L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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venerdì 21 settembre 2007


Intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella
in occasione della Festa nazionale del Corpo di Polizia Penitenziaria
(Napoli, 21 settembre 2007)
Signor Presidente della Repubblica, Autorità, Signore e Signori, è un grande onore celebrare a Napoli, in questa incredibile, splendida città che tutti noi amiamo e che a volte fa di tutto per non farsi amare, la Festa Nazionale 2007 del Corpo di Polizia Penitenziaria che, per la prima volta in ben 190 anni dalla sua fondazione, si svolge al di fuori della Capitale. Oggi, qui, intendiamo dare grande risalto al valore e all’immagine del Corpo e lanciare un messaggio preciso: la Polizia Penitenziaria - ai cui appartenenti tutti noi riconosciamo il quotidiano e silenzioso impegno portato avanti sempre con assiduità e spirito di servizio - costituisce – e nei prossimi anni lo sarà sempre di più - un Corpo di Polizia al servizio del Paese e della giustizia, con compiti delicati che riguardano tutti gli aspetti della esecuzione della pena, anche al di là della cinta muraria del carcere. Una Polizia moderna ed efficiente, con competenze speciali che – tenendo sempre presente il compito fondamentale che le è stato consegnato (garantire l’ordine e la sicurezza all’interno degli Istituti Penitenziari) – si proietta con professionalità ed efficacia sul territorio.
Si tratta di un’evoluzione già intrapresa, destinata ad accompagnare in modo decisivo e coerente una profonda e complessiva riforma del nostro sistema penale.

Riforma che ho voluto ispirata ai valori della nostra Costituzione e rispondente ai reali bisogni di sicurezza della Comunità nazionale. Riforma destinata a restituire efficacia al diritto penale mediante l’ampliamento della gamma delle pene principali e la loro applicazione sulla base di principi di
proporzionalità, di efficacia repressiva e di prevenzione generale.
Ne scaturirà un impianto normativo che fa perno sulla funzione rieducativa della pena, ma che sarà in grado al contempo di contrastare quel senso di impunità, purtroppo particolarmente diffuso, che è spesso la premessa per la commissione di nuovi reati.
Avvalersi della Polizia Penitenziaria per effettuare controlli efficaci su coloro che scontano una pena, anche diversa dalla detenzione, è dunque un cammino che abbiamo iniziato a percorrere. Per tale motivo è in via di definizione un Decreto elaborato congiuntamente dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dell’Interno per la sperimentazione, in alcune regioni, dei Nuclei di Verifica della Polizia Penitenziaria. Ciò rappresenterà una svolta epocale per il Corpo che vede consolidarsi progressivamente sul territorio il proprio ruolo di Polizia dell’esecuzione penale. Tale prospettiva conferma un dato non sempre adeguatamente sottolineato: la Polizia Penitenziaria costituisce un avamposto dello Stato a tutela della sicurezza del cittadino, sia essa chiamata ad operare nel carcere o sul territorio, si tratti della sorveglianza o del recupero e del reinserimento, tutti fattori essenziali per evitare la recidiva e nuove offese alla convivenza civile.
Permettetemi al riguardo alcune considerazioni che potranno apparire contro tendenza. Le stesse relazioni di apertura dell’anno giudiziario 2007, fornendo un bilancio dell’anno trascorso, hanno segnalato, nello stupore di molti, un andamento costante quando non una riduzione nel numero e nella gravità dei reati commessi.

