L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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mercoledì 3 ottobre 2012

Pochi agenti e troppi suicidi, un indulto per la Polizia penitenziaria

L’Unità, 3 ottobre 2012

Le condizioni disumane in cui versano gli istituti di pena italiani non sono un problema che riguarda soltanto i detenuti, prime vittime dello stato di abbandono del sistema carcerario italiano

A pagarne le spese ogni giorno sono infatti anche gli agenti di polizia penitenziaria, ormai costretti a convivere con un sistema sull’orlo del baratro e ogni giorno più penalizzati dalla deriva in atto. “Perché un carcere invivibile - racconta uno di loro - è invivibile per i detenuti che ci sono costretti, ma anche per chi ci lavora dentro in condizioni sempre più difficili”.

Una spia del disagio sono i casi di suicidio sempre più frequenti: numeri ufficiali non esistono (si parla di 89 morti fra il 2001 e il 2011) ma il problema è noto visto e soltanto poche settimane fa i sindacati sono tornati a denunciare l’emergenza dopo che, a distanza di poche ore, due agenti che si sono tolti la vita a Vasto e ad Augusta.

Gli ultimi di una serie che preoccupa anche il ministero della giustizia visto che nel dicembre scorso l’allora capo del Dap Franco Ionta istituì “una commissione per lo studio del fenomeno dei suicidi del personale e per la formulazione di proposte tese alla definizione di un’omogenea strategia per la prevenzione del rischio derivante da stress da lavoro o da altri fattori”.

Indipendentemente dai risultati della commissione, guidata dal Vice capo del Dipartimento Simonetta Matone, quello di cui tutti gli operatori sono convinti è che fra le cause di un simile disagio non possa non essere inclusa l’ormai cronica carenza di mezzi, ma soprattutto di uomini, della polizia penitenziaria. Anche in questo caso i dati sono impietosi: se l’organico previsto è fissato in 45mila unità, infatti, al momento gli agenti impiegati sono circa 37.500 per uno scoperto che si avvicina alle 8mila unità.

I numeri, però, non dicono tutto se è vero che l’organico previsto dal ministero è stato fissato dieci anni fa (e da allora sono stati aperti nuovi istituti e nuovi padiglioni in strutture già esistenti) e che ogni giorno qualche migliaio di agenti è impegnato in attività fuori dal carcere. “Sono anni che siamo impegnati in questa battaglia - commentano Fabrizio Fratini e Francesco Quinti della Funzione Pubblica della Cgil - che non riguarda soltanto la sicurezza e l’efficienza. È una questione di diritti: degli agenti di polizia penitenziaria e degli stessi detenuti”.

E la situazione, in tempi di tagli, è destinata a peggiorare ancora visto il blocco del turnover: “Può legittimamente affermarsi - scriveva il segretario generale del Sappe Donato Capece al premier Monti, e ai ministri Severino, Grilli e Patroni Griffi non più tardi di due settimane fa - che a decorrere dal 2013 le assenze in servizio si avvicineranno alle 10mila unità, vale a dire oltre il 20% dell’organico generale. Se le carceri sono ora al collasso - la conclusione di Capece - entro i prossimi otto-dieci mesi non sarà più materialmente possibile gestirle”.

Dal canto suo, negli ultimi incontri, il ministro ha rassicurato i sindacato sulla possibilità di far rientrare in servizio nelle carceri circa 3mila agenti ora impegnati in altri servizi, ma è una “toppa” che certo non chiuderà la voragine che si sta aprendo.

Anche perché la spending review, che ha risparmiato la penitenziaria, si abbatterà comunque su tutto il personale che si occupa del trattamento e dell’esecuzione pena della cosiddetta “presa in carico”: addetti delle comunità, assistenti sociali, educatori, operatori che si occupano dei detenuti non reclusi in carcere e che permettono l’affidamento alle strutture alternative.

Ad oggi mancano già almeno 450 addetti, ma dopo la cura dimagrante imposta dal governo il numero è destinato a salire ulteriormente. “In questi giorni, oltre che di indulto e amnistia, si è tornato a porre l’accento sulla necessità delle pene alternative come misure per ridare vivibilità alle carceri - commenta Salvatore Chiaromonte, Fp-Cgil - ma la spending review andrà a colpire anche quel settore”.

E siamo di nuovo daccapo: le carceri sono piene e in condizioni invivibili. Serve una soluzione e l’indulto è forse quella più immediatamente percorribile. Anche perché le strade messe a punto nel recente passato, quando la maggioranza di centrodestra non era disposta neanche a discutere della possibilità di fare ricorso ad un atto di clemenza, di fatto si sono rivelate inefficaci o difficilmente percorribili. È il caso dell’ambizioso “piano carceri” tanto sbandierato dall’allora Guardasigilli Angelino Alfano e caldeggiato del ministro dell’Interno Roberto Maroni.

Costruire nuove strutture e nuovi spazi per ospitare i detenuti in eccesso: un progetto ambizioso più volte modificato in corso d’opera dall’allora direttore del Dap Franco Ionta e commissario per l’emergenza carceri. Alla prova dei fatti una montagna che, col passare del tempo, ha di fatto partorito un topolino. E anche questa volta il motivo è sempre lo stesso: mancano i soldi.

Degli oltre diecimila posti previsti in un primo momento, infatti, non si andrà oltre i 3.800, pari a 17 padiglioni da costruire in istituti già esistenti in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Abruzzo, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. Perché vedano la luce, però, ci vorrà ancora almeno un anno. Sembrano invece tramontati i progetti, almeno per il prossimo biennio, per dare il via alla costruzione di nuovi istituti a Torino, Camerino e Pordenone.

Qualcosa comunque si è fatto ed entro la fine dell’anno saranno inaugurati nuovi spazi per un totale di 1200 posti letto in più. Le ultime strutture aperte sono quelle di Ancona, Oristano, Tempio e Rieti. Emblematica della situazione la travagliata storia dell’istituto del capoluogo laziale: costruito da tempo è rimasto per anni aperto a scartamento ridottissimo per la carenza di personale e soltanto negli ultimi mesi ha potuto ospitare detenuti a pieno regime.

Nel frattempo, la struttura commissariale istituita al Dap ha subito una drastica cura dimagrante dopo i ricchi contratti di consulenza degli anni scorsi. Spese e remunerazioni che hanno più volte suscitato le proteste degli addetti ai lavori: “Un esercito di esperti che avrebbe dovuto indirizzare l’azione amministrativa dell’apparato, anche ordinario, di cui pure il Commissario delegato si è avvalso, garantendo la massima efficienza possibile! E invece... nessuno degli interventi previsti risulta non solo concluso, ma nemmeno appaltato”, ha tuonato in un articolo apparso su una rivista specializzata il dirigente penitenziario Ester Ghiselli.