L'ARCHIVIO DI OLTREILCARCERE

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lunedì 19 novembre 2007

SPECIALE CONVEGNO DAP SU MISURE ALTERNATIVE 15/16.11.2007

Carcere: alternative; i detenuti domiciliari sono i più recidivi
Redattore Sociale, 19 novembre 2007
Secondo i dati del Dap tra i diversi istituti l’affidamento ai servizi sociali sembra garantire il ricorso a un minor numero di altri reati.
Dalle dinamiche delle misure alternative al carcere, così come si sono concretamente configurate negli ultimi anni, emergono diversi elementi utili alla riflessione. Uno di questi riguarda il tema dell’ammissione alle misure alternative. In una delle slide utilizzate dal capo del Dap, Ettore Ferrara, la scorsa settimana per la sua relazione (vedi lanci precedenti) si calcolano in percentuale le provenienze dei detenuti ai quali sono state concesse le misure alternative. In particolare nell’anno 2005 tra tutti coloro che risultavano essere in misure alternative, la grande maggioranza era composta di persone provenienti dalla libertà e non dal carcere.
Il 74% delle misure alternative del 2005 era stato infatti concesso dalla libertà, mentre il restante 26% riguardava detenuti in carcere.
Sempre per lo stesso anno, l’ultimo a disposizione per l’elaborazione dei dati statistici dell’amministrazione penitenziaria, è interessante analizzare il quadro sinottico del diverso andamento dei tre istituti tipo delle misure alternative alla detenzione tradizionale rispetto alla decisione di revocarle: l’affidamento, la semilibertà e la detenzione domiciliare.
In tutto, nel 2005, le misure alternative concesse in Italia erano 49.943. Per quanto riguarda le decisioni di revoca, nel 2005 è stata la semilibertà ad avere la percentuale più alta con circa il 15%. Per la detenzione domiciliare la percentuale di revoche scende all’11,35%, mentre ancora più bassa la percentuale di revoche per l’affidamento (5,33%), dove pure si concentrano i numeri più alti delle misure alternative (31.958 persone).
Emblematico anche il confronto tra il giudizio sull’andamento più o meno positivo della misura alternativa per i detenuti e il grado di recidiva che si riscontra per i tre diversi istituti della misura alternativa stessa. Si nota infatti che in semilibertà c’erano (nel 2005) 3.458 persone con una percentuale di commissione di altri reati allo 0,29%.
In detenzione domiciliare risultavano 14.527 persone con una percentuale dello 0,41% di commissione di altri reati. In affidamento c’erano infine la maggior parte dei condannati con 31.958 persone e lo 0,16% di percentuale nella commissione di altri reati. La detenzione domiciliare è quindi l’istituto in cui (sempre nel 2005) si è riscontrata la percentuale più alta nella commissione di altri reati.
I detenuti ai "domiciliari" hanno commesso più reati, nel corso del 2005, dei loro colleghi in affidamento ai servizi sociali o in semilibertà. Ma le percentuali non devono ingannare perché si tratta comunque di cifre molto basse se confrontate con le percentuali di recidiva che si riscontrano tra i detenuti in carcere.
Per tutti e tre gli istituti delle misure alternative stiamo infatti parlando di pochi casi di commissione di altri reati: in semilibertà si sono infatti registrati 10 casi di persone che hanno commesso altri reati; 52 sono stati invece i casi di altri reati commessi da persone in affidamento e infine sono stati 60 i casi di detenuti ai "domiciliari" che hanno commesso altri reati (lo 0,41%, contro lo 0,29% della semilibertà e lo 0,16% dell’affidamento, appunto).
Dalle statistiche presentate durante il convegno del Dap, risultano quindi molto chiari due dati: 1) il primo che le misure alternative si confermano molto più efficaci nell’abbassamento del grado di recidiva rispetto al carcere; 2) che tra i diversi istituti delle misure alternative sembra l’affidamento ai servizi quello con maggiori qualità.