E’ indubbio che oggi il “pianeta carcere” si presenta come una realtà profondamente diversa da quanto immaginato dai padri costituenti, nel momento in cui conferirono all’Amministrazione Penitenziaria il compito di rieducare i condannati. Infatti, rispetto agli anni in cui nacque la nostra Repubblica, il diritto penale si è fatto assai più complesso ed il numero dei detenuti è cresciuto in maniera consistente, tanto da creare, nei mesi antecedenti l’approvazione dell’indulto per iniziativa del Parlamento (luglio 2006), una situazione che con graziosa iperbole è stata definita di sovraffollamento degli istituti. Il risultato dell’indulto, provvedimento eccezionale adottato per far fronte ad una situazione altrettanto eccezionale, è stato un adeguamento provvisorio del numero di detenuti alla capienza prevista. Provvisorio, ma non certo al punto della malaugurata profezia dei nemici dell’indulto.
A fronte però di una campagna mediatica di rara virulenza e spregiudicatezza, fatta per guadagnarsi gli applausi delle curve, anche gli autori eterogenei del provvedimento, impauriti dalla impopolarità, si sono mimetizzati.
A questo proposito, colgo l’occasione per ringraziare il presidente del Consiglio, Romano Prodi, che sull’indulto ha speso parole di verità; ma anche il leader dell’opposizione, Silvio Berlusconi, che, anche di recente, ha detto apertamente che lo avrebbe rivotato. L’indulto ha conquistato il primo posto nella classifica del malcontento italiano, determinando una faziosa, ingiusta equazione, secondo la quale esso avrebbe significato maggiore criminalità e maggiore delinquenza. Forse sarebbe il caso di dire basta alle polemiche strumentali: da un’analisi svolta dal Dap risulta, infatti, che la presenza dei soggetti recidivi in carcere non è aumentata. Anzi.
Se la percentuale di recidivi si assestava al 48% della popolazione carceraria prima dell’indulto, un anno dopo, la presenza di recidivi in carcere è pari al 42% del totale. E tale ultimo dato include anche quel 22,7% dei detenuti usciti per il provvedimento votato dalla stragrande maggioranza del Parlamento che hanno varcato di nuovo le porte del carcere.
Ciò che non bisogna tacere è, piuttosto, che la permanenza media dei detenuti negli istituti penitenziari risulta essere piuttosto bassa. Si pensi che - sulla base di recenti statistiche del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – su 89.859 persone che sono entrate in carcere in tutto il 2005 (come imputati o come condannati) solo 3.959 risultavano essere ancora detenute al 5 giugno 2007. Occorre pure sottolineare che il turn over in parola sottopone ad un elevato stress organizzativo l’istituzione carcere ed i suoi operatori, distogliendo preziose energie dal compito primario affidato dalla Costituzione all’Amministrazione ed alla Polizia Penitenziaria.
Credetemi, non sto cedendo alla tentazione di una polemica retrospettiva.
Il mio è il tentativo di coniugare l’affermazione di convinzioni profonde con la necessaria razionalità delle scelte politiche e amministrative.
Quanto alle convinzioni non ho dubbi: il carcere deve essere luogo di recupero perché se la libertà fisica può essere costretta ad esito di un giusto processo, la dignità dell’uomo è valore supremo, che non sopporta limitazioni.
Ma anche nell’ottica della laica opportunità delle scelte, la sola segregazione non basta a garantire la sicurezza dei cittadini. L’esclusione fisica ha infatti comunque un termine. A meno di non prefigurare scelte che in altri sistemi hanno prodotto insieme aumento esponenziale della popolazione carceraria e incremento dei tassi di criminalità, il carcere deve essere quindi insieme luogo di severità, di dignità e di recupero.

Abbiamo bisogno di nuove carceri e di carceri nuove.
Nuove carceri, perché la risposta dello Stato deve essere credibile e lo strumento penale effettivo. Non siamo rimasti con le mani in mano e fin d’ora 5.886 nuovi posti sono in corso di realizzazione. Contiamo di aggiungerne almeno altri 800 nel 2008. Non si tratta di riforme a costo zero e il Governo ha l’onere di assicurare i necessari investimenti.
Ma abbiamo anche bisogno di carceri nuove. Garantire la certezza della pena presuppone che essa possa essere effettivamente scontata in un ambiente idoneo a favorire il recupero del detenuto.
1 posto 1 detenuto è l’equazione sulla quale si misura la civiltà di un Paese e la sua capacità di fronteggiare senza demagogia il problema della sicurezza. Così come non c’è reinserimento possibile senza una adeguata presenza in carcere di personale altamente qualificato, messo in grado di svolgere al meglio, ed anch’esso in condizioni civili, il suo già difficile compito.
Certo, la sicurezza resta un problema complesso, che necessita di interventi forti e coerenti.
Lo diciamo a Napoli, dove più forte e grave è l’infarto sociale prodotto dalla criminalità piccola e grande. E proprio in quest’ottica sto partecipando allo sforzo del Governo perché siano adottate tempestivamente misure efficaci, in grado di restituire al Paese ed alla Città di Napoli serenità e fiducia nelle Istituzioni.
La certezza della pena per chi commette reati di grave allarme sociale è il cuore delle mie proposte, destinate a dar corpo a quel “pacchetto sicurezza” che proprio in questi giorni è al centro della iniziativa del Governo.

