LE DUE CITTA'
Tratto da Speciale Festa del Corpo di Polizia Penitenziaria n.7/8- “Un Patrimonio di Umanità- Intervista al Capo del DAP Ettore Ferrara” (versione non integrale), di Antonio Di Raimondo
Se dovesse indicare in estrema sintesi i problemi essenziali con cui si trova a misurarsi il Dipartimento, quali porrebbe in cima ad un’ideale classifica? Il sovraffollamento delle carceri?
“In questo momento non abbiamo un problema di sovraffollamento, siamo nei limiti di quella che è la capienza ordinaria dei nostri istituti. Abbiamo però una progressiva crescita delle presenze, che per qualche tempo si è attestata in maniera preoccupante su un ritmo di circa 1.000 detenuti al mese. La qual cosa significa che se non si interverrà sul nostro sistema legislativo, nel giro di un anno, un anno e mezzo, avremo nuovamente problemi di sovraffollamento”.
Qual è la sua previsione?
“Da questa prospettiva si ricava l’esigenza di interventi strutturali che vadano nella direzione già delineata nel programma del Governo e avallata anche dal Capo dello stato nel suo intervento a Rebibbia: il ricorso alla pena detentiva deve rappresentare la estrema ratio da riservare solo ai casi di effettiva pericolosità sociale. E’ questa la via per combattere il rischio del sovraffollamento, escludendo la presenza all’interno degli istituti penitenziari di soggetti per i quali non vi è necessità della pena detentiva, mentre risulta efficace il ricorso a sistemi di esecuzione penale esterna”.
Quando parla di interventi strutturali mi sembra che non si riferisca al tradizionale problema della costruzione di nuove carceri. Come procede il programma previsto?
“Quel programma non si è assolutamente interrotto. Un conto è la prospettiva di evoluzione del nostro sistema, ma, ovviamente noi, come amministratori, dobbiamo parametrarci sul sistema esistente; e il sistema esistente è quello che ci fa intravedere fra un anno o un anno e mezzo condizioni di sovraffollamento che se non saranno adeguatamente e tempestivamente affrontate, potrebbero dar luogo agli inconvenienti con cui ci siamo misurati non più di un anno addietro. Da qui la necessità di ampliare gli spazi di detenzione. Ma a questo riguardo, piuttosto che pensare alla costruzione di nuove strutture penitenziarie che richiedono tempi estremamente lunghi e disponibilità economiche che non ci sono, stiamo operando per recuperare, attraverso ristrutturazioni, i locali rimasti inutilizzati, nonché per ampliare alcuni istituti. Quindi il programma va avanti”.
Esiste comunque una problematica legata agli Uffici per l’Esecuzione penale esterna, su cui si è aperto un dibattito anche con le rappresentanze sindacali. Questo discorso rientra in questo ambito?
“Rientra pienamente, e infatti ne ho fatto cenno poco fa. Quando noi pensiamo alla sanzione detentiva come estrema ratio, è chiaro che dobbiamo comunque garantire un altro sistema di esecuzione, ed è quello che facciamo pensando allo sviluppo delle misure alternative alla detenzione. Il disegno di legge di riforma del Codice di procedura penale di recente approvato da consiglio dei ministri, ed il disegno di legge di riforma del Codice penale, che è in queste settimane all’attenzione del Consiglio dei Ministri, vanno in questa direzione attraverso la previsione dell’istituto della messa alla prova, che fino ad oggi trovava applicazione soltanto nel processo minorile, nonché con altri tipi di sanzioni alternative al carcere. A questo riguardo, si tratta comunque di costruire un sistema che risponda alle esigenze di sicurezza della società ed è in questa prospettiva, che noi pensiamo di rafforzare i nostri Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna con l’inserimento della polizia penitenziaria che può svolgere attività di controllo sulle misure alternative, che nel sistema attuale dovrebbe essere assolta dalle altre Forze di Polizia, ma che in concreto incontra notevoli difficoltà.
E’ fiducioso sul fatto che le problematiche sindacali si potranno superare?
“ Sono certamente fiducioso. La dialettica che si è sviluppata ha interessato la polizia penitenziaria e parte del personale che attualmente opera negli Uepe, ma non c’è un contrasto interno tra le diverse forze sindacali. Credo che alla base ci sia un equivoco sul ruolo e sui compiti della polizia penitenziaria. Noi immaginiamo che la Polizia Penitenziaria debba svolgere un ruolo ed assumere competenze che in nessun modo, vanno a sovrapporsi o a sostituirsi a quelle svolte sino ad oggi dal personale del Servizio Sociale. Anzi, io dico che se oggi possiamo pensare ad un ampliamento, ad una espansione dell’Esecuzione Penale Esterna, è grazie ai buoni risultati che questo segmento dell’Amministrazione ha conseguito. Siamo quindi consapevoli del buon operato di chi ha agito sino ad oggi”.
Questo ruolo della polizia penitenziaria negli UEPE presuppone una formazione superiore, un livello di maturità superiore. E’ un salto di qualità, rispetto ai compiti tradizionali?
“Non parlerei di salto di qualità, quanto piuttosto di un’estensione naturale. Ritengo che la legge istitutiva del corpo di polizia penitenziaria prevedesse che questo tipo di competenza, con altre competenze che sono andate nel tempo sviluppandosi. Oggi i tempi sono maturi perché anche questa parte della Legge sia attuata.
La cosa importante è che la legge del 1990 ha concepito la Polizia Penitenziaria come Polizia dell’Esecuzione Penale, oggi noi abbiamo un sistema penitenziario che si va sviluppando nella direzione dell’ampliamento dell’Esecuzione Penale Esterna. E’ giusto quindi che la polizia penitenziaria, per espletare compiutamente la sua funzione, si occupi anche dell’Esecuzione Penale Esterna.
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