CARCERE
15.0119/11/2007
In crescita costante l'adozione di misure alternative dal 1976 al 2005
Ristretta molto l'area della semilibertà (dal 74% del 1985 al 7% del 2005); più diffuso il ricorso all’affidamento ai servizi sociali che è passato dal 26% del 1985 al 61% del 2005 (16.788 detenuti)

ROMA - Le misure alternative crescono di importanza sia dal punto di vista numerico, sia dal punto di vista delle aspettative per il prossimo futuro. Tutti gli operatori, gli studiosi e i politici sembrano infatti ormai concordare sulla centralità di tutte quelle misure, che si pongono appunto in alternativa al carcere nell'esecuzione della pena e che negli ultimi anni hanno dato buona prova di sé: il grado di recidiva delle misure alternative è molto più basso rispetto a quello che si riscontra tra i detenuti in carcere. Nel convegno organizzato dal Dap a Roma la scorsa settimana sono state fornite anche le cifre statistiche sull'andamento delle misure alternative e sulla loro qualità intrinseca. Dal 1976 al 2005 si è registrata una crescita costante delle misure alternative, che da poco più dello zero del ’76 hanno sfiorato nel 2005 quota 30 mila. Nella composizione delle varie misure alternative concesse spicca l’andamento molto vivace della semilibertà e della detenzione domiciliare. Interessante analizzare anche le trasformazioni di questo istituto che oltre a diventare sempre più importante, mostra di sapersi modificare e aggiornare.Nel 1985, per esempio, si registrava un rapporto molto diverso tra la semilibertà e l’affidamento rispetto a quello che si è poi riscontrato nel 2005. Nel 1985 sul totale delle misure alternative al carcere concesse il 26% riguardavano l’affidamento ai servizi sociali (si trattava allora di 1961 detenuti condannati e affidati ai servizi in alternativa al carcere). Nello stesso anno il 74% dei detenuti beneficiari delle misure alternative poteva godere della semilibertà (5652 persone). Nel 2005 la fotografia della realtà era già alquanto diversa. Si è infatti ristretta molto l’area della semilibertà – che passava dal 74% dell’85 a uno scarso 7% (con 1785 persone interessate). Al contrario si è allargata molto l’area dell’affidamento che è passato dal 26% del 1985 al 61% del 2005. In quell’anno ben 16.788 detenuti condannati sono stati affidati ai servizi sociali. Sulla questione molto delicata del sistema di concessione e sulla efficacia delle misure alternative si sta aprendo un dibattito tra gli operatori anche in vista delle riforme proposte. (pan)
CARCERE
15.0919/11/2007
Misure alternative, servono ''soluzioni di maggior respiro''
L'esperienza del Tribunale di Sorveglianza di Milano che dal primo gennaio 2007 ha concesso 160 affidamenti su 413 istanze, 197 i provvedimenti di rigetto
ROMA - Le misure alternative al carcere sono oggetto di grande attenzione in questo periodo di "postindulto” e di crescita dell'allarme sociale sulla criminalità. Stiamo vivendo poi una fase molto particolare anche perché sono in ballo importanti riforme che interessano direttamente o indirettamente il tema della detenzione. Sono state infatti elaborate già le proposte per la riforma del Codice Penale e per la riforma del Codice di Procedura Penale. In più, dal Dap, il Dipartimento dell"amministrazione penitenziaria, arrivano proposte innovative sull’utilizzo delle forze di polizia penitenziaria nel controllo dei condannati che hanno ottenuto le diverse forme di misure alternative al carcere.
Una proposta – spiegata nei dettagli in un convegno del Dap della scorsa settimana dallo stesso capo dell’amministrazione, Ettore Ferrara – che ha suscitato le proteste degli assistenti sociali degli Uepe. Il tema dunque, oltre ad essere caldo, è anche molto delicato per i suoi risvolti sociali, tecnici e giuridici. Nella direzione del far chiarezza è andato l’intervento di Giovanna Di Rosa, magistrato di sorveglianza di Milano, che ha partecipato al convegno del Dap e ha fornito dati molto interessanti sia sull’andamento concreto delle richieste di misure alternative, sia sui problemi ancora aperti e che dovranno essere affrontanti. Riprendiamo oggi alcune delle considerazioni del magistrato per la loro attualità e per un’esigenza di ulteriore chiarezza in un dibattito che invece spesso è confuso.