Voglio cogliere l’occasione per ricordare a tutti che ogni politica di sicurezza cammina sulle gambe degli operatori.
Nei mesi scorsi si è sviluppato un proficuo e assiduo dialogo tra la parte pubblica e le organizzazioni sindacali, allo scopo di iniziare a gettare le basi per la creazione di nuove articolazioni della Polizia Penitenziaria e per un loro adeguamento a quelle che sono le effettive esigenze del Paese.
In questo senso, l’intesa relativa al Patto per la Sicurezza raggiunta in luglio tra Governo e rappresentanze sindacali delle Forze dell’Ordine costituisce un elemento essenziale, per il quale chiediamo che nella Finanziaria siano previste le necessarie risorse: pacta sunt servanda!
Questo accordo costituirà indubbiamente per la Polizia Penitenziaria un’importante occasione per vedere finalmente riconosciuto e consolidato il proprio ruolo di Polizia del Ministero della Giustizia, nel pieno coordinamento e in posizione paritaria con le altre forze di polizia.
Anche l’elaborazione di un nuovo modello organizzativo per i servizi di Polizia Stradale va in questa direzione e vedrà la luce con un Decreto Ministeriale di prossima emanazione.
Sempre in un’ottica di innovazione del ruolo della Polizia Penitenziaria è già stato firmato il Decreto Ministeriale che disciplina le funzioni di Polizia Giudiziaria, con la relativa istituzione del “Nucleo Investigativo Centrale” e dei coordinamenti regionali così preziosi per le indagini per i delitti di criminalità organizzata e di terrorismo.
In questo quadro si inserisce poi la riorganizzazione e la razionalizzazione dei servizi di scorta e tutela, svolti dall’Ufficio per la Sicurezza Personale e la Vigilanza, e del Gruppo Operativo Mobile preposto alla custodia dei soggetti in regime di 41 bis ed alla gestione del servizio di sicurezza dei maxiprocessi alla criminalità organizzata.
Non sarebbe possibile assolvere con successo nessuno di questi nuovi compiti se non vi fosse, alla base dei molteplici impegni del personale di Polizia Penitenziaria, un grande senso del dovere ed una solida preparazione professionale. Tale preparazione, così come avviene in tutti i contesti più avanzati, necessita però di un costante aggiornamento nelle più svariate discipline.
E’ proprio per andare incontro a queste esigenze che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria appronta annualmente un piano strategico che, accanto alla formazione iniziale, prevede l’organizzazione di un vero e proprio sistema di formazione continua.
Come vedete, dunque, lo Stato chiede alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria di impegnarsi quotidianamente in una costante opera di quadratura del cerchio che, se li vede – da una parte – garanti in ogni momento della sicurezza e della legalità della vita carceraria, dall’altra richiede loro di attivarsi per tutelare, con pari impegno, la dignità e l’umanità della condizione del detenuto, a contatto diretto con la sofferenza e la conflittualità insite nella natura stessa dell’istituzione penitenziaria.
Infine, permettetemi di esprimere soddisfazione per essere riuscito, grazie ad uno stanziamento straordinario di 15 milioni di euro, ad ottenere - in un momento non particolarmente prodigo di risorse finanziarie aggiuntive per gli apparati dello Stato - la riassunzione di circa 500 agenti ausiliari, congedati il 31 dicembre del 2005. Era questo uno degli obiettivi di breve periodo che avevo enunciato fin dal momento del mio insediamento. Esso è stato finalmente raggiunto.
Non posso concludere il mio intervento senza rivolgere un commosso pensiero alle numerose vittime del dovere, che hanno immolato la loro vita a difesa della democrazia e delle istituzioni repubblicane. A voi tutti – donne e uomini della Polizia Penitenziaria – va il mio sentito ringraziamento per quanto fate ogni giorno, in silenzio e con sacrificio, e gli auguri più sinceri di buon lavoro, certo che continuerete a mantenere forte e vivo il vostro impegno.
Viva la Polizia Penitenziaria. Viva l’Italia!