IL GIORNALE
venerdì 30 marzo 2007
Troppi bambini in istituto: assistenti sociali in rivolta
di Daniela Uva
Gli operatori: <> Lunedì protesta in largo Treves
«Millesettecentosei minori tolti alle famiglie e mandati in comunità sono troppi. Ma la colpa non è
solo degli assistenti sociali». A parlare è Roberto Cilia, vice presidente dell'ordine regionale della
categoria. Negli ultimi cinque anni il numero dei ragazzi affidati al Comune è progressivamente
aumentato - nel 2002 erano 4.320, tre anni dopo 4.575 -, al contrario quello di chi dovrebbe vegliare
su di loro è continuamente diminuito, fino a raggiungere gli attuali cento professionisti. Ognuno di
loro deve seguire, in media, 48 bambini. E questo nonostante la «disponibilità di risorse
finanziarie»: nel 2007 il governo ha stanziato 3,5 milioni di euro, che si aggiungono ai fondi
normalmente erogati. Per il nuovo dirigente dell'ufficio Servizi sociali Carmela Madaffari, la colpa
è di alcuni assistenti sociali milanesi, che mancano della necessaria obiettività e preferiscono
l'istituto alla procedura dell'affido. Per colmare la lacuna ha organizzato «corsi di imparzialità».
Ma i diretti interessati non ci stanno. «Non abbiamo bisogno di tornare a scuola - continua Cilia -,
facciamo il nostro dovere rispettando le norme deontologiche. Se così non fosse sarebbe l'ordine a
intervenire». La protesta sarà tradotta in una manifestazione formale, lunedì prossimo, dalle 10 alle
12, in largo Treves, proprio di fronte all'ufficio del dirigente. Il problema, secondo gli addetti ai
lavori, sta nei numeri. Che crescono in modo preoccupante. Sono 2.774 i ragazzi che aspettano di
essere presi in carico dal Comune, di questi quasi mille sono stati segnalati dal Tribunale dei minori
perché esposti a situazioni di particolare rischio. Inoltre, quasi la metà dei giovani già in carico ai
servizi sociali ha fra 12 e 18 anni, e questo rende l'approccio più difficile. Gli stessi magistrati sono
costretti al superlavoro, con oltre quattromila provvedimenti adottati nel corso del 2005, molti dei
quali conclusi con la restrizione o la sospensione della potestà dei genitori: quasi duemila minori
sono finiti nelle case famiglia, 323 sono assistiti a domicilio, 218 sono stati affidati ad altre persone.
«È un errore pensare di affrontare l'emergenza incrementando solo gli affidi - conclude Cilia -, ci
sono casi in cui questa procedura non è consigliabile. Occorrono interventi sul fronte della
prevenzione, del rafforzamento delle reti sociali, della predisposizione di interventi territoriali
mirati. Gli stessi assistenti sociali potrebbero collaborare a costruire una mappa dell'emergenza».
Nel frattempo, c'è chi consiglia di fare un passo indietro e riattivare il centro per le famiglie
multiproblematiche di via Ippocrate, chiuso di recente. «Era un servizio di eccellenza unico in Italia
- spiega Marilena Adamo, consigliere dei Ds -. Le famiglie venivano seguite nel loro insieme,
attraverso metodi sperimentali, come l'uso di videocamere per guardare, discutere e quindi
correggere i propri comportamenti. Il centro è chiuso, ma arredi e macchinari sono ancora lì».
Troppi bambini in istituto: assistenti sociali in rivolta
di Daniela Uva
Gli operatori: <
«Millesettecentosei minori tolti alle famiglie e mandati in comunità sono troppi. Ma la colpa non è
solo degli assistenti sociali». A parlare è Roberto Cilia, vice presidente dell'ordine regionale della
categoria. Negli ultimi cinque anni il numero dei ragazzi affidati al Comune è progressivamente
aumentato - nel 2002 erano 4.320, tre anni dopo 4.575 -, al contrario quello di chi dovrebbe vegliare
su di loro è continuamente diminuito, fino a raggiungere gli attuali cento professionisti. Ognuno di
loro deve seguire, in media, 48 bambini. E questo nonostante la «disponibilità di risorse
finanziarie»: nel 2007 il governo ha stanziato 3,5 milioni di euro, che si aggiungono ai fondi
normalmente erogati. Per il nuovo dirigente dell'ufficio Servizi sociali Carmela Madaffari, la colpa
è di alcuni assistenti sociali milanesi, che mancano della necessaria obiettività e preferiscono
l'istituto alla procedura dell'affido. Per colmare la lacuna ha organizzato «corsi di imparzialità».
Ma i diretti interessati non ci stanno. «Non abbiamo bisogno di tornare a scuola - continua Cilia -,
facciamo il nostro dovere rispettando le norme deontologiche. Se così non fosse sarebbe l'ordine a
intervenire». La protesta sarà tradotta in una manifestazione formale, lunedì prossimo, dalle 10 alle
12, in largo Treves, proprio di fronte all'ufficio del dirigente. Il problema, secondo gli addetti ai
lavori, sta nei numeri. Che crescono in modo preoccupante. Sono 2.774 i ragazzi che aspettano di
essere presi in carico dal Comune, di questi quasi mille sono stati segnalati dal Tribunale dei minori
perché esposti a situazioni di particolare rischio. Inoltre, quasi la metà dei giovani già in carico ai
servizi sociali ha fra 12 e 18 anni, e questo rende l'approccio più difficile. Gli stessi magistrati sono
costretti al superlavoro, con oltre quattromila provvedimenti adottati nel corso del 2005, molti dei
quali conclusi con la restrizione o la sospensione della potestà dei genitori: quasi duemila minori
sono finiti nelle case famiglia, 323 sono assistiti a domicilio, 218 sono stati affidati ad altre persone.
«È un errore pensare di affrontare l'emergenza incrementando solo gli affidi - conclude Cilia -, ci
sono casi in cui questa procedura non è consigliabile. Occorrono interventi sul fronte della
prevenzione, del rafforzamento delle reti sociali, della predisposizione di interventi territoriali
mirati. Gli stessi assistenti sociali potrebbero collaborare a costruire una mappa dell'emergenza».
Nel frattempo, c'è chi consiglia di fare un passo indietro e riattivare il centro per le famiglie
multiproblematiche di via Ippocrate, chiuso di recente. «Era un servizio di eccellenza unico in Italia
- spiega Marilena Adamo, consigliere dei Ds -. Le famiglie venivano seguite nel loro insieme,
attraverso metodi sperimentali, come l'uso di videocamere per guardare, discutere e quindi
correggere i propri comportamenti. Il centro è chiuso, ma arredi e macchinari sono ancora lì».
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