L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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giovedì 8 luglio 2010

Recupero dei detenuti, bufera su Alfano; 5 mln a un’associazione, ma nessuno la conosce

La Stampa, 7 luglio 2010
di Maria Corbi

È il ministro Angelino Alfano ad ufficializzare il finanziamento, quasi 5 milioni di euro dell’Agenzia nazionale Reinserimento detenuti ed ex detenuti. “Lotta alla recidiva”, è la parola d’ordine in questa conferenza stampa in grande stile con Gianni Letta come ospite eccellente e il capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta. Toni trionfalistici che non sono smorzati dai malumori, montati appena si è saputa la notizia, del mondo del volontariato in carcere che non ci vede chiaro in questa pioggia di denaro su “soggetti” che di esperienza nel campo ne hanno poca. Difficile avere risposte visto che la scelta dei finanziamenti da fare con il denaro della Cassa Ammende non risponde ad alcun criterio. Non ci sono né bandi né gare. Così, nasce questa Agenzia (Anrel) grazie a una convenzione quadro siglata tra il Ministero della Giustizia e la Fondazione “Mons. Di Vincenzo”, ente morale con personalità giuridica di diritto civile ed ecclesiastico, nato nell’ambito del Rinnovamento dello spirito in collaborazione con il Comitato Nazionale per il Microcredito, l’Agenzia per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la Caritas Italiana, le Acli Nazionali, la Coldiretti Italiana, la Prison Fellowship International, il Rinnovamento nello Spirito Santo.
Le ambizioni nelle cinque regioni pilota (Sicilia, Campania, Lazio, Lombardia e Veneto) sono notevoli: 1.800 ex-detenuti impiegati. Ma c’è chi si domanda su cosa si fondi tutto questo ottimismo visto che i soggetti coinvolti hanno tutti poca esperienza nel campo. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, da anni nella trincea del volontariato, fa notare che il curriculum della fondazione prescelta vanta dal 2003 ad oggi solo 12 detenuti reinseriti nel mondo del lavoro. “Un curriculum che è valso quasi cinque milioni di euro”, dice.
E poi il progetto presentato, almeno nella sua base, ovvero, l’incubatore di dati sui detenuti accessibili dalle aziende non è una cosa nuova. A Padova, per esempio è già stato sperimentato e senza grande successo perché, come spiega, la Favero, “gli automatismi in questo campo non funzionano”.
Secondo Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente di “A Buon Diritto” la disponibilità di cinque milioni di euro “è ovviamente un fatto positivo ma lasciano dubbiosi e per certi versi addirittura interdetti i criteri che avrebbero indotto a una scelta totalmente discrezionale e non verificata attraverso criteri scientifici e parametri meritocratici di mercato delle imprese sociali. E questo costituisce una grave offesa nei confronti della grande area di volontariato religioso e laico che sul tema del carcere lavora in Italia da decenni”.
Livio Ferrari, fondatore della Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia, Presidente del Centro Francescano d’ascolto e Garante dei diritti dei detenuti di Rovigo, è anche lui perplesso: “È veramente difficile da capire come questo fiume di soldi sia stato dato a persone che del carcere sanno poco e siano stati ignorate invece realtà che lavorano da anni in questo settore e hanno fatto progetti di grande valore. Noto però che la Fondazione “Mons. Di Vincenzo” è di Agrigento, la città di Alfano”.
E ancora: “Mi dispiace soprattutto vedere che la Caritas si sia prestata a questa operazione. Ma il punto è un altro: chi gestisce i soldi. E vedo il nome di Prison Fellowship, l’organizzazione fondata e diretta da Charles Colson, l’ex segretario di Richard Nixon, coinvolto nello scandalo Watergate, che all’uscita dal carcere ha deciso di dedicarsi al mondo della detenzione. La caratteristica di questa organizzazione è quella di creare grandi accordi con i Governi di tutto il mondo. Gestiscono fondi ma sappiamo ben poco di loro”.