Meno recidiva, più crescita
di Donatella Stasio- Il Sole 24 Ore, 27 settembre 2012
La recidiva ha un costo sociale ed economico: riduce il livello di sicurezza collettiva, scoraggia gli investimenti, pesa sul bilancio dello Stato. Abbattere la recidiva significa quindi contribuire alla crescita di un Paese in termini di legalità, risparmio e competitività.
A un ministro della Giustizia come Paola Severino, che fin dal suo insediamento ha fatto del carcere una priorità dell’azione di governo, non poteva sfuggire anche questo aspetto. “Abbattere la recidiva” è dunque il suo obiettivo ma per raggiungerlo bisogna “convincere l’opinione pubblica che le misure alternative alla detenzione sono la strada maestra e che il carcere è l’extrema ratio”.
Bisogna superare i “pregiudizi” della gente, “sostituire alla reazione emotiva una reazione razionale”, evitare gli “sbandamenti” della politica che hanno prodotto solo dosi massicce di carcere, senza ridurre la recidiva.
Per fare tutto questo è importante un “approccio scientifico” al problema e quindi il ministero ha dato la sua piena collaborazione alla ricerca condotta dall’Einaudi Institute for Economics Finance (Eief), dal Crime Research Economic Group (Creg) e dal Sole 24 Ore per valutare l’incidenza delle misure alternative e del lavoro in carcere sulla recidiva. Collaborazione preziosa perché il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) consentirà l’accesso alle informazioni necessarie alla ricerca, aprendo “per la prima volta” i suoi archivi all’esterno.
“Un’operazione di trasparenza di cui ringrazio il ministro anzitutto come cittadino”, ha detto Daniele Terlizzese, direttore dell’Eief (Istituto di ricerca indipendente fondato dalla Banca d’Italia nel 2008), durante la conferenza stampa in cui il ministro ha presentato l’avvio dell’indagine, insieme al capo del Dap Giovanni Tamburrino e al direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano.
Severino ha ricordato che subito il governo si è mosso considerando il carcere l’extrema ratio e rilanciando le misure alternative, su cui, però, c’è un “pregiudizio diffuso” della collettività, convinta che “buttare la chiave” sia l’unica risposta efficace alla delinquenza.
Non si tratta soltanto di risolvere il problema - peraltro gravissimo - del sovraffollamento, ma di dare un senso alla pena nell’interesse del detenuto, delle vittime, della collettività. “È straordinario che in questo momento l’Europa stia affrontando il problema con lo stesso approccio”, nota Severino, citando Regno Unito e Francia (si veda Il Sole 24 del 26 settembre) dove, peraltro, c’è un ricorso alle misure alternative che è il triplo del nostro: qui la pena si sconta in carcere nell’82,6% dei casi mentre lì il 75% delle condanne è eseguito all’esterno. Ma anche negli Stati Uniti c’è stato un ripensamento della politica della “tolleranza zero” che aveva riempito le carceri negli anni passati, e si comincia a puntare sulle misure alternative.
“Il carcere non è l’unica pena. Ci sono altre sanzioni in grado di garantire la sicurezza”, dice Tamburrino secondo cui “dare una base scientifica al rapporto di causalità tra misure alternative/lavoro e riduzione della recidiva, ci consentirà di fare un importante passo avanti”. “Ci consentirà - aggiunge Severino - di dare risposte razionali e non emotive e di misurare l’efficacia delle riforme approvate, convincendo operatori e soprattutto cittadini che le misure alternative alla detenzione e il lavoro carcerario non sono un pericolo ma una soluzione”. Per il direttore del Sole 24 ore Napoletano, “l’iniziativa si inserisce nel filone scientifico culturale che connota la linea editoriale del giornale. Come abbiamo fatto con il Manifesto della cultura, anche in questo caso ci anima la volontà di dare base scientifica a un impegno di civiltà che appartiene ai tratti fondanti del Sole”.
Non che finora ci fosse il buio. Nel 2007, una rilevazione del Dap, pur non avendo il crisma della scientificità, indicava chiaramente la via da seguire: la recidiva di chi sconta la condanna con misure alternative è del 19% laddove quella di chi sconta la pena chiuso in prigione sale al 68%. Nel 2001, poi, si calcolò che la diminuzione di un solo punto percentuale della recidiva corrisponde a un risparmio di circa 51 milioni di euro all’anno.
Ciò nonostante, dal 2006 a oggi c’è stata una stretta sulle misure alternative e l’affidamento in prova al servizio sociale è addirittura crollato del 50%. Quanto al lavoro in carcere, la legge Smuraglia del 2000 (che prevede sgravi fiscali e contributivi per le imprese che assumono detenuti) è rimasta da un anno senza fondi. Il governo si sta impegnando per rifinanziarla perché oggi i detenuti che lavorano in carcere sono 13mila, su 66mila presenti, ma solo 2.215 dipendono da imprese esterne.
Il presupposto scientifico di questa nuova indagine è la selezione dei dati. Lo spiega bene Terlizzese: “Se confrontiamo il tasso di mortalità tra chi, in un determinato anno, è stato in ospedale e chi non c’è stato, scopriamo che nel primo caso è molto più alto che nel secondo. Nessuno, però, si azzarderebbe a dire che andare in ospedale fa morire le persone, perché chi va in ospedale è malato ed è questa la causa di maggiore mortalità rispetto a chi, non essendo malato, non va in ospedale. I due gruppi di persone non sono quindi campioni casuali perché c’è un qualche fattore che influenza l’appartenenza all’uno o all’altro”.
In gergo tecnico si dice che c’è un problema di selezione. Con la recidiva e le misure alternative si pone lo stesso problema. “Se confrontiamo il tasso di recidiva tra chi ha scontato la pena fruendo di misure alternative e chi lo ha fatto soltanto in carcere - prosegue Terlizzese - vediamo che nel primo caso è più basso. Ma probabilmente c’è anche qui un problema di selezione: se le misure alternative sono accessibili solo per chi si ritiene abbia una minore propensione a delinquere, la differenza tra i tassi di recidiva rifletterà appunto questa diversa propensione e non sarà imputabile, se non in parte, alle misure alternative”.
L’analisi dei dati presuppone quindi che ci siano due campioni casuali, il più possibile simili, e quindi confrontabili, salvo il fatto che alcuni hanno usufruito delle misure alternative e altri no. “Il confronto tra il tasso di recidiva nei due campioni ci darà quindi una misura abbastanza attendibile dell’effetto causale delle misure alternative”, conclude Terlizzese. Una volta appurato il nesso causale, si passerà alla fase 2 della ricerca, per calcolare costi e benefici di recidiva e misure alternative.
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