INTERVENTI CONFERENZA NAZIONALE UEPE ORDINE NAZIONALE ASSISTENTI SOCIALI n.2
Prospettive e sviluppo del servizio sociale nelle misure alternative alla detenzione- Tavola rotonda
di Gloria Pieroni Consigliere Nazionale Ordine Assistenti Sociali
L'obiettivo della tavola rotonda è quello di offrire uno spazio di confronto a esperti delle tematiche inerenti l’esecuzione penale esterna e del ruolo svolto, in tale ambito, dal servizio sociale che, pur da posizioni diverse, riconoscendo la reciproca autorevolezza e la legittimità delle rispettive argomentazioni, sono sinceramente interessati a una riflessione costruttiva, nel tentativo di giungere a delle risoluzioni, il più possibile condivise, rispetto alla questione cruciale dell'impiego della polizia penitenziaria nel controllo delle misure alternative e agli scenari che ciò comporterebbe.
Il contributo che ci è sembrato utile apportare a tale riflessione è una sintetica e, certamente non esaustiva, analisi di alcuni aspetti nodali dell'animato dibattito che, attorno a tale questione, si è sviluppato in questi ultimi mesi, individuando i temi su cui si è registrato maggiore dissenso, ma anche quelli su cui le posizioni sembrano maggiormente convergenti.
Punti di divergenza
1. Il progetto di riforma mira a creare un sistema di gestione delle misure alternative che “esporta” il modello repressivo-carcerario sul territorio?
Le motivazioni di chi afferma che c’è tale rischio, sono che si vuole aumentare la presenza di forze di polizia e quindi il controllo sul territorio, e in questo senso, per le misure alternative, si vuole rafforzare l'elemento del controllo fiscale, custodialistico, intervenendo sulla metodologia di intervento propria del servizio sociale nell'ambito delle misure alternative, con una scissione di un processo unitario, in cui il controllo diventa verifica di un percorso progettuale e, come sempre in un progetto, si operano dei controlli periodici per monitorare e valutare l'andamento complessivo della misura. La posizione di chi non ravvisa tale rischio è che con la riforma prevista si vogliono, al contrario, legittimare maggiormente le misure alternative, strutturandole in modo più efficace, al fine di poter fronteggiare la crescente complessità della realtà sociale e dei nuovi fenomeni criminali.
2. Il controllo, così come originariamente previsto dall'ordinamento penitenziario e come delineato dal R.E. del 2000, è oggi efficace alla luce della trasformazione quanti-qualitativa dei condannati e dei fenomeni criminali?
Le motivazioni di chi dice che è ancora efficace si rifanno, in particolare, alle statistiche sulle revoche delle misure alternative e alla ricerca sulla recidiva, i cui dati sono a conferma della maggiore efficacia di tali misure, così come regolamentate e gestite oggi, rispetto all'esecuzione carceraria. A questo si collegano altri due punti di divergenza: Il tema del controllo, anche nell'affidamento, va affrontato in termini nuovi. E' positivo che l'assistente sociale dell'UEPE possa disporre, in certi casi, anche di un controllo della condotta del soggetto ad opera di una figura diversa. Le opposte argomentazioni sono, da un lato, che è improduttivo prevedere la scissione fra le azioni volte al controllo della condotta della persona, da quelle volte a sostenerla nel superamento delle difficoltà incontrate nel percorso di reinserimento; dall'altro che i cambiamenti determinatisi nella realtà sociale richiedono che gli UEPE possano dispiegare, oltre alla funzione rieducativa, anche quelle retributiva e riparativa, richiedendo che, accanto e non invece, all'assistente sociale si possa disporre, all'occorrenza e se la situazione del soggetto lo richiede, anche della possibilità di effettuare il controllo della condotta, con personale a ciò destinato.
3. Il controllo oggi effettuato da Polizia e Carabinieri sulle persone in misura alternativa è diverso e maggiormente contrastante con il progetto di inclusione rispetto a quello che potrebbe essere effettuato dalla Polizia Penitenziaria?
Chi afferma che non lo è, motiva tale posizione sostenendo che, anche con l’inserimento della polizia penitenziaria, non verrebbe meno i controlli della polizia e dei carabinieri perché questi non rinuncerebbero a svolgere azione di prevenzione e controllo sul territorio. Inoltre, si dice che i controlli delle forze dell'Ordine sono effettuati da chi ha conoscenza di tutte le dinamiche più ampie dell’ambito territoriale e, quasi sempre, anche della situazione complessiva del singolo soggetto e del suo contesto familiare, cosa che non potrebbe avvenire con la polizia penitenziaria, in quanto avulsa ed estranea alla conoscenza/gestione complessivo della realtà ambientale. In questo senso, la polizia penitenziaria potrebbe svolgere solo un intervento segmentato e con poco significato sul percorso di vita del soggetto. Le argomentazioni di chi, invece, valuta in modo positivo la sostituzione dei controlli ora effettuati dalla forze dell'ordine con quelli della polizia penitenziaria, sono che questi controlli potrebbero essere meglio inseriti nel progetto di trattamento per il reinserimento dell'individuo. E', infatti, necessario un controllo sulla condotta che sia coerente con la gestione complessiva della misura, di cui sarebbe ancora responsabile l’assistente sociale.
