell’art.72 O.P., così come rinnovellato dall’art.3 della Legge n.154/2005. Il potenziamento dell’esecuzione penale esterna, con l’assegnazione di maggiori risorse umane (compresi gli esperti ex art.80, psicologi e criminologi) e finanziarie, permetterebbe di incrementare i rapporti di collaborazione con tutte le risorse del territorio, al fine di promuovere azioni mirate a creare condizioni più favorevoli all’integrazione sociale dei soggetti in misura alternativa alla detenzione (più rete = più sicurezza).Da parte degli U.EPE, sono da sostenere maggiormente le politiche d’intervento sul piano della recidiva, sollecitando il coinvolgimento e la responsabilizzazione delle comunità locali nella costruzione dei percorsi di recupero. La società, intesa sia come istituzioni, sia come risorsa e ambito di reinserimento, non può più stare solo a guardare e giudicare o, peggio, defilarsi dicendo che tocca tutto o quasi all’Amministrazione Penitenziaria. In tal senso, ogni U.EPE può essere/diventare regista di un partnerariato locale che ruoti intorno al reinserimento quale scelta di sistema e non solamente quale intervento facoltativo o emergenziale. Infine, una collaborazione con le Forze dell’Ordine, non episodica, ma tempestiva ed elevata a sistema, contribuirebbe a “fare più sicurezza” e aumentare l'efficacia deterrente della misura alternativa. Senza bisogno di tenere chiusi in carcere soggetti alla prima condanna o autori di reati di modesta rilevanza penale, molti dei quali, tossicodipendenti in primis, bisognosi innanzitutto di cura e non di botte o sbarre alle finestre.
Antonietta Pedrinazzi
Direttore U.E.P.E. (Uffici per l'Esecuzione Penale Esterna) di Milano e Lodi,Componente del Direttivo Nazionale del SI.DI.PE. (Sindacato Direttori e Dirigenti Penitenziari)