Dopo aver chiarito il quadro giuridico, Di Rosa ha spiegato che “l’indulto avrebbe dovuto e può ancora costituire l’occasione di rilancio delle misure alternative sul territorio quale modalità concreta di espiazione della pena, in piena adesione all’art.27 Cost. Il provvedimento clemenziale ha allentato infatti la tensione del carico di lavoro ed è questo il momento, forse ultimo, per potenziare le risorse disponibili e migliorare così la qualità dell’obiettivo dell’art.27 Costituzione grazie al rilancio delle misure alternative sul territorio, il che, dal punto di vista statistico non si è ancora, francamente, notato”. Ma per far questo, per rafforzare e allargare cioè lo spazio delle misure alternative è necessario affrontare la questione con congnizione di causa, senza nascondersi i problemi. Proprio chi – come il magistrato Di Rosa – pensa che le misure alternative siano davvero il terreno di sviluppo strategico della pena deve essere più attento al loro funzionamento e all’efficacia dei sistemi. Dal punto di vista informativo si tratta quindi prima di tutto di capire come stanno le cose realmente.“Di solito – ha detto Di Rosa - si studiano i numeri relativi alle concessioni delle misure alternative e gli esiti connessi. Se si esaminano infatti, invertendo per una volta i parametri del ragionamento, i dati dei provvedimenti di rigetto delle istanze, si osserva che essi sono molto elevati”. L’esempio concreto è relativo al Tribunale di Sorveglianza di Milano. “A questo proposito – ha detto Di Rosa - leggendo i dati statistici del Tribunale di Sorveglianza di Milano, dal primo gennaio 2007 a oggi, risultano concessi solo 160 affidamenti su 413 istanze e si sono registrati invece 197 provvedimenti di rigetto; ancora, a fronte di 457 istanze di detenzione domiciliare, ne sono state accolte solo 115, con ben 139 rigetti nel merito. Il dato statistico poi crolla verso il basso in ordine all’applicazione della legge cosiddetta Simeone, che potrebbe e dovrebbe essere potenziata perché ha immediato effetto deflativo, senza attendere i tempi di decisione del Tribunale di Sorveglianza, che sono più lunghi, tanto più per le pene brevi: nello stesso periodo, si registrano solo 35 concessioni su 243 istanze”.Come si commentano questi dati? Sarebbe facile accusare i magistrati di eccessiva rigidità. “Ma con tutta sincerità – spiega ancora Giovanna Di Rosa - credo che questa sia una risposta quantomeno priva di una riflessione più ampia. Occorre infatti ragionare accuratamente su questo punto, che si traduce in una riflessione sul perché tanti condannati espiano la pena in regime detentivo, e risponde inoltre anche ad una parte delle ragioni del sovraffollamento. E poiché sono convinta che sia necessario evitare di principio la carcerizzazione, credo occorra riflettere su nuove aperture che diano diverso contenuto alla misura alternativa e assicurino soluzioni di maggior respiro”.Anche sulle proposte messe in campo dal capo del Dap, ovvero sull’utilizzo della polizia penitenziaria nei controlli dei condannati che hanno ottenuto le misure alternative, il magistrato di Milano esprime con chiarezza la sua posizione: “Mi sembra dunque che una soluzione ragionata e tesa ad integrare le competenze dell’Uepe con la Polizia Penitenziaria, nei casi in cui ciò sia opportuno e concordando le modalità specifiche di attuazione del controllo, riflettendo preventivamente sul perché e sul dove esso va fatto, potrebbe concorrere in questa direzione, nella logica della collaborazione. Proprio questa logica prevale, da qualche anno ormai, nel territorio dal quale provengo”.Per ora, però, manca dunque, istituzionalmente, un raccordo tra l’attività dell’Uepe e il controllo della Polizia. Per questo, sempre secondo il magistrato di sorveglianza, l’ipotesi di cui si discute oggi sembra invece sopperire a queste problematiche perché si pone in un’ottica collaborativa delle istituzioni interessate, partecipando e rispettando le esigenze del reinserimento. “Se poi è vero che l’espressione “controllo” usata dal legislatore a proposito dei compiti dell’Uepe va intesa in senso lato, quale attenzione, sulla base di un rapporto connotato da sostegno e aiuto, al rispetto delle prescrizioni imposte, si tratta di attività non sovrapponibile a quella della Polizia Penitenziaria, ma costruibile congiuntamente, in una logica di collaborazione, per la migliore riuscita della tenuta della misura. La polizia penitenziaria è poi per propria natura più capace di comprendere il contenuto trattamentale delle misure sul territorio, mentre l’uso degli agenti sul territorio sembra la naturale evoluzione del ruolo sinora da essi svolto negli istituti penitenziari, per una più piena integrazione sul territorio di persone comunque sempre emarginate dalla società”. (pan)