4. Se ci deve essere, la Polizia Penitenziaria deve essere inserita negli UEPE alle dipendenze del dirigente?
Da una parte si sostiene che se verrà stabilito l'utilizzo della polizia penitenziaria nelle misure alternative, è meglio che questa venga collocata fuori dall'UEPE, in modo che sia chiara la diversità dei due ruoli, affinché non ci possa essere commistione con il mandato di un servizio che è “sociale” e applica un approccio e un metodo che è completamente diverso da quello correzionale e repressivo proprio dell'istituzione penitenziaria, un servizio che allarga il proprio ambito di azione alla rete di risorse del territorio e che partecipa alla programmazione della politica sociale locale, come soggetto “esperto” dei fenomeni di devianza penale. Quanti, al contrario, sono favorevoli all'inserimento della polizia penitenziaria negli UEPE, sostengono che soluzioni diverse (commissariati territoriali o alle dipendenze della Magistratura di Sorveglianza) esproprierebbero il servizio sociale dalla gestione piena delle misure, relegandolo ad un semplice ruolo assistenziale e creando due distinte logiche di azione, potenzialmente conflittuali, con effetti negativi sui percorsi di inclusione.
5. E’ necessaria la trasformazione del modello di intervento del servizio sociale del settore penale adulti da monoprofessionale a multiprofessionale?
Le motivazioni di chi sostiene la necessità del mantenimento del modello monoprofessionale, partono dal modello organizzativo che si è prefigurato sin dall'inizio per i CSSA: questi non dovevano essere dei servizi “autarchici”, cioè intervenire da soli e in toto per il soggetto in misura alternativa, senza necessità di collegarsi alla realtà territoriale, ma dovevano assumere un ruolo di collegamento, di catalizzatore di una rete attorno alla persona in misura alternativa, rete che fosse territoriale e, quindi, costituita in primo luogo, oltre che dalla famiglia, dai servizi locali e da tutti i soggetti attivi in ambito sociale, in osservanza al principio di territorializzazione della pena e di riappropriazione, da parte della comunità, dei problemi di devianza, anche penale. Il timore è che, inserendo altre figure professionali, si arrivi inevitabilmente a dei servizi del tutto autoreferenziali, che potranno operare autonomamente, soltanto con gli operatori interni, con un ribaltamento del ruolo storicamente loro attribuito dal legislatore del '75, che ha portato tali servizi a inserirsi fra le agenzie del territorio. Ciò determinerebbe, a livello più generale, un'inversione di tendenza rispetto all'acquisizione del principio che identifica la politica criminale come momento di una più vasta politica sociale programmata, supportato dalla convinzione che i fenomeni criminali si combattono, più efficacemente, con le politiche sociali che non con politiche penali repressive. Quanti, invece, sostengono l'utilità di adottare un modello basato sulla multiprofessionalità, argomentano tale loro posizione con la necessità che l'assistente sociale, per arricchire l'offerta trattamentale dei servizi, debba essere affiancata da altre figure professionali, con il passaggio alla metodologia del lavoro di gruppo, perché la complessità delle situazioni individuali e dei contesti di vita delle persone, si può meglio affrontare con un intervento che sia basato sull'integrazione multiprofessionale.
Punti di convergenza
1. Il settore dell'esecuzione penale esterna (EPE) ha oggi assunto, in termini non solo quantitativi (di condannati seguiti), pari importanza con quello carcerario e, in prospettiva, tenderà a un ulteriore ampliamento.
2. L'area EPE, per tale sua rilevanza, deve finalmente ricevere primaria attenzione da parte di chi elabora le politiche della pena in modo da assicurare lo sviluppo sia delle misure che dei servizi che le gestiscono.
3. Invece, gli UEPE (e prima i CSSA) sono stati colpevolmente trascurati (ad essi viene destinato solo il 2% delle risorse finanziarie) e hanno dovuto operare in condizioni di grave insufficienza di mezzi e di personale e coloro che vi lavorano, in particolare gli assistenti sociali, hanno dovuto e devono ogni giorno misurarsi con difficoltà enormi e non minimamente considerate.
4. Non è più rinviabile un serio e consistente programma di sviluppo dei servizi UEPE.
5. Lo sviluppo concreto e reso possibile da adeguate risorse, dovrebbe essere una logica conseguenza di una coerenza fra ciò che si dice di voler fare nell'ambito delle misure alternative (ampliamento previsto dalla riforma Pisapia sul codice penale e dal progetto di riforma che prevederebbe la “messa alla prova” oggi prevista per i minori, anche per gli adulti) e la dotazione di risorse e strumenti per poter realmente fare.
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